giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

Strage in Tribunale, condannato in appello il vigilante

 

La Corte d’Appello di Brescia ha ribaltato la sentenza di primo grado del processo a carico di Roberto Piazza, la guardia giurata in servizio a Palazzo di giustizia di Milano il 9 aprile 2015, quando Claudio Giardiello uccise a colpi di pistola tre persone.  Assolto in primo grado, è stato condannato a tre anni per omicidio plurimo colposo e a pagare una provvisionale complessiva per le otto parti civili di un milione e settantamila euro. Una decisione che ‘scarica’ sull’ultimo anello del sistema complessivo di sicurezza, mai toccato davvero dalle indagini, tutte le responsabilità di quanto accadde. Una perizia aveva lasciato aperta la possibilità che Piazza, davanti al monitor quando Giardiello entrò,  potesse non essersi accorto dell’arma al controllo ai raggi X. Peraltro lo stesso killer, in una delle sua varie versioni, aveva raccontato di avere portato e nascosto la pistola in Tribunale nei giorni precedenti all’eccidio, circostanza che la magistratura ha ritenuto di non approfondire.Ora i giudici interpretano la perizia in modo sfavorevole al vigilante che ricorrerà in Cassazione.

La stessa magistratura bresciana aveva definito “sottovalutato e definito solo per approssimazione” il sistema di sicurezza e anche per l’avvocato Vinicio Nardo, che ha assistito la mamma di Lorenzo Claris Appiani, il giovane difensore  freddato da Giardiello mentre era al banco dei testimoni,  sarebbe stato utile  appurare eventuali “responsabilità apicali”.

Il legale Giampiero Biancolella, per conto della famiglia di un’altra delle vittime, il giudice Fernando Ciampi, aveva presentato un esposto in cui chiedeva di accertare le responsabilità della Commmisione Manutenzione del Palazzo, nella quale siedeva, tra gli altri, l’ex Presidente della Cassazione Giovanni Canzio. Il giudice di Brescia chiamato a esprimersi si limitò a rigettare l’opposizione all’archiviazione senza entrare nel merito delle valutazioni su eventuali lacune dei vertici nella gestione del sistema sicurezza. E ancora ci chiediamo perché siano mancati la forza e il coraggio alla magistratura di provare a indagare anche sulle sue (eventuali) fragilità. (manuela d’alessandro)

 

 

“Dormo sul ballatoio perché in casa non c’è più la mia donna”

A prima vista una storia di stalking pesantissimo, con la particolarità di riguardare un intero condominio in via Niccolini, nella China Town milanese. Protagonista M.H. un uomo di 64 anni con origini egiziane, che ne combina di tutti i colori: dorme sul ballatoio provocando “gravi disturbi psichici” a una coppia di coniugi, esegue un sacco di lavori di tinteggiatura e pulizia non richiesti e anzi dannosi, chiude col lucchetto il rubinetto dell’acqua del cortile e rinchiude nel locale spazzatura un addetto alle pulizie perché i sacchi li vuole portare fuori lui e soprattutto fuori dagli orari stabiliti.  Questo e molto altro ancora.

Ma dietro, e sempre nello scenario di questo condominio, c’è anche una storia d’amore lunga quasi 40 anni in nome della quale M.H., che trascina le gambe per un serio disturbo fisico, preferisce dormire sul ballatoio o addirittura sul tetto e non nell’appartamento dove ha convissuto per anni con una donna ora 76enne e malata. “Signor giudice, non ci voglio entrare in quella casa senza di lei”, ha spiegato oggi a Luigi Varanelli che ha condotto con molto tatto il processo per direttisima nato dall’arresto del 24 settembre con l’accusa di ‘atti persecutori’. E alla fine, su richiesta dell’accusa rappresentata da Luciana Greco,  ha disposto una perizia psichiatrica per capire se l’uomo sia capace di intendere e di volere e socialmente pericoloso.  L’imputato, difeso dall’avvocato Enrico Belloli, ha raccontato in aula che pochi giorni prima di finire in carcere è andato nella casa di cura dove adesso vive la donna portandole in dono “una torta di Peck”, gastronomia di lusso milanese, ma non gliel’hanno fatta vedere. Da allora i suoi disturbi sono peggiorati e ne hanno fatto ulteriormente le spese i vicini di casa. “Per far stare meglio la mia donna e facilitare la sua riabilitazione  – ha ammesso M-H. – ho anche rifatto il pavimento del condominio”, un altro dei lavori non richiesti dagli altri condomini che avrebbero preferito tenersi quello vecchio. Un passo indietro: il ‘troppo’ ‘amore per la sua donna gli era costato anche un processo per maltrattamenti, scaturito da una segnalazione dei servizi sociali che gli imputavano di frapporsi in modo ruvido tra la paziente e l’amministratore di sostegno nominato a tutela di lei. Il giudice Manuela Nunnari l’aveva assolto evidenziando che i provvedimenti da prendere nei confronti di M.H. richiedessero “un approccio diverso da quello della pretesa punitiva in ambito penale”. Un altro giudice, Manuela Accursio Tagano, ha poi disposto a suo carico il divieto di avvicinamento alla sua convivente, nel frattempo ricoverata in casa di cura, ma lasciandogli la possibilità di risiedere ancora nel loro ex nido.  Dove però lui non vuole più entrare.  (manuela d’alessandro)

 

Archiviazione per 45 No Expo (e 80 mila euro di intercettazioni)

Il gip di Milano ha archiviato su richiesta conforme della procura le accuse di devastazione e saccheggio a carico di 45 militanti NoExpo in relazione alla manifestazione del primo maggio del 2015. Il costo delle intercettazioni durate  fino a maggio del 2017 ammonta a 79.294 euro e 8 centesimi. La somma di denaro sicuramente non ingentissima ma comunque significativa non è stata utile a trovare riscontri all’ipotesi dell’accusa. Il giudice in accordo con la procura ha deciso che il “gesticolare” dei presunti promotori degli incidenti che invitavano i manifestanti ad andare avanti non è sufficiente per supportare in aula l’accusa di aver coordinato le azioni violente quel giorno in cui venne inaugurata l’esposizione universale.

Sulla decisione del giudice può aver pesato il fatto che altri manifestanti già portati a processo più o meno con lo stesso quadro accusatorio erano stati assolti dal reato più grave sia in primo che in secondo grado. Anche se resta da celebrare il processo a 5 manifestanti, tra i quali  4 greci  destinatari della misura cautelare in carcere ma a piede libero ad Atene perché la corte d’appello locale aveva negato l’estradizione spiegando che non esiste la responsabilità penale collettiva ma solo quella personale. Secondo i giudici greci non sarebbero stati indicati elementi specifici a carico degli indagati.

Tra le 45 posizioni archiviate dal gip c’è quella di Pasquale Valitutti figura storica dell’area anarchica, “l’unico manifestante in carrozzella” scrive il giudice. “E’ vero che indossava il casco ma non si trattava di travisamento essendo già identificato dalla carrozzella.

Valitutti la notte tra il 14 e il 15 dicembre del 1969 era nella stanza accanto a quella del commissario Luigi Calabresi da dove volò giù Pino Pinelli, fermato in relazione all’indagine sulla strage di Piazza Fontana. Insomma un pezzo di storia dell’anarchismo che non smette di manifestare facendosi aiutare da una carrozzella.(frank cimini)

Quattro anni e mezzo per la sentenza su un furto di carpe

Perfino il giudice chiamato a decidere sulla sorte dei 5 ladri di pesce (e un’anatra) ha riso di gusto leggendo il capo d’imputazione. Sentite: ”Perché in concorso tra loro e al fine di trarne profitto si impossessavano di 25 carpe e un’anatra sottraendole dal laghetto di Molinello di proprietà dell’associazione sportiva dilettantistica ‘Lo Storione’’. Pensandoci bene, c’è poco da ridere: da 4 anni e mezzo questa microscopica storia abita il Palazzo di Giustizia di Milano tra decreti, udienze,  analisi della Asl sulle carpe  e rimpalli tra i giudici. “Un tempo assurdo”, commenta l’avvocato dei 5, Giusi Bartolotta, che ricorda anche a un certo punto il decreto di restituzione delle carpe (ovviamente morte) ai ‘proprietari’ e le analisi  disposte dalla magistratura sui pesci che amano le acque dolci.

Era d’estate, il 27 luglio 2014, quando cinque uomini di origine romena  acciuffarono e portarono via il malloppo dal piccolo specchio d’acqua a Rho. Su denuncia di un socio dello ‘Storione’ è scattata l’inchiesta della Procura di Milano che non ha avuto difficoltà a individuare i componenti della banda essendo stati colti in flagranza. Il 13 settembre del 2017 vengono chiuse le indagini per furto aggravato dal fatto che l’avessero commesso in 5, aggravante che ha portato gli imputati davanti a un giudice ordinario. Oggi il giudice ha condannato gli imputati a due mesi e dieci giorni, pena sospesa e non menzione. (manuela d’alessandro)