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Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

Guido Galli diventa Alessandro, la gaffe della Scuola Superiore della Magistratura

Viene quasi da ridere a pensare al tema del convegno: “L’identità personale”. Perché, nel promuovere un incontro su questo argomento, la Scuola Superiore della Magistratura incorre in una clamorosa gaffe storpiando l’identità del giudice Guido Galli, assassinato il 19 marzo del 1980 a Milano da un nucleo armato di Prima Linea all’interno dell’Università Statale.

Forse per una crasi, l’aula Magna del Palazzo di Giustizia di Milano dove si svolgerà il meeting viene intitolata a Emilio Alessandrini e Alessandro Galli. Tra i temi presi in esame dai relatori ci sarà proprio il “diritto al nome, avuto riguardo della giurisprudenza nazionale e internazionale”.

(manuela d’alessandro)

 

‘Palazzo d’Ingiustizia’, Iacona racconta la guerra in Procura

Il titolo è ‘Palazzo d’Ingiustizia’ e quel Palazzo d’Ingiustizia è proprio quello di Milano dove ancora si raccolgono – in un’atmosfera di levigata, nuova quiete – le pallottole lasciate a terra dal conflitto più sanguinario che la giustizia ricordi, in una Procura da sempre ieratica garanzia di compattezza.

Edmondo Bruti Liberati e Alfredo Robledo. Le loro pistole sono ormai scariche. Il primo è in pensione, il secondo cacciato a Torino dal Csm dove esercita le funzioni di procuratore aggiunto. Ma il clamore della loro sfida, i temi che ha sollevato, dalla moratoria di Expo ai rapporti tra politica e magistratura, rivivranno presto in un libro al fulmicotone edito da Marsilio e firmato dal conduttore di ‘Presa diretta’ e maestro delle inchieste tv Riccardo Iacona.

Si dirà: una visione di parte di quello che è successo e senz’altro lo è dal momento che in ballo c’è uno dei contendenti. L’autore assicura di avere tentato una ricostruzione per tabulas della vicenda. Tanti i documenti proposti, in una prospettiva che cerca di andare al di là della contesa personale. Carte che raccontano i passaggi più cruenti del conflitto spesso con un linguaggio ai limiti dell’incredibile (come dimenticare Bruti su Robledo: “Avrei potuto dire a uno dei miei colleghi che mi rompeva i coglioni e andare a fare la pipì, così sarebbe stata nominata come aggiunta la Gatto”).

Iacona è andato a sentire anche Bruti, a cui come sempre va dato atto di non sottrarsi alle domande, e ha scritto perfino a Giorgio Napolitano che da allora presidente della Repubblica decise da che parte stare, ed era quella del capo a cui aveva affidato la gestione delle inchieste legate a Expo in modo da non disturbarne le magnifiche sorti. Moratoria ci fu, è una delle conclusioni a cui giunge il libro, con la benedizione di Matteo Renzi che ringraziò Bruti per la “sensibilità istituzionale”. Il giornalista ci arriva interrogando, a volte virgolettandoli e altre no, anche diversi protagonisti della giustizia milanese. Ne escono a brandelli il Csm e il mito di un potere giudiziario indipendente dalla politica. E intaccata per sempre la Procura di Milano che ancora oggi, nel rinnovato clima di pace, sta scontando la pena di quei giorni di guerra. (manuela d’alessandro)

La gaffe del sottosegretario Migliore sul giorno della Memoria

Che l’inaugurazione dell’anno giudiziario sia una cerimonia fuori dal tempo è noto. Fuori dal tempo c’era però anche il rappresentante del Governo, il sottosegretario  del Pd Gennaro Migliore, che più volte ha fatto riferimento al giorno della Memoria collocandolo a “domani“, quando è piuttosto noto a tutto il mondo che sia oggi.

Nel suo intervento gonfio d’orgoglio per le misure adottate dall’esecutivo in materia di giustizia, l’ex di Rifondazione Comunista giustamente, come altri oratori di giornata, inserisce anche diversi cenni all’importante ricorrenza in cui si ricordano le vittime dell’Olocausto, del Nazismo e del Fascismo. Il 27 gennaio 1945 le truppe dell’Armata Rossa arrivarono ad Auschwitz scoprendo l’enorme campo di concentramento. Peccato che Migliore sempre faccia riferimento a “domani”, nonostante un brusio della sala accompagni il suo lapsus temporale. Forse perché chi gli ha scritto ieri il discorso (quasi identico a quello di Orlando) ha fatto un po’ di confusione ma, caro sottosegretario, bastava aprire un giornale o un sito stamattina per evitarsi la gaffe. (manuela d’alessandro)

La protesta dei lavoratori della giustizia: lo Stato ci ‘deve’ 40 milioni

I lavoratori della giustizia chiedono alla Corte dei Conti di accertare che fine abbiano fatto i 64 milioni di euro risparmiati attraverso l’introduzione del processo civile telematico (PCT). Circa 40 di questi milioni, sostengono nell’esposto presentato nei giorni scorsi all’organo contabile del Lazio, dovrebbero essere redistribuiti a chi è impiegato nei tribunali, come prevede la legge.

“Abbiamo chiesto alla Dgisia (Direzione centrale degli appalti informatici del Ministero della Giustizia) come sia stata impiegata questa somma – spiegano i rappresentanti della FLP, il sindacato che ha firmato l’esposto – ma né il suo direttore Pasquale Liccardo, né il Ministro della Giustizia Andrea Orlando hanno risposto”. Secondo i calcoli di chi protesta, spetterebbero circa 1000 euro annui a ciascun lavoratore. E, visto che nessuno ha mosso ciglio di fronte alla rimostranze, il sindacato ha deciso di rivolgersi alla Procura Generale della Corte dei Conti chiedendole di “accertare i fatti esposti; l’avvenuta violazione delle disposizioni normative e le ragioni del loro mancato rispetto; le ragioni della mancata destinazione delle somme dovute al personale dipendente; la destinazione che hanno avuto le somme risparmiate: la sussistenza di illeciti contabili”.

La legge invocata da chi ha promosso il ricorso alla Corte dei Conti prevede che “una quota fino al 30% dei risparmi sui costi di funzionamento derivanti da processi di ristrutturazione, riorganizzazione e innovazione all’interno delle pubbliche amministrazioni è destinata, in misura fino ai due terzi, a premiare il personale coinvolto”. Una norma che appare molto chiara ma molto di quello che accade attorno al PCT diventa oscuro, a cominciare dall’utilizzo dei milioni di fondi Expo destinati a digitalizzare la giustizia milanese sui quali dovrebbe indagare, oltre alle Procure di 3 città, anche la Corte dei Conti lombarda.  (manuela d’alessandro)

Le ragioni giudiziarie di Maroni per puntare a Palazzo Chigi

 

E se Roberto Maroni avesse rinunciato alla Lombardia pensando a Palazzo Chigi proprio a causa del suo processo (le famose “ragioni personali”)?.

Alcuni indizi cominciano a mettersi in fila. Nell”intervista di oggi  al ‘Foglio’ il Governatore spende  parole accorate per Giuseppe Orsi e Mattia Palazzi, l’ex ad di Finmeccanica e il sindaco di Mantova usciti indenni con tante scuse dalle rispettive  vicende giudiziarie  dopo “avere subito un’inacccettabile aggressione mediatica”. Il tarlo giudiziario sembra avere lavorato dentro di lui in questi ultimi anni, considerando anche che l’inchiesta ha svelato aspetti molto privati della sua vita, come la relazione con una delle collaboratrici che avrebbe favorito.  Non a caso ha citato Palazzi, pure lui al centro di un presunto ‘sex gate’.  

Sempre oggi, il Tribunale ha cancellato due udienze previste a febbraio (uffcialmente per l’incombere di altri processi con detenuti, ma non si esclude una pax elettorale tra magistrati e difesa) fissando la requisitoria al  22 marzo e le discussioni delle difese al 12 e al 19 aprile, tutto dopo il voto. Questo significa che la sentenza del processo iniziato – tenetevi forte -  il primo dicembre 2015 e proseguito con una lentezza sfinente arriverà a nomina del premier abbondantemente avvenuta. A quel punto, dando retta agli scenari mediatici non confermati dai protagonisti, il leghista potrebbe essere il nuovo capo del Governo.

Maroni avrebbe accettato il rischio di rinunciare alla certezza di un secondo mandato lombardo ponderando proprio le conseguenze di un eventuale epilogo a lui sfavorevole del processo, peraltro improbabile data l’assoluzione per gli stessi fatti dell’ex dg di Expo Malangone in appello, ma la paura può tutto. L’accusa per lui è di avere esecitato pressioni illecite  finalizzate a  far ottenere un lavoro e un viaggio a Tokyo a due sue ex collaboratrici, una delle quali presunta amante.

E qui entra in gioco la legge Severino che prevede la decadenza di un amministratore pubblico condannato anche solo in primo grado, in questo caso per il reato di induzione indebita. Se fosse stato rieletto Governatore avrebbe dovuto alzarsi subito dalla poltrona. La decadenza riguarda però solo gli amministratori locali, non i parlamentari e il premier che sono costretti a lasciare le cariche solo al termine dei tre gradi di giudizio. Un Maroni a Palazzo Chigi rimanderebbe di un paio d’anni il suo eventuale problema con la giustizia. (manuela d’alessandro)