giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

Il riscattto di Marta, che mascherava le botte con il trucco

Il linguaggio è quello del cuore, e non te lo aspetteresti in un atto giudiziario. Del resto chi scrive ha vissuto l’inferno delle botte, della dipendenza psicologica, del giogo di un uomo che per lei rappresentava un punto di riferimento e invece non era altro che un violento. Questa è una storia di sofferenza, ma anche di riscatto e speranza, che ricostruiamo attraverso alcune sentenze e le poche pagine di una denuncia ai carabinieri.

“Ero talmente coinvolta sentimentalmente e succube del mio fidanzato che sottostavo ai suoi comportamenti violenti pensando fosse amore”, scrive Marta, oggi 25enne, nella denuncia presentata a dicembre scorso nei confronti del suo ex fidanzato, Roger, dieci anni più grande, davanti ai carabinieri di Rho.

Parla degli anni in cui ha subito e non ha mai protestato. Cinque volte in ospedale, ricoverata due volte, una delle quali perché Roger l’aveva “scaraventata a terra”, fratturandole il pavimento orbitale. Un’altra le aveva sferrato un pugno talmente forte da spaccarle il labbro inferiore. “Quando venni convocata per essere sentita come teste, non dichiarai la verità perché ero innamorata di lui e allo stesso tempo temevo la sua reazione violenta”. Ai medici, con l’occhio gonfio all’inverosimile, aveva dichiarato di essere caduta in bicicletta. Poi Roger viene arrestato, grazie alla denuncia della madre di Marta. Dopo un paio di settimane in carcere, viene messo ai domiciliari. E lì Marta continua a cercarlo. Lo incontra nella taverna di casa, lontano dagli occhi dei genitori di lui. E lì, si sottopone agli stessi interrogatori di sempre: “Con chi ti vedi, con chi parli, sei una stronza, una zoccola, te la farò pagare”. Altre botte. E’ Marta a trovare i soldi per pagare gli avvocati di lui. Quindicimila euro, alla fine. In parte suoi risparmi, in parte denaro rubacchiato in casa e fuori. Tanto che lei finisce nei guai con la giustizia. E’ Roger stesso ad averle insegnato un trucchetto per ingannare i negozianti, una specie di gioco delle tre carte con i resti delle banconote. Lui intanto è viene condannato a tre anni e 4 mesi in abbreviato, con una sentenza innovativa perché riconosce ai famigliari un risarcimento, pur quasi simbolico, per il danno esistenziale subito nel vedere trasformata e allontanata Marta: figlia e sorella. Roger sconta la condanna e torna libero, Marta però si riprende la sua vita. Questa volta è lei a raccontare agli inquirenti tutto quello che ancora non conoscono. Altri episodi di violenza, i soldi, gli insulti, gli ultimi appostamenti di lui.

Nella denuncia firmata di suo pugno, sostenuta di nuovo dalla madre, dall’avvocato Patrizio Nicolò e dagli assistenti sociali, Marta racconta così la sua storia: la prima volta “mascherai i lividi che avevo in volto con il trucco, e indossando indumenti lunghi per quelli che avevo sul corpo”. La seconda volta “lui tentò di strangolarmi, tant’è che per alcuni giorni rimasero sul collo i segni delle sue dita, come se fossero graffi”. Anche dopo il terzo episodio simile “non rivelai a nessuno queste violenze per timore che lui lo venisse a sapere e mi facesse ancora del male (…) Ogni volta che mi picchiava, dopo poco si pentiva, mi chiedeva scusa e io per amore lo perdonavo”.

Ora lei non lo perdona più. Ed è improbabile che lo perdonino i giudici, ora che il pm Stefano Ammendola gli ha notificato una nuova chiusura indagini, questa volta anche con l’accusa di estorsione. “Il rimpianto più grosso che ho è di non averlo denunciato prima”, è il messaggio che oggi Marta vuole lanciare alle tante che come lei ha fatto in passato, subiscono in silenzio.

Expo, Sala prosciolto… inutili le indagini a babbo morto

Le indagini a babbo morto ad anni di distanza dai fatti sono inutili e non portano da nessuna parte chi le fa. In questo caso la Procura generale della Repubblica di Milano che aveva cercato di fare il lavoro che la procura ai tempi decidendo per la moratoria in nome della celebrazione dell’evento Expo a tutti i costi aveva scelto di non fare. Il sindaco Beppe Sala è stato prosciolto dal gip dall’accusa di abuso d’ufficio relativa all’affidamento alla Mantovani senza gara della fornitura di alberi pagati 6 volte tanto.

Si tratta di una storia assurda dalla quale non esce bene nessuno. La procura retta da Edmondo Bruti Liberati per prima. A dimostrarlo restano le parole dell’allora premier Matteo Renzi che ringraziava Buti “per il senso di responsabilità istituzionale” inserito tra le cause del “successo di Expo”.

La procura generale ha sfiorato il ridicolo con i cambi di imputazione, prima la turbativa d’asta, poi l’abuso d’ufficio e a una settimana dalla fine dell’udienza preliminare l’aggiunta della violazione relativa alla normativa europea. Le perquisizioni ordinate alla Gdf 3 anni dopo non potevano che rivelarsi un solletico.

Beppe Sala, portatore di un conflitto di interessi gigantesco tra amministratore di Expo e candidato sindaco poi eletto, anche perché senza nemmeno interrogarlo la procura chiedeva e otteneva il suo proscioglimento dall’accusa di aver favorito Oscar Farinetti con l’affidamento della ristorazione di due padiglioni. Anche in questo caso senza gara pubblica, in pratica una costante. Perché va ricordato che per i fondi di Expo-giustizia i vertici del palazzo di via Freguglia omettevano le gare affidandosi ad aziende che avevano consuetudine con la pubblica amministrazione. Tra queste una con sede legale nel paradiso fiscale del Delaware.

Su presunte responsabilità dei magistrati e dei giudici di Milano ci sono fascicoli aperti a Brescia e a Venezia di cui si sa poco o nulla. E non è detto che ne sapremo qualcosa. Tutto si tiene. Soprattutto a babbo morto. (frank cimini)

La notte che tutti erano liberi al carcere di Opera

Una serata di “Rinascimento”, così la introduce Angelo Aparo, lo psicologo che da anni porta i detenuti a parlare coi ragazzi nelle scuole. E sembra proprio immaginarla maiuscola la ‘R’ di rinascimento perché c’è una cattedrale di bellezza che fiorisce in questa notte speciale al carcere di Opera dove si trovano assieme magistrati, carcerati, vittime e giornalisti, ispirati dal documentario ‘Lo Strappo – quattro chiacchiere sul crimine’.

Assieme davvero: nessuno parla per sé ma il dialogo è continuo, un filo che tutti tessono tra le mani, che a volte brucia ma non si spezza per un secondo. Tutti in cerchio, attorno allo stesso fuoco. Come Adriano Sannino, che sta scontando la pena, e l’ex procuratore antimafia, Franco Roberti. Si erano sfiorati, anni fa. “Dopo avere sentito le lettere della vittime, mi sento piccolino vicino a questo dolore così  forte. In passato ho usato tante ‘maschere’ in carcere, ora per me è un onore stare a fianco del dottor Roberti, che conosce  quei processi in cui ero coinvolto. Io vengo da Poggioreale, sono campano, come lui. Ero dall’altra parte della giustizia, ero lì per distruggere la società. Chiedo scusa alle vittime in sala perché ho ucciso. Ma ho incontrato delle persone che mi hanno preso per mano e mi hanno fatto innamorare della vita. Grazie al direttore Giacinto Siciliano (ora a San Vittore, ndr), al ‘Gruppo della trasgressione’ di Aparo, a chi lavora in carcere”.

O come Alessandro Crisafulli, 45 anni, in carcere da 24, ergastolano. Lui ha in testa un ponte. “Siete voi, familiari, i coraggiosi, voi siete la parte che ha subito, sono io che devo fare degli sforzi per venirvi incontro. Sono un ex assassino, non ci sono parole ma io devo trovare qualcosa da dire se vogliamo costruire questo ponte a cui tutti ambiamo. Se oggi potessi incontrare il ragazzo che uccideva, 25 anni fa, più che parlargli, ascolterei i silenzi che gravavano su di lui che viveva in una famiglia silenziosa dove non era riconosciuto in alcun modo”.

Non è una strada dritta, quella dei detenuti che provano a essere liberi in una prigione. Chiede un giovane recluso dal pubblico: “Perché alcuni del ‘Gruppo della trasgressione’ quando escono in permesso commettono ancora reati?”. “E’ difficile dirlo. Io quando esco – ragiona Crisafulli – mi dico: come posso tradire chi mi ha preso in una discarica e mi ha messo su una strada? Come posso tradire ancora quel ragazzo che ero?”.

Non era nemmeno un ragazzo l’avvocato Umberto Ambrosoli quando suo padre Giorgio venne assassinato l’11 luglio del 1979.  Alla domanda dal pubblico su cosa si aspettino i familiari delle vittime dalla giustizia, rianima un episodio che ammutolisce: “Uno dei tre condannati per l’omicidio di mio padre  ripresentò,  5 anni dopo una prima richiesta respinta, una domanda di grazia. Venni chiamato dai carabinieri, com’era già successo la prima volta, che mi consegnarono un modulo per esprimere il mio eventuale consenso.  In quei giorni, mi arrivò la mail della figlia che diceva che il padre era un uomo ormai molto anziano, aveva sbagliato tutto nella vita ma aveva il diritto a morire vicino ai suoi figli.  Rimasi pietrificato, non avevo mai pensato che quell’uomo potesse avere un figlio. Degli altri due conoscevo alcuni dettagli della famiglia, ma non mi ero mai posto domande sul terzo. Mi sono sentito in colpa perché avevo perso un’occasione di curiosità per fare un percorso. Qualche settimana dopo quell’uomo è morto senza che si completasse l’iter processuale”.

Mario, ergastolano, pone un’altra domanda che farebbe paura in ogni luogo, ma non qui, stasera. “Dopo tanti anni coi compagni del Gruppo, ci siamo guardati dentro e oggi ho preso coscienza della mia colpa. Spero di poter restituire qualcosa di significativo del mio cambiamento, anche se sembra un’offesa dirlo davanti alle vittime. Ce la stiamo mettendo tutta, anche coi ragazzi delle scuole (alcuni sono in sala, ndr). La mia domanda è: cosa faccio della mia colpevolezza?”. Manuela Massenz, magistrato di Monza, risponde col coraggio che merita una domanda così:”Prendendo per mano quei ragazzi, come poteva essere Alessandro 25 anni fa, in un certo modo restituite quello che avete tolto”. Se non si dovesse chiudere per motivi di ‘palinsesto’, la sensazione è che si potrebbe andare avanti fino all’alba. C’è tempo anche per l’ammissione dei giornalisti, Paolo Colonnello e Max Rigano, che lo ‘strappo’ per i media, disinteressati alle carceri, non c’è ancora stato. Tocca al direttore Silvio Di Gregorio, che ha raccolto l’eredità preziosa di Siciliano, mandare tutti a dormire: chi fuori, chi dentro. Non prima di avere ringraziato gli straordinari della polizia penitenziaria “che sta lavorando per l’occasione dalle 8 di stamattina”. Una cattedrale ha bisogno di tutti per diventare alta e bella. (manuela d’alessandro)

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Il video della serata a Opera girato da Radio Radicale

 

Padri e figli, i due pesi e due misure del Csm

 

I due pesi e due misure del Csm. Il capo della procura di Salerno Corrado Lembo rischia il trasferimento per incompatibilità ambientale a causa della candidatura di suo figlio a sindaco di Campagna un paese della provincia. Un pratica in tal senso è stata aperta su impulso del Movimento Cinque Stelle. Nessun “fascicolo” invece l’organo di autogoverno dei giudici ha aperto in relazione a Tommaso Bonanno capo della procura di Brescia dopo che un figlio è stato arrestato a Bergamo con l’accusa di rapina e un altro figlio è indagato in una vicenda di spaccio di droga tra i tifosi dell’Atalanta.

Nei giorni scorsi in una nota la sezione dell’Anm di Brescia aveva espresso “disagio” per la situazione creatasi pur esprimendo solidarietà al procuratore dal punto di vista umano. In un dibattito tra i pm di Brescia era stato ipotizzata una situazione di “incompatibilità oggettiva”.

Il quadro appare ancora più inquietante se si pensa che già nel  giugno del 2016 il consigliere togato del Csm Nicola Clivio aveva sollecitato l’apertura di una pratica in relazione alla situazione ambientale della procura di Brescia dove nove sostituti in poco tempo avevano chiesto e ottenuto di lasciare l’ufficio mentre era andato deserto il bando per occupare tre posti. Clivio chiedeva che della vicenda si occupassero la prima commissione per la questione ambientale e la terza commissione per la copertura dei posti.

Va ricordato che Bonanno era stato nominato a capo della procura di Brescia dopo essere stato indagato e prosciolto dallo stesso ufficio in qualità di procuratore di Lecco sulla base di una denuncia presentata per sequestro di persona da parte del figlio finito in una comunità di recupero per tossicodipendenti e recentemente arrestato a Bergamo per rapina.

Clivio chiedeva di far luce sulla “fuga” dei pm da Brescia e su eventuali “criticità strutturali e ambientali”. La richiesta del consigliere restava inascoltata e il Csm non si è mosso nemmeno dopo gli ultimi sviluppi di cronaca: diverso è stato il comportamento dell’organo di autogoverno in riferimento alla procura di Salerno dove evidentemente ha pesato il richiamo della campagna elettorale in corso. (frank cimini)