giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

Nel palazzo di giustizia a Torino
“Via con la forza i magistrati senza green pass”


“Ribadisco l’assoluta necessità di essere severissimi nei confronti di coloro che debbono obbligatoriamente esibire il green pass, magistrati compresi. Non è sufficiente affermare di averlo (…) Chi non ottempera deve essere impedito (anche fisicamente ed anche con il ricorso alla forza pubblica) di accedere al palazzo di giustizia, magistrati compresi“.

O green pass, o non pass. O la certificazione verde l’hai davvero, oppure nel palazzo di giustizia di Torino non ci entri. E se qualcuno ci prova lo stesso, scrive il procuratore generale Enrico Saluzzo con piglio inflessibile, intervenga la forza pubblica. Anche contro i magistrati. Certo la scena di una toga accompagnata con la forza all’uscita per ordine del Pg sarebbe da pop corn. E chissà che Saluzzo non abbia voluto mandare un messaggio a qualche ribelle toga no green pass, o no vax. Certo il tono della circolare, con tanto di sottolineature e maiuscole bloccate, dà già da sorridere ad alcuni suoi colleghi, e ne farà innervosire qualcun altro.
A Milano, il documento firmato il 10 gennaio dalla procuratrice generale Francesca Nanni e dal presidente di Corte d’appello Giuseppe Ondei, usa un linguaggio assai più pacato. Ricordando la necessità di green pass per “i difensori, i consulenti, i periti e gli altri ausiliari estranei all’amministrazione della giustizia”, la circolare precisa – suscitando già le proteste di diversi avvocati, chi per questioni di diritto, chi per posizioni no vax – che “l’assenza del difensore conseguente al mancato possesso o alla mancata esibizione della certificazione verde non costituisce impossibilità di comparire per legittimo impedimento”. I controlli all’ingresso saranno a campione solamente nelle sedi ove non sia ancora in funzione la vigilanza (uffici minori quali il Giudice di pace di Rho). Negli al tri casi, pare di capire, la verifica sarà persona per persona. E dal 15 febbraio la vigilanza dovrà chiedere a tutti gli over 50 non più il green pass semplice, ma quello rafforzato.
A Perugia, il Pg Sergio Sottani, parla della situazione in cui “su richiesta (i soggetti indicati) non esibiscono la certificazione verde base”, nel qual caso ovviamente non potranno accedere al palazzo. Ma ringrazia “per la consolidata collaborazione istituzionale”.

 

La mitica procura allo sbando ma Csm non ha fretta

Il Consiglio superiore della magistratura non sembra proprio avere fretta di nominare il nuovo procuratore capo di Milano dopo l’uscita per pensionamento di Francesco Greco avvenuta a metà del novembre scorso. Ci vorranno settimane se non addirittura mesi. Intanto la mitica procura che fu di Mani pulite continua a funzionare con l’organizzazione che le aveva dato Greco generando con il passare del tempo insoddisfazioni e incertezze. Una situazione simboleggiata poi dai 57 pubblici ministeri su 64 che votarono contro il trasferimento di Paolo Storari chiesto dal pm della Cassazione in seguito alla vicenda dei verbali di Amara consegnati a Davigo. Fu un voto che andava al di là dell’episodio specifico e che suonava come la generale sfiducia dei sostituti per il capo della procura, avversario di Storari nell’intervista vicenda Eni.
Attualmente c’è un procuratore della Repubnlica facente funzione Riccardo Targetti che andrà in pensione nel prossimo mese di aprile a dimostrazione ulteriore del quadro estremamente fluido dell’ufficio. Il Csm si sarebbe “tranquillizzato” dopo aver risolto il caso della procura di Rona con la nomina di Lo Voi al posto di Prestipino. Era considerato il caso più spinoso dopo che TAR e Consiglio di Stato avevano deciso per l’irregolarità della nomina di Prestipino accogliendo il ricorso del Pg di Firenze Marcello Viola.
Una vittoria che a Viola non ha portaro bene perché la sua candidatura a capo della procura di Roma è stata bocciata per la seconda volta e a vantaggio di Lo Voi. A viola insomna continuano a nuocere i ricami di chiacchiere intorno alla famosa riunione dell’hotel Champagne con i politici nonostante la sua conclamata estraneità alle operazioni sottobanco.
Al punto che Viola non sarebbe messo bene nemmeno per diventare capo della procura di Milano e sarebbe costretto a puntare su quella di Palermo. Viola sarebbe considerato eccessivamente discontinuo per una procura ritenuta territorio di Md dopo le gestioni di Bruti Liberati e Greco. La lotta vede in pole position il procuratore di La Spezia Antonio Patrono e quello di Bologna Giuseppe Amato. Sarebbe in vantaggio a livello di titoli Amato perché proveniente da una procura sede di distrettuale antimafia e antiterrorismo. Tra i candidati c’è anche il procuratore aggiunto di Milano Maurizio Romanelli ma stavolta la scelta sembra matura a favore del cosiddetto “papa straniero”.
Ma ci vorrà ancora almeno un po’ di tempo. A Milano restano i problemi di diversi pm indagati a Brescia. Il 3 febbraio ci sarà l’udienza preliminare per Storari e Davigo. La procura di Brescia deve ancora decidere sulle posizioni di Fabio De Pasquale Sergio Spadaro e Laura Pedio in relazione sempre alla vicenda Eni. L’ufficio gip invece deve valutare la richiesta di archiviazione per Francesco Greco (frank Cimini)

Innocenti in galera, il libro nero di Stefano Zurlo

“La lettura di questo libro di Stefano Zurlo dovrebbe essere resa obbligatoria per l’accesso agli esami di magistratura perché nulla quanto una sequenza di errori funesti avverte i giudici sui pericoli del potere” scrive l’ex pm Carlo Nordio nella prefazione di “Il libro nero delle ingiuste detenzioni, edizioni Baldini+Castoldi, 191 pagine, 18 euro. Nordio aggiunge che il lavoro di Zurlo, cronista del Giornale, “dovrebbe sempre stare accanto ai codici sullo scranno del giudice naturalmente a maggior ragione sul tavolo dei pubblici ministeri”.
Dal 1991 al 2020 i casi di innocenti in galera sono stati 29659 in media poco più di 998 l’anno. Il tutto per una spesa gigantesca da parte dello Stato per risarcimenti, oltre 869 milioni di euro. E per spiegare “la fragilità del nostro apparato” Zurlo racconta storie di prigioni di pochi giorni o di molti anni, ambientate al Nord come al Sud con protagonisti famosi o illustri, sconosciuti, trasversali alle classi sociali: Jonella Ligresti, Edgardo Mauricio Affe’, Antonio P., Diego Olivieri, Pietro Paolo Melis, Paolo Baraldo, Ciccio Addeo, Angelo Massaro, Giuseppe Gulotta.
Circa trentamila persone sono finite in cella e poi sono state assolte. Sono i numeri di una fisiologia in un sistema malato. Inutile parlare di patologia per mettersi a posto con la coscienza.
Le ingiuste detenzioni macchiano come una brutta malattia la quotidianità della giustizia. Giuseppe Gullotta ha passato in galera 21 anni prima che saltasse fuori la verità: non c’entrava niente con l’assassinio di due carabinieri. La confessione gli era stata estorta con una sequenza agghiacciante di vessazioni, umiliazioni e torture. In Italia si, è vero si tortura e va ricordato che non esiste una legge adeguata per sanzionare la tortura come reato tipico del pubblico ufficiale.
Pietro Paolo Melis è stato in galera 18 anni e mezzo per sequestro di persona sulla base di una intercettazione coperta dal rumore di fondo, la voce che si sentiva non era la sua. Angelo Massaro è stato scambiato per un criminale e confinato in prigione per 21 anni a causa di una frase captata dalle cimici in cui accennava alla moglie che non avrebbe accompagnato il figlioletto all’asilo perché impegnato nel trasporto di qualcosa di pesante. Una pala meccanica. Per gli inquirenti invece il carico sarebbe stato costituito da un morto ammazzato.
Jonella Ligresti: “Sono stati mesi anni di sofferenze terribili. Una condanna in primo grado per falso in bilancio e aggiotaggio informativo. Poi gli atti passarono da Torino a Milano. Assolta dopo otto anni. Sbattuta in carcere per una ragione che non sono mai riuscita a capire. In carcere il mio frigo personale era il bidet l’ambiente più fresco per conservare gli alimenti perché scende l’acqua fredda”.
La figlia di Ligresti chiederà l’indennizzo per ingiusta detenzione, ma saranno briciole spiega rispetto a quello che ha sofferto.
“Nella mia Venezia prima di irrogare una grave condanna – ricorda Nordio – i giudici venivano ammoniti con una frase rimasta celebre, ‘Ricordatevi del povero fornaretto’ – conclude Nordio – Si trattava di un salutare avvertimento a rievocare in scienza e coscienza il caso di un garzone giustiziato e poi trovato innocente”.
(frank cimini)

Steccanella: decreto per non restare beceri e vendicativi

Il consiglio dei ministri ha approvato il decreto legislativo che recepisce la direttiva Ue 343/2016 sulla presunzione d’innocenza e che aveva già ricevuto il parere positivo delle commissioni Giustizia di Camera e Senato e del CSM (con la sola opposizione dei consiglieri Nino Di Matteo e Sebastiano Ardita).
Molto critico Il Fatto Quotidiano che ne dà notizia sotto la voce “Giustizia e impunità”, e parla di “bavaglio a PM e forze dell’ordine”.
Sotto accusa l’articolo 3 che prevede che: “Il procuratore della Repubblica mantiene personalmente i rapporti con gli organi di informazione esclusivamente tramite comunicati ufficiali oppure, nei casi di particolare rilevanza pubblica dei fatti, tramite conferenze stampa“, e più in generale, laddove si stabilisce che: “la diffusione di informazioni sui procedimenti penali è consentita solo quando è strettamente necessaria per la prosecuzione delle indagini o ricorrono altre rilevanti ragioni di interesse pubblico” e che tali informazioni debbano essere fornite: “in modo da chiarire la fase in cui il procedimento pende e da assicurare, in ogni caso, il diritto della persona sottoposta a indagini e dell’imputato a non essere indicati come colpevoli fino a quando la colpevolezza non è stata accertata“.
Viene anche criticata l’aggiunta, rispetto alla bozza di agosto, in base alla quale: “è fatto divieto di assegnare ai procedimenti pendenti denominazioni lesive della presunzione di innocenza” nonché la previsione di cui all’articolo 2 che fa divieto “alle autorità pubbliche di indicare pubblicamente come colpevole la persona sottoposta a indagini o l’imputato fino a quando la colpevolezza non è stata accertata con sentenza o decreto penale di condanna irrevocabili”.
Si stigmatizza il fatto che eventuali violazioni comportino “l’obbligo di rettifica della dichiarazione resa con le medesime modalità” su richiesta dell’interessato, pena, in caso contrario, sanzioni disciplinari e diritto al risarcimento del danno e facoltà di rivolgersi al giudice civile per ottenere la pubblicazione con provvedimento d’urgenza.
Sotto accusa anche il nuovo articolo 115-bis che stabilisce che: “Nei provvedimenti diversi da quelli volti alla decisione in merito alla responsabilità penale dell’imputato la persona sottoposta a indagini o l’imputato non possono essere indicati come colpevoli fino a quando la colpevolezza non è stata accertata”, e che: “nei provvedimenti che presuppongono la valutazione di prove, elementi di prova o indizi di colpevolezza l’autorità giudiziaria limita i riferimenti alla colpevolezza della persona sottoposta alle indagini o dell’imputato alle sole indicazioni necessarie a soddisfare i presupposti, i requisiti e le altre condizioni richieste dalla legge per l’adozione del provvedimento”.
Parrebbero semplici accortezze per contrastare un diffuso malvezzo imperante da anni in Italia, dove è sufficiente un avviso di garanzia per finire nel tritacarne mediatico come colpevoli acclarati e ci si è abituati a leggere provvedimenti giudiziari cautelari, e quindi per definizione di natura provvisoria, che abusano di aggettivazioni quali “spregiudicato”, “incallito” et similia all’indomani di ogni arresto.
Peraltro, come si ama sempre dire quando si tratta di imporre pesanti sacrifici economici a chi fatica ad arrivare a fine mese, “ce lo chiede l’Europa”, per cui non si capisce quale sarebbe “l’impunità” cui fa riferimento il Fatto, né si ritiene che Forze dell’ordine e ogni singolo PM di qualsiasi procura italiana debbano necessariamente intrattenere continui interscambi con i giornalisti fuori dalla loro porta, mentre sono impegnati in indagini delicate.
Si è molto criticato un noto PM milanese che dopo essere andato in pensione ha recentemente dato alle stampe un’autobiografia, però quel PM, che pure è stato impegnato per anni in indagini di notevole risonanza mediatica, si era sempre ben guardato dall’utilizzare la stampa come cassa di risonanza alle proprie indagini.
In un paese civile, gli inquirenti lavorano nel silenzio e parlano con gli atti giudiziari e per avere conferma della bontà dei risultati raggiunti si rivolgono al giudice e non ai giornalisti.
Leggere ogni volta “sgominata la banda di killer” o “acciuffato il pedofilo seriale” prima ancora che un Tribunale abbia stabilito se l’accusa è fondata o meno, al termine di un processo che prevede regole ben precise per garantire il contraddittorio tra chi accusa e chi si difende, non fa bene alla crescita cultura di un Paese.
Molti anni fa, quando esplose il “caso Tortora” Enzo Biagi scrisse un articolo dal titolo “E se fosse innocente?”, Tortora lo era allora, perché in quel momento era solo accusato, e lo sarà quando verrà giudicato, eppure anche il bravo giornalista si sentì in dovere di usare la formula dubitativa, perché quello era il “clima”.
Oggi, con la diffusione via internet di ogni notizia che diventa immediatamente “virale” la situazione è ancora più grave, e abituare i lettori a ritenere che ogni accusato sia un colpevole e che ogni assolto l’abbia solo fatta franca, ci fa solo diventare tutti più beceri e vendicativi, perché frustrati da tutto quello che non va.
Forse lo siamo già diventati, ma mi meraviglia leggere che c’è chi vorrebbe che lo restassimo per sempre.
Avvocato Davide Steccanella

Nella condanna del pianista del bunga bunga
il perché dell’assoluzione del Cav.

“E’ del tutto evidente che rapporti di tal genere con un personaggio come Berlusconi Silvio costituiscono un movente più che consistente, quasi scontato, per dichiarare il falso su circostanze, quali quelle relative ai rapporti sessuali dallo stesso consumati, con giovanissime donne, perciò stesso retribuite, in occasione dei ricevimenti nella villa di Arcore che, oltre a poter avere rilevanza sul piano delle responsabilità penali, avrebbero comunque arrecato, quanto meno, imbarazzo ad uno degli uomini più potenti d’Italia”.

Non ci sono ancora le motivazioni della sentenza che ieri ha assolto Silvio Berlusconi nel processo senese per corruzione in atti giudiziari – il fatto non sussiste – ma una grossa mano per capire quale sia la strada individuata dal collegio presieduto dal giudice Simone Spina arriva dalle motivazioni, finora inedite, della sentenza con cui il precedente collegio ha invece ritenuto Danilo Mariani, il pianista del bunga bunga, colpevole di falsa testimonianza.

A maggio scorso Mariani è stato condannato a due anni, pena sospesa, per aver mentito nei processi milanesi sulla prostituzione a villa San Martino. I contatti tra Berlusconi e le ragazze al massimo si limitavano a una “stretta di mano”, la “famosa statuina di priapo” altro non era che “una cosa simpatica, non una cosa a sfondo sessuale”, nessun gioco in cui si mimasse giochi sessuali, “lo smentisco in modo stracategorico” aveva spiegato Mariani. Gli spogliarelli, “mai visti”. Bugie, stabiliscono i giudici di Siena, e anche piuttosto grossolane.

Sulla corruzione in atti giudiziari, a maggio scorso, il collegio non si esprime, avendo stralciato la posizione di Mariani e Berlusconi per quel solo reato, rinviandolo all’attenzione di una nuova corte, quella che ieri ha assolto i due imputati. E tuttavia è piuttosto chiaro, nelle motivazioni di condanna per falsa testimonianza, il presupposto che spiega l’assoluzione sulla corruzione.
Berlusconi intratteneva rapporti economici sistematici con Mariani già dal 2006, ben prima delle feste di villa San Martino. Per anni gli fornisce uno stipendio di 3mila euro al mese. Tra il 2010 e il 2011 gli fa avere 250mila euro in due tranche per aiutarlo a comprare casa, con due “prestiti infruttiferi”. Ed è vero che a cavallo tra il 2012 e il 2013, in date prossime a quelle delle udienze in cui Mariani testimonia, da Berlusconi partono due bonifici da 7mila euro. Ma è la stessa Agenzia delle Entrate, con un accertamento fiscale successivo, a considerare quel denaro il corrispettivo del lavoro prestato da Mariani come pianista.

E allora difficile considerare quei bonifici il prezzo della corruzione. Mariani, sembrano dire i giudici, mente di sua spontanea volontà. “Il netto contrasto, che è stato rilevato, tra le dichiarazioni testimoniali rese da Mariani Danilo e le circostanze emerse nell’ambito dei procedimenti milanesi – afferma il primo collegio di Siena – definiti con pronunce dotate della forza del giudicato, le quali hanno accertato la riconducibilità alla nozione di prostituzione delle prestazioni di intrattenimento, offerte dalle ospiti femminili delle serate di Arcore, nonché la decisione, quasi paradossale, con cui invece Mariani Danilo ha escluso la natura sessuale di quegli svaghi inducono a ritenere che l’imputato abbia consapevolmente voluto negare circostanze a lui ben note, all’evidente scopo di non pregiudicare il suo rapporto fiduciario con l’ex Presidente del Consiglio, la cui conservazione evidentemente valeva ben più della minaccia costituita dalla sanzione penale”.

Non sarà però facile applicare lo stesso ragionamento nel processo milanese, dove la situazione è in parte diversa. Mariani è l’unico, per esempio, a non ricevere la famosa letterina con cui nel 2013 Berlusconi, quando vengono depositate le motivazioni “relative agli incredibili processi sulle cene in casa mia”, annuncia alle sue amiche di via Olgettina di non poterle più aiutare economicamente. “Seguendo l’impulso della mia coscienza – scriveva il cavaliere – ho continuato a dare a te e alle altre ospiti per lenire gli effetti della devastazione che questi processi hanno causato alla vostra immagine, alla vostra dignità, alla vostra vita”. Tutto ciò, per il pianista di Arcore, non vale. Suonava spesso, veniva pagato dal 2006, non riceve la lettera, continua a riceveva denaro anche in seguito.