giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

I consigli dell’avvocato Gabriele Fuga dalla cella accanto

Quando in Italia accadeva quello che accade oggi per esempio in Turchia. Arrestavano gli avvocati o licostringevano a rifugiarsi all’estero. Con l’alibi della “lotta al terrorismo” lo stato democratico nato dalla Resistenza antifascista massacrava il diritto di difesa identificando i legali con la “banda armata” di cui eranoaccusati di far parte i loro assistiti. Gabriele Fuga racconta la sua vicenda giudiziaria politica e umana nel libro che ha per titolo “La cella dell’avvocato”, circa 300 pagine, 17 euro, edito da Colubri’ cioè Renato Varani uno dei pochi editori rivoluzionari rimasti a combattere nel modo in cui è possibile farlo adesso.
Fuga, già autore insieme al compianto Enrico Maltini di “La finestra e’ ancora aperta” (la più completa ricostruzione dell’omicidio Pinelli) ricostruisce un periodo storico, parte integrante del più serio tentativo di rivoluzione nel cuore dell’Occidente.
Sulla base esclusiva delle dichiarazioni a verbale del “pentito” Enrico Paghera l’avvocato Fuga fu incarcerato con l’accusa di far parte di Azione Rivoluzionaria gruppo anarchico. Verrà assolto dopo
unanon breve carcerazione preventiva e dovette fronteggiare un altro mandato di arresto spiccato a Milano in relazione all’attività di Prima Linea. Il giudice che aveva firmato il provvedimento poi revocato dopo l’assoluzione nel processo di Livorno sarà eletto parlamentare europeo nelle liste del Pci.
Fuga racconta la vita in carcere, l’assistenza legale fornita agli altri detenuti, istanze, consigli, suggerimenti. A Livorno dopo aver litigato con i suoi legali amici tentò anche la strada dell’autodifesa, spiegando che il consiglio dell’ordine di Milano non lo aveva sospeso e che quindi lui era nel pieno delle sue funzioni. Il pm diede parere contrario dicendo rivolto ai giudici: “io non posso stare sullo stesso piano di un imputato che condannerete come terrorista”. Questo era il clima in cui si svolgevano i processi. I giudici negarono l’autodifesa, ovviamente.
Nel libro sono evocate le storie di altri legali accusati di terrorismo. Da Sergio Spazzali a Edoardo Arnaldi il quale si uccise a Genova nel suo studio durante una perquisizione per non finire in carcere. Da Luigi Zezza che si rifugiò a Parigi lavorando nel quotidiano Liberation a Giovanni Cappelli andato pure lui all’estero.
“Qualunque sia la vostra sentenza qualunque sia l’esito dell’ istruttoria in corso a Milano io continuerò a fare l’avvocato- aveva detto Fuga in sede di dichiarazioni spontanee a Livorno- perché come anarchico e come legale rivendico il diritto e il dovere di difendere tutti i compagni che si rivolgono a me anche quelli che vengono ritenuti ‘compagni che sbagliano’ distinzione che non mi interessa e che non mi permetterei mai fare”. (frank cimini)

Dopo 7 anni Mantovani assolto. Pm ormai sempre ko

La mitica procura di Milano ormai non vince più un processo che sia uno. In appello è stato assolto tra gli altri Mario Mantovani ex parlamentare di Forza Italia ex vicepresidente della Regione Lombardia il quale era stato anche arrestato con la misura cautelare firmata dal gup a un anno di distanza dalla richiesta dei pm. Sono passati ormai sette anni, una vita.
La seconda sezione penale d’appello oltre a confermare l’assoluzione di Garavsglis e di un altro imputato (gia’ decise dal Tribunale), ha ribaltato in toto il verdetto di primo grado per tutti gli altri (una decina gli imputati in totale) assolvendoli nel merito. Assolto, dunque, dopo essere stato arrestato quasi 7 anni fa e condannato in primo grado a 5 anni e mezzo di reclusione, l’ex numero due del Pirellone ed ex assessore alla Sanita’ Mario Mantovani, difeso dal legale Roberto Lassini. Assolto, tra gli altri, anche il contabile Antonio Pisano, difeso dall’avvocato Davide Steccanella. Per Garavaglia anche ex viceministro all’Economia, il pg Massimo Gaballo aveva chiesto una condanna a un anno e 6 mesi. Rispondeva solo di uno dei 13 capi di imputazione al centro del processo. In primo grado la Procura aveva chiesto 2 anni per Garavaglia, ma per il Tribunale mancavano “elementi adeguatamente dimostrativi per affermare” che l’ex assessore avesse dato un contributo “anche solo nella forma della agevolazione alla turbativa” e non c’erano “elementi per affermare una sua consapevolezza”. Secondo l’accusa, l’allora assessore lombardo all’Economia nel giugno 2014 avrebbe dato, assieme a Mantovani, “disposizioni” e “l’input iniziale” per “vanificare gli esiti del bando” di una gara da 11 milioni di euro.
I difensori degli imputati osservano che la corte d’appello ha evitato un errore giudiziario. Da un po’ di tempo nei processi per reati contro la pubblica amministrazione la procura esce sempre sconfitta e questa volta divide il ko con la procura generale che aveva deciso di sostenere la tesi colpevolista.
Insomma restiamo nel clima del presunto credo Eni-Nigeria che aveva prodotto la sentenza di assoluzione oltre alla guerra interna alla procura tra il sostituto Paolo Storari e i capi dell’ufficio inquirente con l’intera vicenda finita sul tavolo del procuratore di Brescia. Nel momento in cui si celebra (si fa per dire) il trentennale Mani pulite appare sempre più lontana e la procura completamente allo sbando. Toccherà al nuovo procuratore capo che il Csm dovrà nominare a breve riorganizzare l’ufficio e istruire i processi in modo più convincente al fine di interrompere il momento nero dell’accusa (frank cimini)

NoTav, da eredi Caselli 67 faldoni di atti per 4 fumogeni

Per quattro fumogeni accesi durante i presidi contro il Tav la procura di Torino ha costruito un’inchiesta che ammonta a 67 faldoni di atti, fin qui utili a ottenere 13 misure cautelari ma anche la bocciatura da parte del gip dell’accusa relativa all’associazione sovversiva.
Trattandosi degli eredi di Caselli e Maddalena che cercarono d trasformare un compressore bruciacchiato in una sorta di rapimento Moro del terzo millennio non esistono dubbi. La procura chiederà il processo anche per il reato associativo pur avendo subito per il momento uno stop significativo.
Questa mattina c’è stata la conferenza stampa per replicare agli arresti.
Le misure cautelari sono 13, due dei quali, Giorgio Rossetto e Umberto Raviola sono stati tradotti nel carcere delle Vallette, a Torino, e riguardano una serie di iniziative e manifestazioni che, dall’estate 2020, si sono svolte in Val Clarea, dove si trova il cantiere Tav di Chiomonte e a San Didero, dov’è situata la recinzione per quello che dovrebbe diventare il nuovo autoporto valsusino. I reati contestati sono quelli di violenza privata e resistenza aggravata a pubblico ufficiale.
“Procura, Magistratura e Mass media hanno tentato da sempre di sporcare questa lotta con una narrazione falsa che tenta di dividere tra buoni e cattivi – afferma Nicoletta Dosio, storica No Tav – di riproporre la solita retorica legata alla distinzione tra “buoni e cattivi – all’interno del Movimento No Tav, cercando di ricostruire fantomatiche regie dietro ad ogni iniziativa o manifestazione. “Quando il potere è ingiusto la resistenza è diritto e dovere di tutti – continua Nicoletta Dosio – Non basteranno i tribunali, il carcere e le fandonie sul nostro conto per farci tornare a casa. Solidarietà dal movimento No Tav ai nostri compagni che stanno subendo queste misure cautelari”.
Inoltre, ieri le forze dell’ordine, senza grandi risultati, hanno perquisito anche i Presidi No Tav dei Mulini e di San Didero, da tempo vissuti dal movimento, all’interno dei quali sono state realizzate numerose iniziative popolari e varie azioni di monitoraggio e disturbo dei cantieri.
“L’operazione di ieri è stata di uno squallore universale – tuona Alberto Perino, No Tav di vecchia data – ed è la dimostrazione che il movimento No Tav è estremamente forte e fa paura a tutti. Se essere sovversivi significa opporsi a questo sistema e a questo governo inutile, che punta solo a garantirsi la pensione e che può decidere qualsiasi cosa, allora noi continueremo ad essere “sovversivi” e a resistere come facciamo da 30 anni e continueremo a farlo per altrettanti se necessario”. Facendo poi eco alla Dosio “questo perché, al di là della narrazioni tossiche dei mass media rispetto al Tav, ormai si è svelata quale è la vera utilità di questi corridoi ferroviari che ormai sono diventati corridoi di guerra e morte” ha concluso Alberto Perino.
“La finalità è lampante – afferma Andrea Bonadonna – continuano ad essere utilizzati strumenti atti a silenziare e reprimere qualsiasi dimensione di dissenso sociale, e questo è molto grave. Ogni capo di imputazione è inserito in una cornice posta lì per tentare di delegittimare e silenziare quello che è il movimento più longevo della storia del nostro Paese, che da 30 anni si batte contro la costruzione della linea ad Alta Velocità Torino – Lione, con il solo e unico obiettivo di salvaguardare la salute del territorio, di chi lo vive e del futuro delle nuove generazioni. (frank cimini)

Arresti tra i NoTav per i fumogeni nei sit-in ai cantieri

La magistratura appare sempre più in prima linea a tutela dell’affare alta velocità. 2 militanti NoTav sono finiti in carcere altri 2 ai domiciliari e in 9 sono destinatari di obbligo di firma con divieto di risiedere nei comuni della Val di Susa accusati di Resistenza aggravata a pubblico ufficiale è violenza privata in relazione a sit-in e manifestazioni sia davanti ai cantieri sia a Torino città. “Utilizzo di artifici pirotecnici” si legge nella misura cautelare. Cioè nell’Italia del governo di migliori si finisce in galera per quattro fumogeno mentre si protesta legittimamente contro un’opera che da 30 anni sta devastando un territorio un tempo tra i più incontaminati del paese.
Il movimento NoTav in un comunicato fa osservare: “In Val di Susa abbiamo vissuto anni di pandemia in cui mentre chiedevamo risorse per affrontare la crisi sul territorio, mentre cercavamo di prenderci cura della nostra comunità e dei nostri affetti il sistema del Tav occupava intere porzioni del nostro territorio con migliaia di uomini, idranti e lacrimogeni per installare cantieri che servono solo a drenare denaro pubblico. Il nostro è un movimento con decenni di storia alle spalle, abbiamo visto passare governi, questori e prefetti. Abbiamo sempre deciso collettivamente come portare avanti la nostra resistenza, come affrontare la violenza istituzionale che nonostante la contrarietà popolare all’opera ha militarizzato senza remore un’intera valle. Non ci faremo certo intimorire da questa operazione, consapevoli che in questi tempi di guerra, crisi climatica e sociale la nostra lotta, nel nostro piccolo, è uno spiraglio per costruire una speranza per il futuro”.
Il movimento denuncia il tentativo con questa operazione di arrivare a una divisione tra buoni e cattivi. È stato perquisito il centro sociale Askatasuna del quale politici particolarmente zelanti insistono a chiedere la chiusura.
Il problema è politico ma come al solito viene presentato come questione primaria di ordine pubblico. Nel caso specifico magistratura e politica appaiono sempre più unite nella lotta a tutelare tra l’altro appalti e lavori sulla cui trasparenza si è sempre fatto a meno di indagare in profondità. Ogni energia investigativa è concentrata su chi si oppone all’opera forzando fino a contestare nel recente passato la finalità di terrorismo poi caduta in Cassazione dove alcuni giudici facevano notare che il troppo è troppo. La procura di Torino però non demorde: per chi accende fumogeni c’è persino la galera (frank cimini)

Il carcere istituzione reietta, saggio dI Valeria Verdolini

Ci sono addirittura ex magistrati che in servizio lo usarono per acquisire fonti di prova estorcere confessioni a proclamare l’inutilità del carcere a proporre la necessità di superarlo come unica sanzione possibile.
Quindi bisogna chiedersi come definire il carcere nel terzo millennio. Un contributo rilevante e controcorrente arriva da Valeria Verdolini, sociologa, docente all’Universita’ Bicocca. 247 pagine, 18 euro, Carrocci Editore. Il titolo è “L’istituzione reietta”.
Per spiegare come arriva a tale definizione, Verdolini afferma che il carcere si presenta come istituzione residuale che svolge una serie di compiti non richiesti dal mandato formale ma ascrivibili a un welfare a basso costo, housing sociale per i senza fissa dimora, centro di accoglienza per i migranti, comunità terapeutica per i tossicodipenfenti, comunità psichiatrica per le fragilità, centro impiego per i disoccupati, residenza sanitaria e di lungodegenza per anziani.
Si tratta di vulnerabilità che raramente trovano una risposta integrata fuori dalle mura del penitenziario. “Proprio perché contiene, incapacita, raccoglie e gestisce ho scelto l’aggettivo ‘reietta’ – scrive l’autrice – Reietto deriva dal latino reiectus, participio passato di reicere. Il primo significato è respingere rigettare, un’eccezione che comprende le riflessioni sul carcere come discarica sociale, come pattumiera senza speranza”.
L’istituzione è reietta proprio perché si demanda a essa una serie di funzioni che si sono ritirate o che comunque non presentano risorse sufficienti per gestire la popolazione che ne richiede il sostegno. La funzione di discarica sociale viene assolta solo in parte perché non è risolutiva, non ingloba tutta la sofferenza sociale ne’ tantomeno la marginalità.
Si potrebbe parlare di funzione vicaria del carcere, ennesima puntata dell’infinita emergenza italiana, iniziata almeno mezzo secolo fa con la magistratura chiamata dalla politica a risolvere la questione della sovversione interna per delega totale. E che dura fino si giorni nostri. Verdolini ricorda il doppio binario pentitismo/carcere durissimo. Un meccanismo che non disinnesca i processi di devianza ma tende ad amplificarli o ad affievolirli solo sulla base di un criterio di opportunità.
E infatti stiamo a parlare oggi di ergastolo ostativo e delle difficoltà per arginarlo perché grandissima parte della politica e della magistratura in questo unite nella lotta fanno prevalere il bisogno di sicurezza sulla necessità di rispettare i diritti delle persone. Che restano persone portatrici di diritti anche dopo aver preso l’ergastolo e non possono essere inchiodate per sempre a reati commessi moltissimo tempo fa (frank cimini)