Stamattina un ragazzo che sogna di fare l’avvocato si è appoggiato al parapetto del quarto piano del palazzo di giustizia di Milano ed è precipitato al piano di sotto. Rischia di rimanere paralizzato a causa di gravi lesioni spinali, ora è in terapia intensiva al Policlinico. Stava telefonando quando ha perso l’equilibrio ed è caduto. Il pm Maura Ripamonti, esclusa l’ipotesi del gesto volontario anche sulla base delle dichiarazioni del giovane, ha aperto un’inchiesta per lesioni colpose gravisisme a carico di ignoti. Difficile pensare che quei parapetti siano a norma. Nel 2016, la Procura aveva fatto una segnalazione alla Commissione manutenzione proprio su quei parapetti, sottolineandone la pericolosità. In questi anni, si sono spesi milioni di euro ’dote’ di Expo, compresi i soldi per gli inutili monitor, ormai diventati scheletri digitali.
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Soldi per il banchetto della figlia, la strana spiegazione del leghsita condannato
Stefano Galli, ex capogruppo della Lega in Regione Lombardia, è stato l’ex consigliere a cui è toccata la condanna più alta, 4 anni e otto mesi di carcere, nel processo sulla presunte ‘spese pazze’ coi fondi destinati ai gruppi consiliari. Era accusato di peculato per una serie di spese ‘extra mandato istituzionale’ e truffa aggravata per erogazione indebita di fondi pubblici in relazione a una consulenza affidata al genero. I giudici non hanno creduto alla curiosa spiegazione, mai riportata dai media prima d’ora , che aveva dato in udienza per giustificare i 6180 euro di soldi pubblici spesi per organizzare un banchetto di 103 persone in occasione del matrimonio della figlia. “Qui è stato un pasticcio – aveva detto Galli – un errore da parte mia perché non ho verificato, non ho controllato…le cose le ho sapute poi dopo. Quando avvenne il patatrac delle indagini, io continuavo a rispondere ai giornalisti che mi telefonavano, mi dicevano: ‘Guardi che c’è il matrimonio, un rimborso del matrimonio di sua figlia’ e io continuavo a dire: ‘Ma voi siete matti, di cosa parlate?. Poi una sera a casa non riuscivo a capacitarmi , mia moglie mi dice: ‘Guarda, c’è stato un pasticcio’. In pratica, mia figlia, quando è partita per il viaggio di nozze, ha portato a casa dia mia moglie il vestito da sposa suo e di suo marito con la richiesta di portarli in lavanderia perché erano sporchi. Mia moglie, nel pulire i vestiti, ha trovato la ricevuta del matrimonio di mia figlia e inavvertitamente l’ha messo sulla credenza dove mettevo le mie ricevute quando andavo a pranzo, a cena, a livello istituzionale. Io non ho controllato, quando è stato il momento ho messo le ricevute nelle solite buste e non mi sono accorto che ho consegnato anche la ricevuta e nemmeno che poi mi è stata rimborsata, perché di banche non me ne sono mai occupato, lo faceva mia moglie”. (manuela d’alessandro)
Quattro sindacalisti condannati per un ‘picchetto’ a Milano
Una condanna inflitta a dei sindacalisti per il reato di violenza privata durante una manifestazione di lavoratori fa notizia: in questo caso ancor di più perché l’accusa aveva chiesto l’assoluzione e nessuno, come sottolinea il loro avvocato Mirko Mazzali, si è fatto male.
E’ successo a Milano dove il giudice Alberto Carboni ha condannato quattro rappresentanti del Si Cobas a un anno e otto mesi di carcere nel processo con al centro una manifestazione di protesta di decine di lavoratori davanti ai cancelli della Dhl Supply Chain di Settala (Milano), parte del gruppo leader mondiale nella logistica. I fatti risalgono al 19 marzo 2015 e gli operai, impiegati in cooperative per lavori di facchinaggio, chiedevano il riconoscimento di diritti previsti dal contratto nazionale. Assieme a loro sono stati condannati a pene comprese tra un anno e otto mesi e due anni e sei mesi 3 manifestanti frequentatori di un centro sociale. Assolti altri 18 imputati, tra cui diversi operai e altri rappresentanti dei centri sociali. “I sindacalisti sono stati condannati per la loro sola presenza. Nessuno si è fatto male, tutto si è svolto tutto in un clima pacifico”, afferma uno dei loro legali, l’avvocato Mirko Mazzali. Nell’originario capo d’imputazione, poi ‘smentito’ alla luce del dibattimento dallo stesso vpo (viceprocuratore onorario) che ha chiesto l’assoluzione, veniva contestato agli imputati il reato di violenza privata perché attraverso un picchettaggio all’ingresso dello stabile della DHL Supply Chain “impedivano l’accesso di altri lavoratori non aderenti alla manifestazione e l’ingresso e l’uscita degli automezzi con a bordo prodotti farmaceutici con comportamento violento e minaccioso”. A nessuno dei condannati sono state riconosciute le attenuanti generiche. Durante il processo, un poliziotto della Digos, sentito come testimone, aveva spiegato che “c’era una situazione abbastanza calma“. Lo stesso giudice che ha gestito il dibattimento, Emanuela Rossi, che poi ha passato la mano a Carboni perché è stata trasferita al Tribunale dei Minorenni, sembrava propendere verso un altro epilogo del processo. “Da quello che ci ha detto – aveva affermato rivolgendosi al teste della Digos – tutto si è svolto in modo pacifico”. (manuela d’alessandro)
Casalino ‘assolto’, in confidenza poteva ‘sbracare’ coi giornalisti
L’audio in cui Rocco Casalino esprimeva, tra le altre cose, l’intenzione di “far fuori tutti questi pezzi di merda del Mef se non dovessero uscire i soldi per il reddito di cittadinanza” appartiene a “quel tipo di comunicazione che rientra in un rapporto di confidenzialità che connota la vita dei Palazzi e dei rapporti tra portavoce e giornalisti”. Così il Consiglio di disciplina dell’Ordine dei Giornalisti lombardo argomenta l’archiviazione dell’istruttoria avviata sul portavoce dei 5 Stelle in relazione al messaggio vocale mandato via whattsapp a diversi cronisti che poi l’hanno diffuso sulle loro testate nel settembre scorso. L’accusa per Casalino era quella di avere violato le regole deontologiche, in particolare le sue dichiarazioni venivano giudicate dall’Ordine “non pertinenti e non continenti”, come impone la legge professionale.
“Si tratta di un dialogo privato – obbiettano gli autori della decisione (il presidente il giornalista della ‘Stampa’ Paolo Colonnello affiancato dal collega del ‘Corriere della Sera’ Giuseppe Guastella e dall’avvocato Claudia Balzarini) – dove certe circostanze, le ventilate minacce a non meglio identificati funzionari del Mef, la caccia ai burocrati che non garantirebbero le coperture finanziarie richieste, rappresentano un modo colorito per significare una situazione politica in essere”. “Nessuna minaccia” nelle parole di Casalino quando dice al collega: “Se domani vuoi uscire con una cosa che può essere simpatica, la metti come che nel Movimento 5 Stelle è pronta una mega vendetta, cioé c’è chi giura che se poi non dovessero uscire fuori i soldi, tutto il 2019 sarà dedicato a far fuori una marea di gente nel Mef”. “E’ noto a chi si occupa di politica ma anche di cronaca, e intende riportare dei retroscena in determinate vicende, come il rapporto con le fonti sia di vitale importanza – si legge ancora nel provvedimento – ed é in questa confidenzialità, al di fuori dunque di un ambito pubblico, che si crea un perimetro di garanzia all’interno del quale si può esplicare quel rapporto fiduciario necessario al giornalista per comprendere e poi riportare nei toni e nei modi dovuti alcuni aspetti non ufficiali della notizia”. (manuela d’alessandro)
archiviazione istruttoria Casalino