giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

17 anni per chiudere un’indagine su uno spaccio all’inizio del millennio

Capita, a inizio stagione giudiziaria, di trovare un avvocato nei corridoi della Procura e, dopo i saluti di rito, chiedergli se abbia qualcosa di interessante. “Nulla di che, sto andando a informarmi su un’inchiesta chiusa dopo 17 anni”, ti risponde come se fosse un’attività di routine.

Un’indagine complessa, non c’è che dire. Un’ottantina di indagati in origine, diversi pm all’opera, venti faldoni di intercettazioni, pedinamenti, ricostruzioni su un maxi spaccio di pasticche di ecstasy avvenuto a Milano all’inizio del nuovo millennio.  Ma 17 anni per arrivare alla chiusura delle indagini notificata a 11 persone  è un tempo che ci appare davvero mostruoso. “La prescrizione non c’è ancora, ci vogliono più di 20 anni”, spiega l’avvocato Mirko Perlino cui la chiusura è stata recapitata in questi giorni, sebbene la data sull’atto, firmato dal pm Francesca Celle, sia 31 marzo 2016. “Forse hanno fatto fatica a individuare i domicili di alcuni degli indagati”, ipotizza il legale. In effetti, 17 anni dopo uno avrà pure cambiato casa.

(manuela d’alessandro)

Milano, guarda com’è ridotta la targa che ricorda Pinelli

Se per incuria o per dolo, non si sa. Ma è certo che una delle due targhe dedicate alla memoria di Giuseppe Pinelli in piazza Fontana, quella collocata dagli “studenti e democratici milanesi” nel 2006, non se la passa affatto bene. Il basamento è spezzato in due e le rose sono stramazzate sull’erba mischiate alle foglie secche. La lapide che riporta le parole “ucciso innocente” era stata rimessa dopo essere stata tolta grazie a una mobilitazione popolare  ed è affiancata da quella posta dal Comune sulla quale si legge “innocente morto tragicamente”.

“Mettere le parole ‘innocente morto’ anziché  ’ucciso innocente’ fa una bella differenza: equivale a negare il nostro diritto a conoscere la verità”, aveva commentato Leo Valitutti, l’anarchico amico di Pietro Valpreda che il 6 dicembre 1969 era presente nei locali della Questura di Milano quando il Commissario Luigi Calabresi e altri poliziotti interrogarono il ferroviere partigiano fermato perché tra i sospetti responsabili della strage di piazza Fontana.

Pinelli morì precipitando dal quarto piano. La verità giudiziaria sancita dal giudice Gerardo D’Ambrosio che parlò “un malore attivo” non ha mai convinto nessuno. Dopo la sua morte, lui e Valpreda vennero dichiarati innocenti. (manuela d’alessandro)

 

La lettera dei genitori di Riccardo e Chiara, “la sofferenza di Pellicanò si unisce alla nostra”

“Vogliamo portare la nostra testimonianza provando a tenere a distanza la rabbia, che pure è compagna inseparabile della nostra vita ferita a morte e, ancor più, ogni voglia torbida di vendetta, alla quale cerchiamo di resistere con tutte le nostre forze, convinti come siamo che la sofferenza del colpevole si aggiunge a quella delle vittime e non può minimamente alleviarla e restituirci i nostri ragazzi”. La lettera viene letta dall’avvocato di parte civile Valeria Attili ma la voce che tutti sentono nell’aula è quella dei genitori di Chiara e Riccardo, morti a 27 anni nell’assurda esplosione provocata da Roberto Pellicanò, il pubblicitario che il 22 luglio 2016 svitò il tubo del gas nella palazzina di via Brioschi a Milano.

Quella voce suona anche nel cuore di Roberto Pellicanò che, seduto tra i suoi avvocati, piange.

Chiara Magnamassa e Riccardo Maglianesi erano la coppia di vicini di casa arrivati dalle Marche. “Quella mattina – scrivono i genitori – non è stato spezzato un sogno o un vago desiderio: sono state spezzate delle vite umane, ormai incamminate in un concreto e preciso percorso di realizzazione personale, professionale e quindi anche sociale”.

Nei mesi scorsi, Pellicanò, a cui è stato riconosciuto il vizio parziale di mente per una forma di depressione, aveva chiesto perdono in una lettera ai familiari dei ragazzi. “Non vogliamo forzare con le nostre parole – prosegue la missiva – quella ricerca doverosa e delicata di un concreto bilanciamento di offesa e riparazione che appartiene alla logica alta della giustizia, cui  ogni iter processuale deve sempre ispirarsi. Desideriamo però condividere chiunque abbia a cuore questa logica alta della giustizia le domande che continuano ad accompagnarci da quella mattina: Perché? Perché i nostri figli hanno dovuto pagare un pezzo così alto atroce e irreparabile per una storia che non è mai stata, nemmeno per un istante, la loro storia? Perché una fine così orrenda, così assurda, che racchiude in sé i caratteri dell’ingiustizia assoluta?”.  Secondo le indagini, Pellicanò avrebbe agito “spinto dalla rabbia per la separazione” da Micaela Masella, la donna con la quale, nonostante la fine della relazione, continuava a vivere assieme alle figlie di 7 e 11 anni. Anche Micaela perse la vita, mentre le bimbe riportarono gravi ustioni sul corpo. Il pm ha chiesto la condanna all’ergastolo per Pellicanò.