giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

I servizi segreti querelano ma non sono “deviati”

I servizi segreti hanno querelato i quotidiani Foglio e Unità che avevano raccontato la storia del funzionario Giovanni Caravelli volato a Tripoli per informare i libici sulle carte in possesso della Cpi per incriminare altri 86 torturatori. In modo che stessero lontani dall’Italia dove verrebbero arrestati.

E non si tratta di servizi segreti “deviati“ che non esistono. Anzi non sono mai esistiti.

È sempre la solita storia su ogni argomento: dire servizi deviati fa credere che ci siano servizi buoni, dire capitalismo aggressivo o predatore o turbo fa credere che ci sia un capitalismo non aggressivo o non predatore.

Il termine deviati fu inventato dal Pci negli anni ‘70 per accreditarei come forza di governo dentro uno Stato “indelebilmente segnato dalle lotte operaie e popolari”. Era la teoria della “classe operaia che si fa stato”.

Insomma raccontavano la favola del loro stato che era democratico mentre ce ne sarebbe stato un altro  cattivo e “deviato” dalle funzioni istituzionali.

Ma gli uomini dei servizi segreti arrivati da Roma per indirizzare e inquinare le indagini sulla bomba di piazza Fontana e coprire i responsabili dell’assassinio di Pinelli erano funzionari dello Stato democratico nato dalla Resistenza antifascista.

Come adesso negli accordi con i torturatoti l’unico avviati dal ministro Minniti governo Gentiloni centro sinistra. E adesso un governo di destra prosegue l’opera. Del resto era stato così per le prime leggi sul lavoro flessibile e sull’istituzione dei Cpr luoghi di tortura ai danni di persone private della libertà senza aver commesso reati.
(frank cimini)

 

Se un processo penale ti salva dalla rovina

Per il giudice penale, il fatto non sussisteva. L’incendio di fine 2018 a Sorico, nel comasco, che aveva incenerito quasi 700 ettari di bosco del monte Berlinghera, impegnando canadair e pompieri per giorni, non fu colpa loro.

Il giudice civile, invece, si guarda bene da cercare di stabilire se siano responsabili o no del disastro. Ma incenerisce la multa che avrebbe rovinato la loro vita. Oltre otto milioni. Per l’esattezza: 8.125.739 euro e 80 centesimi. Così, forse di mancia. Se sono salvi, quei due ragazzi, lo devono al principio del ne bis in idem, che forse non conoscevano neppure. Non si processa due volte, in sede penale e amministrativa, lo stesso fatto. A meno che le due sanzioni non prevedano un meccanismo compensativo tra le stesse. Solo che nello specifico, tra la violazione del codice penale e quella di una legge regionale lombarda, la 31/2008 che punisce chi distrugge boschi con un incendio, non c’è collegamento sanzionatorio.

In sede penale, il pm aveva chiesto un anno e otto mesi di condanna per i due giovani, D.B e A.M, che avevano acceso il barbecue davanti alla baita dei nonni del primo. Tirava vento forte. Alcune tizzoni e faville avevano superato la recinzione e innescato fiamme nel prato. Gli investigatori avevano fatto i conti al millimetro: 684,0986 ettari distrutti. Secondo le difese (avv. Ivana Anomali e Giuseppe Fadda) l’area boschiva era però frequentata anche da altre persone estranee a quella comitiva di amici. E altri roghi indipendenti si erano sviluppati nella stessa zona. Sentenza a maggio 2024. Un 530 cpp che, attraverso la cortina di fumo e fiamme, aveva fatto intravedere la luce ai due imputati.

Solo in seguito, a fine ottobre, è arrivata la sentenza civile. Le motivazioni tacciono sul merito. La questione è un’altra. Per il giudice di Como Paolo Bertollini c’entrano la sentenza Grande Stevens vs Ue, la A&B vs Norvegia, la giurisprudenza sul principio del ne bis in idem, appunto. Chissà come sarebbe finita senza il processo penale.

Unica postilla. Una multa, quella sì, va pagata. Per aver acceso un barbecue in un luogo a meno di 100 metri dal bosco, cosa pacifica. Fanno 118,78 euro. Decisamente meglio che un mutuo per le prossime 15 generazioni. 

Steccanella ricorda la giudice in bicicletta

Quando per parecchi anni ho abitato vicino a lei, in zona Pagano, mi capitava spesso di vedere una signora bionda, molto elegante, che pedalava in bicicletta verso la nostra comune destinazione giornaliera, il Tribunale di Milano, io diretto in motorino verso il mio ufficio e lei verso il suo all’interno del Palazzo, io avvocato e lei magistrato. Tribunale di Milano dal quale non mi pare si sia mai mossa nel corso della sua lunga esperienza professionale, in gran parte da giudicante, anche se non mancò di rivestire la funzione di PM negli anni in cui in quel luogo succedevano tante cose, non tutte belle, ma almeno succedevano, come tante altre cose che succedevano nella nostra città.

Non eravamo amici, ci si dava del Lei, ma non è mai mancato, credo, l’apprezzamento reciproco, fermi restando i rispettivi e diversi ruoli, come sarebbe bello sempre accadesse in qualsiasi luogo di lavoro e non di culto, fino a quando, raggiunta la pensione, non l’ho più incontrata.
Che fosse anche un bravo magistrato non devo dirlo io e mi interessa poco, come poco rileva un episodio di parecchi anni fa che creò tra di noi un certo malumore da parte sua, quando la mia proverbiale intemperanza mi portò a criticare pubblicamente la sua gestione di un processo di appello e un giornalista riprese la notizia per scrivere un articolo che nulla c’entrava con quel fatto, ma poi la cosa rientrò, e tutto si risolse in breve tempo, come ancora mi viene da dire, sarebbe bene succedesse sempre.
Ho di Lei il ricordo di due momenti in cui, in qualche modo portò un po’ di luce in quel luogo spesso cupo e sordo quale è quello dove ogni giorno si determina il destino di esseri umani, coi suoi modi garbati e la dolcezza che aveva nello sguardo e nel timbro di voce, gentile, femminile ma autorevolmente apprezzato.
La prima volta risale a più di 40 anni fa, quando misi per la prima volta piede in Tribunale come carabiniere ausiliario addetto alla scorta dei detenuti che prelevavamo da quel vero e proprio inferno di San Vittore per condurli a giudizio. In quella situazione orrenda di prigionieri in gabbia e gente distratta, lei presiedeva uno dei tanti collegi e mi colpì la sua diversità umana da tutto il resto, quell’aula “sorda e grigia” non le modificava i tratti, anche qui come dovrebbe sempre succedere.
La seconda accadde tantissimi anni dopo, non molto tempo fa, quando me la trovai a decidere le sorti di un mio assistito che i media avevano trasformato in un mostro e nei confronti del quale trovavo insormontabili difficoltà ad ottenere il rispetto dei minimali diritti che il mio mestiere mi impone di perseguire.
Non era tenuta a farlo perché oggetto della udienza era altro, eppure volle ugualmente inserire nel provvedimento finale un inciso che stabiliva che nei confronti del mio assistito non si poteva applicare l’osceno regime di detenzione speciale meglio noto come il famigerato 41 bis e fu solo grazie a quell’inciso che con immensa fatica e molti mesi di attesa riuscii ad ottenere una declassificazione del detenuto, rivelatasi a tal punto giusta da scatenare le ire del noto Delmastro, quello che prova “intima gioia” a togliere il respiro ai carcerati.
Lei non era così, Lei era una bella persona, prima ancora che un bravo magistrato.
Un saluto speciale a Giovanna Ichino, la bella signora in biciletta, da un avvocato del Foro di Milano.
(avvocato Davide Steccanella)

Giudici: perché il Giambellino non era una “associazione”

“C’era la continuazione tra più fatti di occupazioni abusive di immobili ma va esclusa l’esistenza di una associazione per delinquere” Lo scrivono in 113 pagine i giudici della corte di appello di Milano per spiegare perché il 6 dicembre scorso avevano assolto  dal reato più grave i giovani del Comitato  Giambellino Lorenteggio che in primo grado erano stati condannati dopo essere stati agli arresti domiciliari e subito altre misure cautelari.

”Lo scopo del comitato era quello di occupare case popolari vuote e assegnarle ai richiedenti cercando poi di rendere definitiva l’occupazione contro le iniziative della polizia in particolare monitorando eventuali movimenti degli agenti” aggiungono i giudici secondo i quali si trattava di una ipotesi scolastica della associazione per delinquere che è cosa ben diversa dalla associazione per delinquere finalizzata alla esecuzione di un vasto programma criminoso per la commissione di un numero indeterminato e non preventuvato di reati.
Il Comitato agiva a livello di quartiere non aveva la pretesa di estendere le sue attivita’  fuori dai limiti territoriali ove se fosse presentata l’occasione.

La procura di Milano da questa vicenda esce seccamente  sconfitta. Ma purtroppo questo accade dopo la chiusura delle scuole di teatro e di calcio e pure della mensa popolare. Insomma i pm hanno distrutto il Giambellino azzerando la lotta per la casa e contro le disuguaglianze sociali. Uno dei pm apparteneva a Md e questo dimostra che quando c’è da praticare la repressione senza che vi sia sovversione Magistratura Democratica non è seconda alle correnti centriste e di destra.

(frank cimini)

Assolto per vizio di mente è in carcere non si trova Rems

Assolto per vizio di mente su richiesta conforme del pm da una serie di comportamenti violenti, tra cui la rapina, sta ancora in carcere perché non si trova una residenza dove collocarlo. L’assoluzione è del 12 dicembre. Il giorno 23 dicembre il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria ha rivolto un appello a varie autorità affinché si trovi una Rems in ambito regionale lombardo.

Il protagonista di questa terribile vicenda è un uomo di 50 anni che tra l’altro aveva minacciato di morte anche sua madre, al fine di ottenere soldi per comprare sostanze stupefacenti.

Il periodo trascorso in carcere non solo non gli ha giocato ma ha prodotto un aggravamento delle sue condizioni psichiche, scrive in sede di motivazione il giudice che lo ha assolto. Secondo il giudice l’uomo, difeso dall’avvocato Federica Liparoti, deve essere trasferito in una struttura dove sia curato e seguito. Altre misure non sono possibili.

La persona di cui stiamo parlando, secondo il giudice, non risulta consapevole della malattia, come emerge dalle perizie alle quali era stato sottoposto.

Il problema è che a tre settimane dalla condanna sta ancora in carcere perché il sistema non è stato in grado di individuare una struttura adeguata.

(frank cimini)