Sei anni e quattro mesi, una delle condanne più severe registrate in Italia per casi di questo genere, a don Mauro Galli, l’ex parroco di Rozzano accusato di avere abusato di un ragazzino all’epoca 15enne nel dicembre del 2011. Una storia che ha imbarazzato (con toni molto sommessi) fin dal suo insediamento il capo della Chiesa ambrosiana, l’Arcivescovo di Milano Mario Delpini, sentito come testimone nel corso delle indagini. E che ora assume dimensioni eclatanti alla luce di questa condanna e delle dichiarazioni dopo la sentenza della mamma della presunta vittima. “Don Carlo Mantegazza (un altro prete in servizio a Rozzano, ndr) – aveva messo Delpini a verbale il 24 ottobre 2014 – mi aveva riferito di un ragazzo di nome *** che aveva trascorso una notte a casa di don Mauro Galli. Mi disse che il ragazzo aveva poi segnalato presunti abusi sessuali compiuti da don Mauro durante la notte (…). Ho convocato don Mauro che mi disse che aveva solamente voluto ospitare un ragazzo con difficoltà di apprendimento scolastico. Ha ammesso di avere dormito con lui quella notte ma di non avere compiuto alcun atto di tipo sessuale. Ho deciso quindi di trasferire don Mauro ad altro incarico, disponendo il suo trasferimento nella parrocchia di Legnano”. Don Galli venne destinato alla pastorale giovanile, nonostante la grave accusa. Delpini, all’epoca vicario episcopale, non è mai stato indagato. Ma la mamma del ragazzo, subito dopo il verdetto, ha deciso di esporsi con forza e, alla nostra domanda sul’atteggiamento del capo della Chiesa milanese, ha risposto: “Abbiamo avuto con lui un unico incontro nel 2012 che non ci ha per niente soddisfatti. Il suo comportamento è stato maldestro perché dopo avere saputo dell’abuso lo ha messo di nuovo a contatto coi giovani”. Perplessità che sono state espresse in aula anche da don Mantegazza e da un altro prete di Rozzano: “Noi pensavamo – hanno detto ai giudici – che andasse spostato a livello prudenziale non in un contesto di pastorale giovanile”. Don Galli ai giudici della quinta sezione penale (presidente Ambrogio Moccia) ha ammesso di avere dormito col ragazzo a casa sua col consenso dei genitori, negando ogni abuso: “C’erano altri tre letti a disposizione, dormimmo nel mio (…) Notai che era in bilico sul letto con la testa vicino allo spigolo del comodino. D’istinto lo presi per una gamba e lo trascinai sul letto per evitare che sbattesse la testa”. Questo l’unico contatto tra i due, secondo la sua versione, ben diversa da quella del ragazzo che al pm Lucia Minutella ha raccontato degli abusi e di ricordare come un’ossessione “il ghigno” del sacerdote quando lo accompagnò il giorno dopo in auto a una gita con la parrocchia. L’imputato ha risarcito con 100mila euro il giovane e la famiglia che hanno revocato la costituzione di parte civile. “Non abbiamo mai più sentito Delpini da quell’incontro – ricorda la mamma – anche il Papa è a conoscenza dei fatti ma lo ha nominato come membro del Sinodo dei giovani”. (manuela d’alessandro)
Categoria: Nera
Il detenuto che spiega ai giovani reclusi come non fare la sua fine
C’è un detenuto da quasi 30 anni nel carcere di Opera che ogni venerdì mattina, da otto venerdì, entra in quello di San Vittore per spiegare ai giovani reclusi come non fare la sua stessa fine. La prima volta, dice, è stata “un’emozione strepitosa”. Adriano Sannino, un’era fa killer della camorra, ha 46 anni ed è tra gli ‘storici’ componenti del ‘Gruppo della Trasgressione’ animato dallo psicologo Juri Aparo. Uno che gira da 40 anni nelle prigioni e a un certo punto si è messo in testa , tra le altre mille cose, di portare nelle scuole chi viene percepito come reietto per evitare ai ragazzi scelte sbagliate. “La prima volta, ho pensato a quando sono entrato in carcere, buttato lì, con la mia busta, senza che nessuno mi spiegasse nulla. Ora entro dal portone principale, da cittadino. Gli agenti della polizia penitenziaria mi chiedono increduli: ‘Ma tu sei detenuto a Opera?’ e io mi sento uno di loro, un uomo delle istituzioni”. I ‘suoi’ ragazzi Aparo li porta dappertutto, spesso a confrontarsi coi familiari delle vittime, e adesso prova a farli uscire dal carcere ‘di campagna’ di Opera, destinato a chi deve scontare fardelli molto pesanti, per entrare nella galera di Milano centro a seminare libertà.
Sannino può farlo, come presto sarà possibile anche per altri due ergastolani a Opera coinvolti nel progetto, perché è stato ammesso al lavoro esterno. Attraverso la cooperativa fondata da Aparo, scarica frutta e verdura, svegliandosi all’alba e fatica con leggerezza (“Non c’è un giorno che mi pesi”) fino al pomeriggio. Al venerdì, dalle 12 e 30 e per tre ore, diventa lui stesso un ‘educatore’ nel reparto giovani adulti dove lo attendono una ventina di ragazzi, età media sui 20 anni. ” All’inizio mi guardano un po’ così. Ma poi quando vedono che parlo col cuore, quando gli spiego che sono stato uno stronzo e come sono cambiato, mi ascoltano e fanno un sacco di domande. Sulla mia storia, sul punto in cui è cambiata. Non ho verità in tasca, ma con loro mi metto un gioco, cerco di essere all’altezza di una grande responsabilità. Ad agosto per due venerdì, il ‘prof.’ (Aparo, ndr) era in vacanza e ha lasciato da soli me e una studentessa che fa parte del Gruppo, è stato molto emozionante”. Non è sempre facile fare breccia in chi lo ascolta. “Un ragazzo albanese, in particolare, provava a contraddire tutto quello che dicevo, sostenendo di dovere spacciare per aiutare la famiglia e che chi compra la droga è consenziente. Gli ho risposto che chi la compra è malato, non consenziente, che lui alimenta un sistema malavitoso che genera anche morte. Allora lui mi ha chiesto: ‘Preferisci essere tu quella con la pistola o avercela puntata contro?’. Gli ho detto che mi farei ammazzare per la vita e i valori in cui credo. Alla fine mi ha abbracciato e mi ha chiesto quando sarei tornato”.
“Questo è un progetto rivoluzionario – spiega Aparo – nato in collaborazione con l’ex direttore di Opera e ora di San Vittore Giacinto Siciliano che ha l’obbiettivo di far provare ai giovani detenuti un viaggio nel futuro. Attraverso Sannino e gli altri entrano in contatto frontale con quello che potranno diventare se non cambieranno rotta, persone che a 50 anni ne hanno passati 30 in carcere. Tante volte, quando porto i detenuti fuori dal carcere, chi li sente parlare si emoziona e pensa che siano dei santi, che non debbano stare dentro. Ma io dico: se sono in carcere è perché sono stati dei coglioni. Le persone però cambiano e io sono convinto che non basti reinserire i detenuti nel lavoro e fargli guadagnare 1200 euro al mese. Bisogna metterli al centro di una progettualità, attraverso le relazioni umane e la maturazione di un senso di responsabilità”. Da ‘grande’ Sannino, a cui manca ancora qualche anno da scontare, ha un sogno per quando sarà libero: “Creare all’interno della cooperativa una piccola comunità per ragazzi disagiati e trasmettere a loro la mia esperienza”.
(manuela d’alessandro)
*Nella foto tratta dal sito ‘Amici della Mente Onlus’ Juri Aparo in camicia rossa col Gruppo della Trasgressione nel carcere di Bollate
Scarcerato l’(ex)ergastolano ostativo Musumeci, voce degli ‘uomini ombra’
Per la prima volta in Italia un ergastolano ostativo ottiene la liberazione condizionale. Ed è Carmelo Musumeci, un uomo speciale che ha reso pubblici dolore e speranza attraverso il suo blog dal carcere a nome degli ‘uomini ombra’, cioé dei reclusi la cui pena detentiva coincide con la durata della vita e una data immaginifica: 31/12/99999. Col costituzionalista Andrea Pugiotto, ha pubblicato il libro ‘Gli ergastolani senza scampo’, diventato una sorta di manifesto giuridico e umano contro la gabbia intangibile. Un testo in cui Musumeci ha riportato i ‘dialoghi’ crudi e poetici con la sua ombra. “Il mio corpo è chiuso in questa tomba, ma il mio cuore sciocco ha sempre sperato nella libertà”. Oggi, dopo che già da quasi due anni godeva di un regime di semilibertà, condivide dal suo profilo Facebook il giorno più luminoso: “L’altro ieri ho ricevuto una di quelle telefonate che ti cambiano la vita. Il numero era quello del carcere di Perugia. Mi avvisano di rientrare in carcere perché devo essere scarcerato”.
Il Tribunale della Sorveglianza umbro gli ha concesso la liberazione condizionale. “Quando esco dal carcere mi gira la testa. Il mio cuore batte forte. In pochi istanti mi ritornano in mente tutti e 27 gli anni di carcere, coi periodi di isolamento, gli scioperi della fame, le celle di punizione senza libri, né carta né penna per scrivere. Passavo le giornate solo guardando il muro”. L’ex ‘boss della Versilia’ era entrato in cella il 25 ottobre del 1991 e una serie di condanne lo aveva inserito nel ristretto club di chi ha come unica prospettiva il carcere. Ma è riuscito ribaltare il suo destino, distogliendo quello sguardo dal muro con la forza e la fantasia. Grazie anche al coraggio di alcuni giudici adesso Musumeci, che ha 63 anni e tree lauree conquistate in cella, è arrivato alla soglia dell’inimmaginabile per gli ‘uomini ombra’. Come è potuto accadere ce lo spiega l’avvocato ed esponente radicale Maria Brucale, dell’associazione ‘Nessuno tocchi Caino’: “Musumeci, come altri pochi detenuti ostativi, aveva ottenuto la semilibertà dopo che era stata accolta la sua richiesta di inesigibilità della collaborazione . Ma adesso i giudici si sono spinti oltre riconoscendo la liberazione condizionale dopo un percorso lungo e faticoso. E’ una notizia meravigliosa, un grido di speranza nel buio”.
Nella loro ordinanza, i giudici scrivono di “un grande percorso di crescita personale che ha portato Musumeci a leggere e studiare in carcere con granitica volontà” e del suo impegno come “scrittore e conferenziere”, oltre che “del suo essere un uomo nuovo che si riscatta dal passato impegnandosi quotidianamente nell’assistere la disabilita”. L’ergastolano ostativo, a differenza di quello comune, non ha diritto ai benefici penitenziari in assenza di una “condotta collaborante” con la giustizia. A meno che, come nel caso di Musumeci, non venga riconosciuta “l’inesigibilità della collaborazione” grazie alla quale aveva ottenuto la semilibertà, goduta lavorando di giorno nella casa Famiglia di don Oreste Benzi, ma sempre con l’obbligo di rientro in carcere. Adesso Carmelo ha tra le mani una libertà quasi intera e notti per guardare le stelle.
“Poi scrollo la testa. Smetto di pensare al passato. Mi accendo una sigaretta e, dopo la prima tirata, smetto di fumare, medito che adesso dovrei smettere, perché ora la mia unica via di fuga per essere libero non è solo la morte. Alzo lo sguardo al cielo. Per un quarto di secolo ho sempre creduto che sarei morto in carcere. Non è ancora la libertà piena ma ci sono vicino e sono tanto, ma tanto felice. Da solo non ce l’avrei mai fatta. Più che credere in me stesso, penso di avere scelto di credere negli altri”.
(manuela d’alessandro)
“Verrà la morte”, la poesia di Pavese che (anche) ha risolto’ il delitto Macchi
Non c’è nulla di poetico in un omicidio, ma in questo omicidio c’è molta poesia.
“Verrà la morte e avrà i tuoi occhi”, uno degli incipit più abbaglianti della poesia italiana, viene eletto a pieno titolo tra gli indizi che hanno portato alla condanna all’ergastolo di Stefano Binda per avere ucciso con 29 coltellate Lidia Macchi il 5 gennaio del 1987 nei boschi intorno a Varese. Perché Lidia, scrivono i giudici nelle motivazioni al verdetto dell’aprile scorso, quei versi li “conservava in borsetta trascritti su un foglio” e Stefano ne era così ossessionato da parlarne in continuazione nei corridoi del liceo, come ricorda la super testimone dell’accusa Patrizia Bianchi.
“Verrà la morte e avrà i tuoi occhi /questa morte che ci accompagna dal mattino alla sera, insonne, sorda, come un vecchio rimorso o un vizio assurdo/”.
Stefano, poi studente di Filosofia cui slanci giovanili verranno schiacciati dall’eroina, sviscerava tutti le opere del suo autore preferito, specchiandosi nelle sue inquietudini, ma quella poesia lo tormentava più di tutto. “Con corrispondenza impressionante – scrivono i giudici – ‘Verrà la morte e avrà i tuoi occhi’ è stata trovata da lui trascritta, nella sua abitazione, durante una recente perquisizione “. E per la Corte d’Assise sempre questa lirica firmata dallo scrittore morto suicida, “è un elemento che individua Stefano Binda come l’amore segreto” di Lidia. Voleva condividere un pezzetto delle ossessioni di Stefano e per questo la custodiva in borsetta. Lei ragazza discreta e brillante, a sua volta amante della poesia tanto che è uscita una raccolta postuma, si era invaghita di quel giovane “molto intelligente e carismatico, famoso per la sua capacità di risolvere enigmi” prima a scuola e poi nell’ambiente di Comunione e Liberazione che entrambi frequentavano. “Un amore impossibile”, come lei stesso lo definì in una lettera senza fare il nome di Stefano ma per i suoi amici dell’epoca non c’è dubbio che si riferisse proprio a lui. Binda è stato arrestato il 15 gennaio del 2016, al termine di una sorprendente indagine dell’allora pg di Milano Carmen Manfredda che aveva riaperto il fascicolo dopo 27 anni di inerzia. La prova principale contro di lui è una lettera intitolata ‘In morte di un’amica’ recapitata anonima il giorno delle esequie alla famiglia Macchi. Per i giudici l’autore sarebbe stato Stefano Binda come dimostrerebbero i “molti riferimenti ala scena del crimine oggettivamente riscontrabili alla prima lettura” di quella che definiscono “una poesia”. Ancora una poesia, questa volta tutta sua. (manuela d’alessandro)
La battuta choc di Berlusconi su Balotelli che non avete mai ascoltato
Ecco la frase choc di Silvio Berlusconi che finora nessuno vi ha fatto ascoltare con le vostre orecchie. Quella battuta razzista e francamente inattesa, riferita a Mario Balotelli, di cui vi abbiamo parlato quasi due anni fa, quando il video che troverete qui sotto fu depositato agli atti dell’inchiesta Ruby ter. Da allora il catenaccio anti-giornalista messo in atto dalle parti che avevano accesso a questo documento è stato micidiale. Ora qualcosa si è spezzato.
Riteniamo sia doveroso darne conto, considerato il ruolo pubblico che Berlusconi ancora ha, in un momento in cui il tema del razzismo è di lampante attualità. A Mario Balotelli la massima solidarietà per quello che forse non avrebbe voluto sentire e che invece fa ancora tristemente parte dell’armamentario para-umoristico italiano. La scenetta si conclude con Berlusconi che dice a Marysthelle Polanco “tu sei abbronzata, lui invece è proprio negro negro”. Parole che ci fa un certo effetto anche solo trascrivere. Il video lo trovate qui sotto.
Eccolo: berlusconi-balotelli-giustiziami