giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

La donna ecuadoriana vittima della ‘ndrangheta a cui Milano volta la faccia

“A Pioltello la vita è diventata per me invivibile. Quando ieri sono tornata a casa a prendere le mie cose la gente del condominio voleva picchiarmi perché diceva che era colpa mia quello che era successo”.

C’è una famiglia ecuadoriana vicino a  Milano che deve scappare perché è perseguitata dalla ‘ndrangheta che, secondo la Procura,  è arrivata a far esplodere una palazzina per intimidirla a causa di un debito non onorato.

Chi mette a verbale il suo terrore è la mamma del ragazzo beneficiario di un prestito usurario incassato da Alessandro Manno, 25enne appartenente alla famiglia mafiosa della ‘locale’ di Pioltello oggi arrestato dai carabinieri per avere provocato lo scoppio del 10 ottobre scorso.

E mezza famiglia in effetti se n’è andata: prima il figlio, ad agosto, e poi il padre, subito dopo l’attentato a lui preannunciato il giorno prima da Manno (“Se non paga il figlio paga il genitore e vedrai quello che ti succederà lunedì”). Il ragazzo aveva chiesto dei soldi per fronteggiare i debiti contratti durante la sua attività di impresario di cantanti sudamericani.

Restano a Pioltello la mamma e l’altro figlio più piccolo, forse ancora per poco. E, a quanto racconta la donna, con scarsa solidarietà attorno. “Mi accorgo che mia cognata non ha piacere che io rimanga a casa sua. Si sente osservata dalle persone che incontra e tutti noi viviamo in un clima di terrore. A Pioltello tutti sanno che i Manno sono gente pericolosa. Mia cognata ieri è andata al parco col bambino e mi hanno detto che le persone la additavano dicendo che il padre di Manno era in carcere e tra un anno sarebbe uscito, sottolineando che quando ai Manno toccano i loro figli non si fermano davanti a niente. Io e mio marito volevamo stare in Italia. Lui aveva un  buon lavoro, non eravamo ricchi ma volevamo continuare a stare in Italia, ma questo non è possibile”. E lo stesso giudice Paolo Guidi, che firma l’ordinanza di custodia cautelare, riconosce : “E’ del tutto verosimile che il clima di intimidazione realizzato dai Manno nel territorio di Pioltello possa incidere su coloro che hanno reso dichiarazioni in questo procedimento”. Tutta questa paura a 13 chilometri da Milano. (manuela d’alessandro)

Reati ‘domestici’ contro le donne, a Milano il 40% viene assolto

Italiano, 42 anni, disoccupato e alcolista. E’ questo il profilo dell’imputato per reati di violenza di genere (maltrattamenti contro familiari o conviventi, stalking, violenza sessuale) nei Tribunali di Milano (sezioni nona e quinta), Como e Pavia. Ma nel 40% dei procedimenti viene  assolto/prosciolto. “Una percentuale molto elevata”, commenta il giudice Fabio Roia tra gli autori dello studio, assieme all’avvocato Silvia Belloni, promosso dalla Regione Lombardia, dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati e dal Tribunale meneghino che ha preso in considerazione 120 procedimenti tra l’1 gennaio e il 31 luglio 2017. La relazione tra imputati e parti offese è di conviventi (61%), separati/divorziati (27%) e partner (12%).

Netto il ‘primato’ degli italiani con il 59%. Dall’Europa orientale proviene il 12% degli imputati, il 10% dal Nord Africa, l’8% dall’Asia e dall’America Latina. Il dato sulla condizione lavorativa vede la prevalenza di disoccupati (31%) e operai (25%). Seguono impiegati (11%), artigiani/commercianti (5%), dirigenti/professionisti (3%). Tra le caratteristiche dell’imputato tracciate da questa indagine figura quella della dipendenza da alcol e droghe (40%).
La maggior parte dei presunti autori dei reati ha precedenti penali, il 14% sulla stessa vittima (nel 61% è la convivente), il 28% per reati contro la persona. Altissima la soglia di ‘sopportazione’ della donna: i maltrattamenti durano più di 5 anni nel 31% dei casi.  Basso il ricorso ai centri anti – violenza, solo nel 25% dei casi. Le parti offese preferiscono rivolgersi alle forze dell’ordine (60%) e agli ospedali (58%) e poi in maggioranza non si costituiscono parti civili (solo il 42% lo fa).

Sorprende il dato dei proscioglimenti e delle assoluzioni che sfiora il 40%. Colpevole è il 63% degli imputati per violenza sessuale, il 61,5% per stalking e il 62% per maltrattamenti. Per i maltrattamenti le assoluzioni sono motivate da mancanza del dolo (14%) mancanza di abitualità (22%), mancanza di riscontri esterni (11%), assenza di credibilità della parte offesa (10%), ritrattazione (7%). La media delle pene è di 1 anno e tre mesi per lo stalking, 6 anni e otto mesi per la violenza sessuale, 2 anni e sei mesi per i maltrattamenti. (manuela d’alessandro)

 

 

NoTav, Cassazione ai pm: rassegnatevi, non fu terrorismo

“Il ricorso tende ancora una volta a sollecitare una diversa valutazione dei fatti che non compete alla corte di legittimità”. Questo scrive la Cassazione nel motivare perché respinge il ricorso della procura e della procura generale di Torino contro la sentenza che aveva assolto i militanti NoTav dall’accusa di aver agito con finalità di terrorismo nell’azione contro il cantiere dell’alta velocità di Chiomonte quando fu danneggiato un compressore.

Quel riferimento ad “ancora una volta” ricorda che si tratta della terza volta, tra misure cautelari e processo, in cui i rappresentanti dell’accusa puntano a dimostrare l’agire per finalità di terrorismo. In pratica è un invito esplicito a rassegnarsi. Innanzitutto perché il ricorso contro la decisione della corte d’assise d’appello non è in diritto ma nel merito. E anche perché non c’era volontà di ledere la vita degli operai del cantiere o del personale di polizia ma solo di provocare danni ai mezzi. La Cassazione inoltre nega che vi fosse l’obiettivo di far recedere i pubblici poteri dal realizzare l’opera dell’alta velocità in Val Susa.

La motivazione che ricalca quella del Riesame e della corte d’assise d’appello assume particolare importanza anche alla luce di recentissime diatribe giuridico-politiche legate alla giunta regionale del Veneto che aveva approvato una mozione con cui si chiede al governo e al parlamenti di “innovare” la legislazione introducendo il reato di “terrorismo da piazza”.

L’ accusa legata alla finalità di terrorismo, rivelatasi poi insussistente, era costata ai militanti NoTav una lunghissima carcerazione preventiva in regime di alta sorveglianza proseguita anche quando l’imputazione era già caduta. Insomma i pm torinesi Antonio Rinaudo di esplicite simpatie destrorse, Andrea Padalino ex militante dei giovani comunisti, l’ex procuratore generale Marcello Maddalena ora in pensione, impegnati a inseguire fantasmi, avrebbero fatto bene a dedicarsi ad altro. Magari agli appalti dell’alta velocità in Val Susa che sembrano gli unici onesti e trasparenti in un paese dove la corruzione dilaga. (frank cimini)

La lettera di Spataro agli avvocati, l’orgoglio e l’amore per Andrea

 

Col permesso dell’autore, pubblichiamo la meravigliosa lettera che il magistrato Armando Spataro ha inviato agli avvocati milanesi per ricordare il figlio Andrea.

 

“Carissimi Avvocati,

è trascorso un mese dall’ultima volta in cui ho visto mio figlio Andrea, giovane avvocato penalista di 36 anni.

Ho già ringraziato molti di voi per la vicinanza manifestata in questi momenti di immaginabile dolore, ma spero ora di non apparire inopportuno nel tentativo di “far parlare Andrea”: sono tanti i genitori che soffrono per simili tragedie e non tutti hanno questa possibilità… e forse lo stesso mio figlio, dotato di una grande sobrietà, potrebbe non essere d’accordo…

Vi chiedo scusa, allora, se mi lascio guidare dal cuore: ho deciso di scrivervi egualmente perché voglio affidarvi non solo il ricordo di un figlio, ma quello di un figlio-avvocato. E ve lo trasmetto attraverso parole di un avvocato e di un giudice.

L’avv. Salvatore Scuto del foro di Milano, presso il cui studio mio figlio lavorava, ha di lui scritto: “Andrea aveva sviluppato una bella idea della funzione difensiva, moderna, senza retorica ma ferma nella convinzione dell’imprescindibile suo ruolo nella dinamica processuale. A volte rientrava da un’udienza o da un colloquio con un pubblico ministero infastidito, se non arrabbiato (in questo, e per fortuna, non era ancora un ‘disilluso’ ed io credo che non lo sarebbe diventato mai), per aver visto svolgere il ruolo della controparte in un modo non coerente con la sua idea del processo e della tutela dei diritti. Andrea è andato avanti ed ha superato e vinto la sua sfida con la forza delle sue idee e delle sue convinzioni, orgoglioso come era di essere avvocato. Quella forza e quella dignità lo hanno sostenuto sino alla fine facendo a gara con una riservatezza così ferrea da lasciare oggi, in chi gli ha vissuto accanto nella vita lavorativa, ammirazione accompagnata però da una punta di smarrimento.  I tanti suoi amici del tifo juventino hanno trovato le parole giuste per salutarlo nello stadio della sua Juventus quando gli hanno dedicato un striscione esposto nell’ultimo derby torinese con la scritta <<Andrea nessuno muore nel cuore di chi resta!>>. È’ proprio così Andrea”.

Ed il giudice Bruno Giordano, che lo ha seguito anche in una significativa esperienza accademica, così lo ha ricordato, descrivendo la sua incertezza nelle decisioni da prendere per il futuro: “..gli chiedo se vuole “veramente” preparare il concorso per magistrato. Lo trovo combattuto tra magistratura e avvocatura, che sceglie con il coraggio e la forza di chi vuole farcela, bene e da solo. Un giorno dopo il pensionamento del prof. Dominioni (con cui aveva collaborato) lo sento deluso, non vuole perdere l’incipiente carriera accademica, ma mi sembra che Andrea si senta finalmente libero di scegliere una sua strada. Gli propongo di iniziare un dottorato di ricerca. Ci pensa due giorni chiedendomi di non parlarne con il padre. E infatti non l’ho mai fatto. Poi Andrea mi raggiunge in ufficio, dove con garbo e eleganza, ma con commozione, mi dice che vuole fare l’avvocato, andare in udienza, lottare, lottare e lottare per affermare un diritto. Io mi arresi, Andrea ha lottato fino all’ultimo.

Il 5 luglio 2014 avevo spedito ad Andrea una mail per raccontargli della bellissima cerimonia cui avevo assistito nell’Aula Magna del Palazzo di Giustizia di Torino, intitolata a Fulvio Croce, quella annualmente organizzata dal locale Consiglio dell’Ordine in onore degli Avvocati che hanno esercitato per 60 o 50 anni la professione forense. Avevo parlato ad Andrea di una cerimonia “solenne ed informale insieme, carica di giustificato orgoglio dei protagonisti”. Gli avevo poi ricordato le coinvolgenti parole del Presidente avv. Mario Napoli e dell’avv. Ottolenghi (“un passato anche da partigiano ed un presente pure da scrittore”), citandogli infine quelle di  Giampaolo Zancan: “In cinquant’anni ho difeso tutti, ma non ho preso ordini da alcuno”, una frase che a mio figlio era piaciuta molto, che  esalta la libertà di pensiero e la coerenza che sono le doti morali più importanti per chiunque operi nel campo della giustizia.

Così chiudevo quella mail ad Andrea: “Zancan è giustamente orgoglioso della sua carriera, come io lo sono del fatto che tu sia un giovane avvocato!”

Andrea amava lottare, appunto, con libertà di pensiero, dignità e coerenza: non a caso gli piaceva molto la bronzea statua equestre di Ferdinando di Savoia – Duca di Genova, che domina il centro della Piazza Solferino di Torino: il cavallo ferito nella battaglia di Novara del marzo 1849 combattuta contro gli invasori durante la prima guerra di indipendenza, sta cadendo e morendo, ma chi lo cavalca continua a combattere con la spada in pugno. La lapide sotto la statua così descrive quella scena e ricorda Ferdinando “Ferito a morte il cavallo nella battaglia di Novara, seppe vendicare col valore l’ingiuria della fortuna”. Già, l’ “ingiuria della fortuna”.

Andrea era anche un accanito e conosciuto collezionista di statuette varie, soprattutto – ma non solo – dei Cavalieri dello Zodiaco, combattenti per il bene del cosmo e per la pace sulla Terra.

La lotta…la lotta dunque come regola di vita, non in senso retorico, ma quella quotidiana e silente per i principi in cui si crede, per il bene, per la solidarietà, per la vita…Ed eroe non è sempre e solo chi per tutto questo combatte e vince, ma anche chi combatte e perde.

L’11 settembre, cioè il giorno della S. Messa per Andrea, i suoi più cari amici gli hanno dedicato due pagine di amore che uno di loro ha letto in un’affollata Basilica milanese. Tra le altre, hanno ricordato queste sue belle parole da giovane avvocato che si guarda intorno e vuole capire e conoscere, parole che ripeteva ai suoi amici e colleghi: “il Tribunale va vissuto…e la giustizia non è l’avventura di un giorno !”

Erano questa sua visione della giustizia e la dignità con cui viveva la sua professione che mi rendevano e mi rendono orgoglioso di avere avuto un “figlio-avvocato”.

Sono queste sue parole che mi consentono di avere sempre mio figlio accanto.

Voglio ringraziarvi ancora, con tutto il cuore ed insieme a mia moglie, per l’affetto che ci avete manifestato in questi giorni di dolore, un affetto dedicato ad Andrea”.

Armando Spataro