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giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

Il no della ‘decaduta’ Boccassini all’incarico proposto da Greco

Gestire Ilda Boccassini non più procuratore aggiunto, diciamo a fine carriera, deve essere difficile, per il carisma del personaggio, quanto lo fu avere a che fare con Francesco Totti per l’allora mister romanista Luciano Spalletti. Da ottobre Ilda non è più procuratore aggiunto della Dda ma semplice sostituto per motivi di età. Non può essere messa a capo di un altro pool e nemmeno stare ancora all’antimafia, di cui si può far parte per un massimo di dieci anni.

Che fare? Il procuratore Francesco Greco – i rapporti tra i due sono sempre stati alterni ma al momento paiono burrascosi – aveva pensato di metterla a capo della Sezione Distrettuale Misure di Prevenzione, uno dei 4 ‘quasi dipartimenti’ da lui creati (gli altri sono Antiterrorismo, Esecuzione Penale e Portale). Ma alla magistrata, protagonista di tante inchieste antimafia e nemico pubblico numero 1 di Silvio Berlusconi, l’offerta non ha garbato per nulla come si evince anche da uno scambio epistolare tra i due che Giustiziami ha potuto leggere.

Nel primo documento, datato 30 novembre, Greco scrive che “l’incarico di coordinatore della Sezione Misure di Prevenzione risulta assegnato dall’11 gennaio 2010 alla dottoressa Ilda Boccassini e dunque non è vacante” e non va messo a bando come gli altri tre di nuova creazione.

A stretto giro, Boccassini risponde che a suo avviso va invece fatto un bando “in modo che tutti i sostituti abbiano la possibilità di concorrere manifestando, comunque, la mia volontà di non parteciparvi” e sostiene che la responsabile attuale delle Misure di Prevenzione sia Alessandra Dolci (futura aggiunta della Dda) e non lei.  L’ultima parola al capo: “Si rileva che l’incarico, avendo durata decennale, scade in data 10 gennaio 2020. Pertanto solo in tale data sarà vacante. Allo stato non esistono i presupposti per l’interpello”.

Al di là di questo scambio formale, vengono segnalati più episodi indicativi di una forte tensione tra i due magistrati. Uno, in particolare, con urla della pm all’indirizzo di Greco.  Cosa farà ora l”ingombrante’ Boccassini nei due anni prima della pensione? Secondo alcuni suoi colleghi, avrebbe voluto che Greco assumesse l’interim alla Dda lasciando lei a fare il capo ‘di fatto’ e posticipando l’incoronazione di Alessandra Dolci a capo dell’Antimafia.

(manuela d’alessandro)

Crisi senza fine della Sorveglianza, la rabbia degli avvocati milanesi

 

C’è Como, dove i detenuti che ne avrebbero il diritto non vengono scarcerati perché a stendere le relazioni sui loro progressi da allegare alle istanze di misure di prevenzione o liberazione anticipata è rimasto un solo educatore su quattro che erano. Spiega l’avvocato Paolo Camporini della Camera Penale lariana che “le istanze vengono così rigettate per mancanza della documentazione di sintesi”.

C’é Milano, dove chi potrebbe lasciare il carcere non lo può fare perché, mancando 3 magistrati su 12 alla Sorveglianza e 10 persone su 43 nel personale amministrativo, i tempi di attesa per decidere sulle richieste sono biblici (“ritardi anche di 2 anni nella fissazione delle udienze e c’è un arretrato che continua a crescere, al momento di 26mila fascicoli”, da’ i numeri l’avvocato Eugenio Losco, consigliere con la delega al carcere della Camera Penale).

C’è mezza Lombardia (anche Lecco, Monza, Pavia, Busto Arsizio, Sondrio e Varese) dove per il presidente della  Camera Penale milanese Monica Gambirasio “la popolazione carceraria non vede risposta alle proprie legittime istanze e, al contempo, assiste a un drammatico peggioramento delle  proprie condizioni di vita”. A San Vittore, per dire, ci sono 6863 persone a fronte di una capienza regolamentare di 5167.

Oggi gli avvocati si mobilitano – termine tecnico, sarebbe meglio dire si arrabbiano -  per denunciare la “grave crisi” dei Tribunali di Sorveglianza e delle carceri in quello che viene spesso indicato come un distretto giudiziario se non modello, comunque meglio della media in un Paese fustigato più volte dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per come umilia i detenuti. E si appellano per l’ennesima volta negli ultimi mesi  al Ministro Andrea Orlando e al Csm per rimediare. Il presidente dell’Ordine degli Avvocati Remo Danovi annuncia di avere istituito dieci borse di studio per altrettanti praticanti che avranno il compito  di “prestare aiuto alla Sorveglianza per sei mesi mi auguro prorogabili a un anno anche se resta il grave problema del sovraffollamento e di una disumanità dello Stato che non ha paragoni”.

A ottobre, il Presidente della Sorveglianza Giovanna Di Rosa era arrivata a chiedere ai legali milanesi di occuparsi delle spese di assicurazione e viaggio per i ‘volontari’ della giustizia che nel Tribunali suppliscono al deficit di personale nelle cancellerie. Una giustizia che per salvarsi deve affidarsi al volontariato o alle borse di studio fa paura. (manuela d’alessandro)

 

 

In palla la consolle del magistrato, la crisi del Pct creato con Expo

 

Ancora guai -  e grossi, a sentire i magistrati – per il Processo Civile Telematico, creato coi fondi Expo per la giustizia milanese distribuiti in modo così sospetto che si sono mosse 3 procure e l’Anac di Raffaele Cantone.

E’ in tilt la consolle del magistrato, il programma che dovrebbe consentire ai giudici e ai loro assistenti di gestire il processo senza carta.

Ci viene mostrato quello che accade ormai da settimane, dall’ultimo aggiornamento del sistema che per ammissione dello stesso Presidente del Tribunale Roberto Bichi aveva generato “gravi malfunzionamenti”, poi smentiti dal Ministro Andrea Orlando.

Quando il giudice apre word per scrivere un provvedimento la consolle si impalla. “Ho perso un’ordinanza e ho dovuto riavviare 3 volte durante l’udienza”, ci spiega uno dei magistrati, uno di quelli che ancora prova a usare la consolle, lo strumento principe del processo digitale, vanto della giustizia milanese per avere fatto da apripista nella giustizia 2.0. Altri hanno abbandonato le speranze rinunciando da tempo ad attivare la consolle che in teoria – leggiamo sul sito del Csm – doveva dare al giudice “la possibilità di redigere tramite word provvedimenti, di firmarli digitalmente e di trasmetterli al cancelliere per la loro pubblicazione all’interno del fascicolo informatico”. Il processo digitale, che ha preso forma con affidamenti diretti milionari e senza alcuna gara a partire da una decina di anni fa, è al centro delle inchieste in cui Comune di Milano e magistrati si rimbalzano le responsabilità in attesa che, si auspica, un’autorità giudiziaria riesca a mettere ordine nella vicenda. (manuela d’alessandro)

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A Milano nessuno viene più assolto in udienza preliminare

La sensazione era ormai netta, di fronte ai comportamenti pressoché costanti ed uniformi dei giudici preliminari: a Milano le sentenze di ‘non luogo a procedere’ non esistono più, come se la norma che assegna al giudice preliminare la facoltà di non rinviare a giudizio gli imputati fosse stata tacitamente cancellata dal codice di procedura penale.

Invece la norma è ancora lì, al suo solito posto, all’articolo 425 del codice di procedura penale. Fa finta di essere viva, ma è morta. E a confermarlo agli avvocati milanesi ha provveduto, con encomiabile franchezza, proprio un giudice preliminare: Sofia Fioretta, invitata a parlare ad un evento formativo della Camera penale.

E la Fioretta ha spiegato, dati alla mano: davanti alle richieste di rinvio a giudizio presentate dalla Procura, i casi in cui il giudice dice ‘no’ sono praticamente inesistenti. Un centinaio in un anno quelli in base al primo comma, cioè i proscioglimenti inevitabili per motivi formali: come quando la querela della vittima era indispensabile ma non è mai stata presentata o è stata ritirata. Zero quelli a norma del terzo comma, la norma che dava al giudice il potere di sindacare se gli elementi addotti dalla pubblica accusa erano ‘insufficienti, contraddittori o comunque inidonei a sostenere l’accusa in giudizio’. In un anno, non è mai accaduto una sola volta che le tesi del pm venissero bocciate in udienza preliminare.

Come è possibile che si sia arrivati ad abdicare in questo modo a una funzione prevista dal codice, svuotando di fatto di significato l’udienza preliminare che del codice è un asse portante? I gip danno in qualche modo la colpa alla Cassazione, che negli ultimi anni annullerebbe regolarmente le loro sentenze di non luogo a procedere, accogliendo i ricorsi presentati dalla Procura. Si narra di annullamenti quasi surreali, come quello che riguardò il proscioglimento di un medico di cui sia la perizia della Procura che quella del gip avevano sancito la regolarità del comportamento: la Cassazione ordinò che venisse comunque mandato a processo, perché magari una nuova perizia avrebbe potuto ‘incastrarlo’. Sta di fatto che lo stesso presidente dell’ufficio dei giudici preliminari, Aurelio Barazzetta, ha fatto presente recentemente ai suoi colleghi che – se così stanno le cose – tanto vale rinviare tutti a giudizio, lasciando poi che la rogna venga sbrigata dai giudici del dibattimento. E amen se l’imputato deve affrontare costi e patemi di un processo che magari non meritava.

Per attutire l’asprezza del ‘new deal’, i giudici si appellano a qualche altro dato: secondo cui, almeno a Milano, è la stessa Procura della Repubblica a fare da filtro, scremando le inchieste in cui l’innocenza dell’imputato è evidente, con oltre diecimila richieste di archiviazione all’anno. Ma resta il fatto che per tutti gli altri arriva la richiesta di rinvio a giudizio accolta a occhi chiusi dal gip, destinata a costare anni di processi che in percentuale non esigua approderanno alla assoluzione: la stessa assoluzione che lo stesso gip avrebbe potuto disporre a suo tempo. Intanto: vite e carriere rovinate, soldi spesi.

Che fare? Nel suo intervento al seminario dei penalisti, il giudice Fioretta ha suggerito il rimedio: se proprio siete convinti della innocenza del vostro assistito, chiedete il giudizio abbreviato. Ma, come la stessa gip sa bene, in questo modo l’imputato si ‘brucia’ un grado di giudizio, e in caso di condanna si ritrova con l’appello come unico spiraglio di merito per vedere riconosciute le proprie ragioni. Insomma, in un modo o nell’altro a venire sacrificate sono quelle tutele che il codice di procedura penale aveva introdotto come vera svolta rispetto al vecchio processo inquisitorio ereditato dal fascismo. (orsola golgi)

Il pg Isnardi va in pensione e lascia l’inchiesta su Sala aperta a tutto

Felice Isnardi allo scoccare dei 70 anni ripone la toga, offre spumante al bar del Palazzo e lascia nel mezzo del cammino l’inchiesta sulla Piastra di Expo che coinvolge il sindaco Beppe Sala. Non sarà lui, ma chi erediterà gli atti – i colleghi Massimo Gaballo e Vincenzo Calia – a decidere se chiedere l’archiviazione oppure il processo per l’accusa di turbativa d’asta relativa alla fornitura di 6mila alberi per l’Esposizione Universale.

Il 20 settembre scorso Isnardi, dopo avere strappato l’inchiesta alla Procura ritenuta inerte che mai aveva indagato Sala, si era limitato a chiedere il rinvio a giudizio del sindaco per il reato di falso (udienza preliminare il 14 dicembre) nella sostituzione di 2 commissari di gara, lasciando immaginare di avere stralciato l’ipotesi della turbativa in vista di un’archiviazione.

Invece rumors degli ultimi giorni davano molto probabile una richiesta di processo anche per la turbativa che sembrava potesse arrivare oggi come ultimo atto del magistrato. Non è accaduto e le interpretazioni possono essere varie. Si è preferito lasciare ai due pg che potrebbero sostenere l’accusa nel processo la parola finale. Ci sono state pressioni del procuratore capo Roberto Alfonso su Isnardi che potrebbe avere preferito non mettere la faccia su un epilogo non condiviso.

Il magistrato che iniziò la carriera con l’inchiesta cinematografica ‘Pizza connection’ è apparso comunque sereno al brindisi d’addio. Scherzando coi giornalisti ha detto: “Verrò a trovarvi in sala stampa per avere da voi informazioni o magari farò una ‘Procura ombra‘”. In fondo proprio questo è quello che ha fatto negli ultimi anni riaprendo casi come quelli dell’operaio Giuseppe Uva morto dopo un arresto, di Mps e della ‘Piastra’. Inchieste che per la Procura Generale erano state archiviate con troppo fretta e senza i dovuti approfondimenti, quella su Expo in nome della ‘moratoria’ terreno di scontro feroce tra gli ex numeri uno e due Edmondo Bruti Liberati e Alfredo Robledo. (manuela d’alessandro)