giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

L’abbraccio del ragazzo al padre imputato prima dell’assoluzione

Un ragazzo alto con una felpa rossa abbraccia da dietro il padre. L’uomo è malfermo sulle gambe, un’ombra densa di preoccupazione sul viso. Ma guarda dritto davanti a sé. Il ragazzo è l’unico che parla. “Papà, non ti preoccupare, se anche ti condanneranno tu non hai fatto niente”. E alla madre, lì accanto: “Mamma, non dire nulla e non piangere”.

E’ buia e stretta l’aula della X sezione penale dove sta per suonare la campanella che annuncia l’ingresso del collegio chiamato a giudicare l’ingegnere Salvatore Primerano, 50 anni, accusato di associazione a delinquere, truffa, falso e turbata libertà di scelta del contraente nell’ambito dell’indagine su Infrastrutture Lombarde. Assoluzione da tutti i reati, è il verdetto. Il ragazzo salta per la gioia, i genitori piangono.

Sono tante le assoluzioni (16 su 26 imputati) in questo processo e tante, per fortuna e tutti i giorni, nelle aule del Tribunale. Ma questa ha un sapore dolce e regala una scena rara: non di rabbia, ma di tenerezza. “Quando nel 2012 ho ricevuto un avviso di garanzia quasi non ci ho fatto caso, non ho nemmeno capito quasi fossero le accuse – racconta Primerano al telefono, ancora la voce è spezzata dall’emozione – Mi sono reso conto di quello che stava succedendo solo due anni dopo quando è arrivata la Guardia di Finanza nell’ufficio della società di cui ero responsabile tecnico. Ho trascorso 3 mesi e mezzo ai domiciliari. Sono venuti ad arrestarmi all’alba.  Per me è stata una tragedia morale perché io ero venuto a Milano dalla Calabria per costruirmi un futuro da solo e sottrarmi a un certo mondo del lavoro basato sui ‘favori’ “. Quello che l’ingegnere deve al figlio Andrea, 20 anni, alla moglie e agli amici è una scelta importante: “Il giorno prima che scadessero i termini mi è arrivata dal pm la proposta di patteggiare una pena sotto i due anni. Stavo per accettare, ma i miei familiari mi hanno convinto a non farlo. Se l’avessi fatto, avrei tradito me stesso. Ho sempre avuto fiducia nelle istituzioni ma aspettavo questa sentenza per capire se potevo continuare ad avercela. Ora voglio fare qualcosa per dare un senso a questa esperienza, ancora non so cosa, ma non passerà senza lasciare un segno”. (manuela d’alessandro)

Il libro di Iacona fa riaprire un’inchiesta sui poliziotti

Il libro di Riccardo Iacona fa riaprire l’indagine su tre poliziotti presunti autori di furti di droga e soldi che, stando alla ricostruzione del giornalista e dell’allora procuratore Alfredo Robledo,  sarebbe naufragata a causa dell’inerzia di Edmondo Bruti Liberati e dei colleghi degli agenti. A raccontarlo, durante la presentazione di ‘Palazzo d’Ingiustizia’ alla Feltrinelli di piazza Duomo, è stato il conduttore di ‘Presa Diretta’: “Dopo la pubblicazione del libro, il questore Marcello Cardona ha chiesto al capo della Squadra Mobile di togliere questi 3 poliziotti dall’antinarcotici. E oggi Cardona è andato da Greco che gli ha assicurato la riapertura di un fascicolo d’inchiesta”. La storia è quella del fallimento dell’indagine sui poliziotti chiamati da alcuni testimoni ‘quelli delle giacche’ “perché quando arrivavano sulla piazze dello spaccio i pusher scappavano, buttavano via la giacca e i poliziotti si fermavano a raccogliere soldi e droga, senza denunciare e tenendo tutto per sé”. Un’inchiesta coordinata nel 2012 da Robledo e dal pm Paolo Filippini che sarebbe abortita per l’ostracismo manifestato dalla Squadra Mobile, addirittura con la distruzione delle microspie per intercettare i colleghi. E perché Bruti si sarebbe opposto alla richiesta arrivata dal suo vice di far compiere gli accertamenti ai carabinieri, richiamandosi al garbo istituzionale che imponeva ai poliziotti di arrestare le ‘mele marce’.

Un centinaio di persone, in un clima a tratti da stadio, ha assistito alla presentazione del volume che sta facendo impazzire le mailing list dei magistrati. Tra gli altri, l’ex pg Felice Isnardi, che ha riaperto le indagini su Expo e sul sindaco Giuseppe Sala archiviate in nome della “sensibilità istituzionale”, l’ex magistrato della Cassazione  Antonio Esposito, il giudice Maria Rosaria Sodano che, in un intervento dalla platea, ha espresso “solidarietà” a Robledo. Presenti anche diversi vpo (viceprocuratori onorari), tanti avvocati ed esponenti della polizia giudiziaria, alcuni dei quali facevano parte della ‘squadra’ del magistrato trasferito per punizione a Torino (ritenuto colpevole di uno scambio di messaggi con l’avvocato Domenico Aiello). Senza pietà  Iacona nelle sua valutazioni sulla giustizia e sul cuore del suo potere: “Quando ho messo gli occhi sugli esposti presentati da Robledo al Csm sono saltato sulla sedia e mi sono spaventato da cittadino pensando a cosa può succedere a noi cittadini se queste cose accadono nel posto dove si esercita il controllo della legalità. Nelle carte ci sono le prove che il Csm ha usato come una mazza i provvedimenti disciplinari per ridurre le critiche. E’ una cosa che fa paura. Quando alla Rai mi hanno cancellato il programma dove lavoravo per volontà di Berlusconi, i miei colleghi mi hanno difeso. Qui nelle mail i magistrati se ne stanno dicendo di cotte di crude, ma fuori non arriva questo dibattito. A loro dico: ‘Rivolgetevi a noi!’”. “Pentito di quello che hai fatto?”, ha chiesto il moderatore Gianni Barbacetto ad Alfredo Robledo: “No, quella dei pentiti è una categoria che non mi piace in generale. Ho avuto un dolore enorme da questa storia che ho trasformato in testimonianza con questo libro. Il dolore più grande me l’ha dato il silenzio dei magistrati. La gran parte sono persone oneste ma hanno taciuto. Nel momento in cui ci sono magistrati nominati in base a delle trattative, e rubo questo termine ad altri contesti, per fare carriera soprattutto si tace. Contro Bruti non ho nulla di personale, lui era solo una pedina”.  E al giornalista Danilo Procaccianti, coautore del libro, Robledo ha detto: “A me la giustizia oggi fa paura e lo dico da magistrato”. Tra  le domande dal pubblico quella del cronista del ‘Sole 24 Ore’ Nicola Borzi che ha denunciato alla Consob con un lungo e coraggioso lavoro d’inchiesta quello che accadeva nel gruppo editoriale, oggetto di un’indagine in corso a Milano a carico anche dell’ex direttore Roberto Napoletano.  ”Avevo presentato un esposto molti anni prima dell’indagine attuale, ma poi non ne ho più saputo nulla. Dottor Robledo, mi sa dire se è finito in un cassetto come altri?”. Risposta: “Non sono un indovino, ma non escludo situazioni di questo genere”. (manuela d’alessandro)

 

“Caro Sironi, niente chiasso artistico in aula!”

Marcello Piacentini era un tipo che amava tenere tutto sotto controllo. Volle scegliere di persona le oltre 140 opere di 52 artisti per impreziosire il grandioso Palazzo di Giustizia di Milano da lui progettato nel 1932. Mario Sironi era invece uno che aveva un talento esplosivo: come tutti i futuristi, poteva avere una tendenza all’esagerazione, anche se poi si rivelò sensibile alla malinconia in molti suoi dipinti. Un carteggio tra i due portato alla luce dall’esposizione sull’arte italiana tra le due guerre alla Fondazione Prada (fino al 25 giugno) svela i grattacapi dell’architetto su una delle opere simbolo del Palazzo, il mosaico affidato al pittore e scultore fascista, oggi visibile nella Corte d’Assise d’Appello. “Caro Sironi – scrive il 19 settembre 1938 l’architetto scelto dal regime – mi dicono che sei stato a Milano per presentare i cartoni del mosaico del Palazzo di Giustizia. Tu sai che ho piena fiducia in te, ma avrei avuto piacere di vederti prima di iniziare il lavoro musivo. In ogni modo ti raccomando caldissimamente di tenerti il più possibile – senza naturalmente con questa significare nessuna rinuncia alla tua personalità d’artista – a proporzioni – anche nei particolari – giuste e normali, senza deformazioni. Tu devi sempre ricordarti che la più importante aula del Palazzo di Giustizia non può essere palestra di polemiche e discussioni artistiche . Guai se magistrati e avvocati dovessero amministrare la giustizia in un ambiente che suscitasse chiasso artistico!”. Piacentini era preoccupato che l’estro dell’artista uscisse dai binari della sobrietà nell’esecuzione dell’imponente mosaico che rappresenta la ‘Giustizia armata con la legge’.  E in effetti Sironi non tradì le sue indicazioni. Anche nel colore, nota il critico Marcello Ronchi sul sito della Procura, “Sironi mira all’essenza e sul brunico registro del fondo concede qualche azzurro grigio, del bianco, qualche terra rossa, un po’ di azzurro chiaro e pochissimo rosso vivo. Tavolozza elementare che sostituisce la gioia che può dare una ricca gamma coloristica con il senso di un misurato linguaggio composto di note gravi, che meglio fa risaltare la forma plastica”.  (manuela d’alessandro)

Botte da orbi tra i magistrati per il libro di Iacona

“E’ inaccettabile paragonare le attività del Csm ai metodi utilizzati dalle organizzazioni criminali”. “Così intimidite chi esercita il diritto di critica”. Botte da orbi tra le toghe, spaccate sul libro ‘Palazzo d’Ingiustizia’ firmato da Riccardo Iacona e uscito nel momento in cui gli equilibri del potere giudiziario sono più labili in vista delle elezioni per il nuovo Csm. Ieri sera, quattro magistrati, tra i quali Piercamillo Davigo (intervistato nel libro), hanno recapitato alla mailing list di Anm un invito: “Prendiamo atto che, a seguito della pubblicazione di un libro che contiene specifiche e gravi accuse all’indirizzo del Csm, le uniche reazioni associative hanno riguardato le modalità espressive di tali critiche.  Confrontiamoci invece apertamente sul merito delle questioni denunciate piuttosto che sulla forma delle espressioni, anche per evitare il rischio che la pubblica sollecitazione di iniziative disciplinari si traduca in una sostanziale intimidazione nei confronti di chi ha esercitato o vorrebbe esercitare il diritto di critica”. Stamattina, la violenta replica di Anm a cui, mastica e rimastica, continua ad andare di traverso l’intervista in cui il giudice Andrea Mirenda riferisce di “metodi mafiosi” nell’organo di autogoverno,considerazioni che gli sono valse una richiesta di procedimento disciplinare. Il paragone secondo Anm “è inaccettabile e inappropriato” e “fatta salva la libertà di manifestazione del pensiero danneggia l’Istituzione e l’intero ordine giudiziario, instillando nei cittadini l’idea di un Csm che non garantisce l’indipendenza e l’autonomia della magistratura, così offuscandone l’immagine, gettandovi discredito”.  Sempre oggi, per la prima volta il nome di Alfredo Robledo, dal cui racconto è nato il libro, emerge dal dibattito aperto da giorni, ma senza mai citarlo.  A farlo è la candidata al Csm Alessandra Dal Moro (moglie di Gherardo Colombo) che definisce l’inchiesta di Iacona “la presentazione di una vicenda in totale condivisione con uno dei protagonisti” la cui “unilateralità del taglio, immediatamente evidente, è estranea al mio modo di ragionare”. “Non mi convince neppure – aggiunge Dal Moro, di Area come Edmondo Bruti Liberati – la rappresentazione di una Procura della Repubblica che col lavoro quotidiano di tutti i suoi sostituti ha fatto tanto per questo Paese”. Tra le risposte, quella di Felice Lima: “I Democraticoni fanno fuoco e fiamme contro Mirenda, solo perché Mirenda è piccolo e solo e sarebbe giudicato dalla giustizia disciplinare gestita come dicono Iacona e Robledo”. Anche al Palazzo di Giustizia di Milano il malumore di molti è alto per le accuse contenute nel libro, tanto che si vocifera di iniziative a tutela dell’”orgoglio di appartenenza” a questo Tribunale che tra i suoi ‘eroi’ vide proprio  Davigo e Colombo. Alcuni magistrati si chiedono tra loro se sia opportuno o meno andare alla presentazione ufficiale del volume, prevista per il 2 maggio alla Feltrinelli di Milano. Lontano il tempo quando Riccardo Iacona veniva chiamato a moderare i convegni di Anm, ora può essere pericoloso andarlo a sentire. (manuela d’alessandro)

Il libro di Iacona, l’ingiustizia nei Tribunali in ‘presa diretta’

“Ricordati che al plenum sei stato nominato aggiunto per un solo voto di scarto, un voto di Magistratura Democratica. Avrei potuto dire a uno dei miei colleghi al Csm che Robledo mi rompeva i coglioni e di andare a fare la pipì al momento del voto, così sarebbe stata nominata la Gatto che poi avremmo sbattuto alle esecuzioni” disse il procuratore Edmondo Bruti Liberati al suo aggiunto Alfredo Robledo che replicò: “Cosa c’entra la corrente di Md con la funzione giurisdizionale, io sono un magistrato, ho giurato sulla Costituzione. Mi meraviglio che proprio tu dica certe cose”. “Sappiano tutti che il mondo va così” la controreplica…”Il tuo va così, non certo il mio” chiuse Robledo.

“Palazzo d’ingiustizia”, 208 pagine a firma di Riccardo Iacona, giornalista e conduttore tv, dimostra che quando c’è la possibilità di sapere le cose emerge che la magistratura si delegittima da sola con i suoi comportamenti.

E davanti al Csm Bruti poi spiegherà: “Io ho fatto una battuta di spirito… Robledo sembrava lamentare di non essere da me abbastanza amato e dissi che era tanto amato che Md lo aveva entusiasticamente votato. Le frasi in questione è meglio per la dignità di tutti che rimangano dove sono”. Insomma il procuratore, in evidente imbarazzo, invocava gli omissis.

“Io penso che questa storia non sia mai stata raccontata per quello che ha realmente significato. Perché non è solo la storia di Alfredo Robledo (declassato nei giorni scorsi da aggiunto a pm a Torino, ndr), è la storia della giustizia italiana e di come non viene esercitata” spiega  Iacona. “Altro che scontro tra due personalità esuberanti! Lo scontro è stato ed è molto più importante dei due contendenti e ci riguarda molto da vicino. In ballo c’è l’autonomia del magistrato quando amministra la giustizia, e non è cosa da poco”.

Insomma se Robledo non avesse presentato l’esposto al Csm contro il suo capo non avremmo saputo molte cose. Il libro è basato su più incontri tra l’autore e Robledo a partire dai primi di agosto del 2017, da cui sono scaturite decine di ore di registrazione. Ma anche su documenti e  resoconti strenografici resi dai protagonisti nel corso delle audizioni davanti al Csm. “Ho chiesto un’intervista ai colleghi magistrati citati da Robledo nei due esposti – scrive Iacona – entrambi non hanno risposto alle mie email”.  Ha parlato, e tanto, Bruti anche se non ho voluto domande dirette sui contenuti dell’esposto di Robledo. Gliene va dato atto, così come di non avere mai querelato chi l’ha criticato per le sue scelte quando era procuratore.

“L’Expo non doveva esserci, ma si è fatta grazie a Cantone e Sala, grazie a un lavoro istituzionale d’eccezione, al prefetto e alla procura di Milano che ringrazio per aver gestito la vicenda con sensibilità istituzionale” sono parole dette da Matteo Renzi allora capo del governo il 5 agosto 2015 e che saranno poi ripetute a novembre.

Il 24 parile 2015 una settimana prima dell’inaugurazione di Expo questo blog, come si ricorda nel libro, pubblicava un articolo dal titolo: “La moratoria sulle indagini della procura di Milano per Expo”.

A Iacona Bruti dice: “Senza quella impostazione del nostro lavoro tale risultato avrebbe rischiato di non realizzarsi. Se si vuole chiamare questo ‘sensibilità istituzionale’ io sono d’accordo. Abbiamo protetto qualcuno? Aspetto che i giornalisti di inchiesta mi dicano chi avremmo protetto, non con chiacchiere ma con elementi precisi utilizzabili processualmente”. E i ringraziamenti di Renzi? “Io non entro nella testa degli altri. Che cosa volesse dire, dovete chiederlo a Renzi”.

Iacona ricorda pure “l’intervento a gamba tesa” di Giorgio Napolitano Capo dello Stato secondo il quale”non si possono superare gli elementi di di disordine e tensione che si sono creati a Milano senza un pacato riconoscimento delle funzioni ordinatrici e cooordinatrici che spettano al capo dell’ufficio”. Cioè, in parole povere, il capo della procura è il padrone  e nessuno rompa le scatole.

Il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale è stato mandato a farsi benedire perché la magistratura ha scelto di essere parte del sistema paese e di salvaguardare Expo a tutti costi.

Del resto Beppe Sala da amministratore di Expo assegna la ristorazione di due padiglioni a Oscar Farinetti senza gara pubblica. Indagato per abuso d’ufficio viene prosciolto senza nemmeno essere interrogato. Nella motivazione della procura si legge: “Sala favorì di fatto Farinetti ma senza averne l’intenzione, manca il dolo”. Amministratori pubblici, sindaci in testa, vengono processati e anche condannati per molto meno. A prosciogliere Sala provvide uno dei giudici che per i fondi di Expo giustizia contribuì alla scelta di non fare gare pubbliche affidandosi ad aziende “in rapporti di consuetudine con la pubblica amministrazione”.

Nel libro di Iacona si parla anche del famoso fascicolo “dimenticato” per sei mesi in un cassetto e riemerso a bocce tirate quando la gara d’asta per la Sea si era già svolta e in pratica non si potevano più svolgere indagini. Le carte arrivarono sul tavolo di Robledo troppo tardi per responsabilità esclusiva del suo capo. L’inchiesta fatta a tempo debito avrebbe messo in imbarazzo la neonata giunta di centrosinistra di Pisapia. Anche in questo caso “senso di responsabilità istituzionale”, ma stavolta senza ringraziamenti pubblici. Pensiamo a un pm che dimentica nel cassetto per sei mesi un fascicolo su Berlusconi. Buttano via la chiave della cella.

A poche ora dall’uscita del libro, il giudice Andrea Mirenda – che ha denunciato nel libro “il tumore” delle correnti  nella magistratura a Danilo Procaccianti, collaboratore di Iacona – è stato colpito da una richiesta di sanzione disciplinare inviata dall’ex membro laico del Csm e parlamentare Pierantonio Zanettin al Ministro Andrea Orlando. (frank Cimini e manuela d’alessandro)