La corte di appello dell’Aquila dice che non vi sono le condizioni per estradare Anan Yaeesh in Israele perché rischierebbe di essere sottoposto a trattamenti disumani crudeli e degradanti ma il vero motivo per cui il giovane attivista palestinese non viene consegnato a Telaviv è quello dell’indagine che lo riguarda centrata sugli stessi fatti per i quali era stata chiesta l’estradizione.
Parliamo dell’operazione che ha portato in carcere con la firma del gip aquilano Anan Yaeesh e altri due palestinesi con l’accusa di associazione per delinquere finalizzata al terrorismo internazionale, quella che nel corso di un presidio di solidarietà è stata definita “una bolla mediatica”. Insomma non potevano consegnarlo perché rischiava di essere torturato e lo hanno arrestato.
Il rischio della tortura e della violazioni dei diritti umani la corte di appello lo ammette dando credibilità alle relazioni depositate dall’avvocato Flavio Rossi Albertini che provengono da organizzazioni non governative ritenute affidabili sul piano internazionale quali Amnesty Internationale Humans Right Watch “che ben possono essere utilizzate ai fini della verifica della condizione ostativa all’estradizione.
In queste relazioni, ricorda la corte di appello, si fa riferimento a condizioni di detenzione penose per i cittadini palestinesi, caratterizzate sovraffollamento, violenze fisiche, condizioni di scarsa igiene e di mancata assistenza sanitaria u,teriorme te peggiorate in concomitanza con il conflitto in corso”.
In buona sostanza non potendo per ragioni di immagine della democratura italiana spedirlo in Israele “ci pensiamo noi a tenerlo in vinculi. In questo modo la procura di Telaviv sarà soddisfatta del comportamento della sua sezione distaccata a L’Aquila,
frank cimini