giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

Difesa Cospito: visionare in aula filmato dell’attentato

Visionare in aula nel contraddittorio tra le parti e non solo in camera di consiglio il filmato dell’attentato alla scuola carabinieri di Fossano in modo da rendersi conto della scarsa entità dei danni. È questa la richiesta che l’avvocato Flavio Rossi Albertini farà in aula davanti alla corte di assise di appello di Torino dove riprenderà il processo a carico di Alfredo Cospito e Anna Beniamino dopo l’interruzione in attesa che la Corte Costituzionale decidesse sulla possibilità di concedere le attenuanti.

Il procuratore generale di Torino Piero Saluzzo aveva chiesto per Cospito l’ergastolo dopo che la Cassazione aveva aggravato l’imputazione contestando l’attentato alla sicurezza dello Stato.

”Il filmato assume valore dirimente in ottica difensiva ai fini della quantificazione della pena – scrivono nell’istanza gli avvocati Flavio Rossi Albertini, Gian,una Vitale e Caterina Calia – in modo da tenere conto dell’effettiva entità e delle specifiche esigenze dei singoli casi. Si pone come naturale attuazione e sviluppo di principi costituzionali tanto di ordine generale, principio di uguaglianza, quanti attinenti direttamente alla materia penale”.

”La necessità che l’elemento obiettivo del fatto, ovvero la gravità che lo stesso ha integrato per la sicurezza dello Stato va mostrato in aula anziché visionato in camera di consiglio. Questo appare irrinunciabile anche e soprattutto in ossequio al principio di pubblicità dell’udienza e della funzione che tale garanzia e’ diretta ad assolvere” continuano i legali.

La pubblicità della procedura tutela le persone sottoposte a giudizio tutelandole da una giustizia segreta che si sottragga al pubblico. La pubblicità interessa la cittadinanza affinché sia consapevole delle modalità con cui viene esercitata l’azione penale soprattutto nei confronti di coloro che vengono tacciati di essere nemici dell’assetto costituito del Paese, è il ragionamento della difesa.Affinché l’atteggiamento sanzionatorio statale venga praticato in coerenza con l’assetto normativo.

(frank cimini)

Steccanella: le manette a senso unico dei magistrati

 

In questi giorni infuria la polemica per la netta presa di posizione dell’ANM contro l’annunciata riforma del Ministro Nordio che vorrebbe abolire il reato di abuso d’ufficio. Abolizione discutibile e più che legittimo che una delle categorie di addetti ai lavori ne segnali le criticità, in questo sbaglia Nordio a parlare di “interferenza”, perché in una democrazia chiunque è nel pieno di diritto di criticare qualsiasi provvedimento legislativo che non condivide, e ci mancherebbe altro che uno dei tre poteri, indipendenti, che ne contrassegnano la di lei vita, dovesse zittirsi supino ai voleri dell’altro.

Però, detto questo, il dato che colpisce è che, come accaduto in precedenza quando si è parlato di prescrizione, ergastolo, 41 bis, introduzione di leggi sempre più punitive con nomi talvolta anche grotteschi (femminicidio, omicidio stradale, reati ostativi, spazzacorrotti, trojan et similia) gli strali corporativi degli applicatori della legge si elevano sempre a senso unico nel tutti uniti verso la galera per tutti, manco fosse la riesumazione moderna del siparietto comico di quel tale Giorgio Bracardi, che per qualche annetto proprio su quello slogan ci campò travestendosi da duce (ma erano altri tempi, allora si rideva, oggi si applaudirebbe).

Durante il tragico ministero che non so quanto in “buonafede” introdusse le peggiori nefandezze, non una voce si elevò al cielo da parte di costoro per segnalare la pericolosa deriva giustizialista (temine che rappresenta l’ossimoro della Giustizia con la G maiuscola) che si stava sempre più assecondando, in nome della difesa delle vittime di cui di base, in realtà, non gliene è mai fregato niente a nessuno.

Ora, sul punto assai delicato, proprio perchè attiene ai rapporti istituzionali che dovrebbero intercorrere tra i tre diversi poteri dello Stato, credo che sia venuto il momento da parte di costoro di fare chiarezza una volta per tutte, perché non c’è nulla come l’ipocrisia a generare alla lunga sfiducia e perdita di autorevolezza nei confronti dei cittadini.

In Italia ci sono ancora oggi – oppure mancano ancora, il che è la stessa cosa – leggi fondamentali che diano finalmente attuazione “pratica” alla nostra bella costituzione, tipo il fine pena mai, il diritto di scegliere il proprio fine vita, il riconoscimento di figli incolpevoli di coppie che ricorrono a procedure da anni pienamente applicate in altri paesi, il diritto di campare in condizioni economiche decenti per sostenere le sempre più spregiudicate speculazioni della cinica economia global, e potrei andare avanti per ore.

Gentili signori, operatori primari del diritto, perché in tutti questi casi non dite nulla riparandovi comodamente dietro il principio secondo cui “il testo della norma ce lo impone”, che tutto assolve e in primis la coscienza, mentre ogni qual volta si propone di ridurre il numero spropositato (non lo dico io, ma i numeri) di processi e galere vi elevate a tutori della questione morale?

Qualche tempo fa lessi che un PM, deluso dalla decisione di un GIP di non mettere in galera chi aveva portato in udienza in manette, disse pubblicamente che “non avrebbe più preso un caffè con la collega”.

La domanda è: credete davvero che il vostro delicatissimo mestiere consista nel prendere il caffè solo con chi ingabbia e non con chi libera?

Siete sicuri, domando sommessamente, di avere scelto il mestiere più giusto?

Lo chiedo perché mia madre e la gran parte delle persone che frequento, pensano sempre che ogni condanna sia troppo lieve, che ogni assoluzione sia ingiusta e che bisognerebbe riempire le patrie galere con tutti quelli che per un motivo o per l’altro non ci piacciono, ma loro, per fortuna, hanno scelto di fare un altro lavoro.

Davvero pensate che il vostro compito sia quello di mettere in galera più gente possibile?
avvocato Davide Steccanella

 

 

 

 

 

“La repubblica giudiziaria ben prima di Mani Pulite”

Vale la pena di leggere le quasi 300 pagine del saggio “La repubblica giudiziaria – Una storia della magistratura italiana” frutto del lavoro di Ermes Antonucci soprattutto per un motivo spiegato nella controcopertina: “Molui credono che la preminenza della magistratura sulla politica sia stata innescata dal terremoto provocato da Mani pulite, ma solo un ingenuo puo’ pensare che questa rottura sia avvenuta all’improvviso”.

”Lo strapotere della magistratura è il risultato del sommarsi di tensioni tra diverse ‘ faglie’ istituzionali“ si spiega. Chi scrive queste poche righe per invogliare a leggere il libro di Antonucci aggiunge che tutto comincia con la madre di tutte le emergenze, quella rubricata con l’etichetta di terrorismo ma che fu in realtà un tentativo di rivoluzione fallito.

Decina di migliaia di persone passate per le carceri rappresentarono un problema politico che la politica non volle affrontare direttamente delegando la questione della sovversione interna alla magistratura che ne approfittò per aumentare il proprio potere e per andare a riscuotere il credito acquisito nel 1992.

Le leggi premiali utilizzate per risolvere il problema furono pretese e ottenute dalla magistratura sempre storicamente interessata alle scorciatoie come poi andrà in epoca successiva con l’utilizzo smodato delle intercettazioni fino al trojan che continua a fare danni irriparabili ai diritti dei cittadini.

Con le leggi premiali non vale più quello che un imputato ha fatto ma ciò che pensa delle sue azioni e soprattutto se fa l’autocritica agli altri. La catena di Sant’Antonio delle chiamate di correo finirà per fare anni agli stessi politici in occasione della falsa rivoluzione di Mani pulite. Quando la politica si suicida abolendo l’immunita’ parlamentare sotto la forma dell’autorizzazione a procedere.

E per quella scelta la politica non ha mai voluto fare i conti fino in fondo salvo lamentarsi che la magistratura ha un potere eccessivo che esercita tuttora. Con la differenza che in passato lo faceva soprattutto svolgendo indagini e ora quando le conviene lo fa evitando di compiere gli accertamenti che sarebbero doverosi secondo il codice. Basta ricordare il caso di Expo quando l’allora presidente del Consiglio Matteo Renzi ringrazio’ la procura di Milano per avere dimostrato responsabilità istituzionale.

E a questo proposito basta riportare il passaggio in cui nel libro si ricorda “il lungo percorso culturale, politico e ideologico di una istituzione divisa fra la fedeltà a valori comuni e visioni della giustizia contrastanti. In una accurata ricostruzione storica che svela luci e ombre di un ‘ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere’, la parabola di un sistema controversi, tra interessi personali e rappresentanza delle istanze collettive”.

(frank cimini)

Gip: indagini sugli anni ‘70 siano per l’eternità

Le indagini sulla lotta armata siano per l’eternita’. È questo il messaggio contenuto nell’ordinanza emessa dal gip torinese Anna Mascolo che accogliendo la richiesta della procura ha riaperto le indagini su un fatto di quasi 50 anni fa, la sparatoria di Cascina Spiotta, in relazione all’omicidio del brigadiere D’Alfonso di cui risponde l’ex brigatista Lauro Azzolini, nonostante questi fosse stato già prosciolto nel 1987 dal giudice istruttore di Alessandria.

Ci sarebbe stato tra l’altro un problema di competenda territoriale, ma il gip lo ha bypassato spiegando che essendoci di mezzo la finalità di terrorismo la competenza si radica nel capoluogo del distretto. La norma specifica però è del 2001 e i fatti risalgono al 5 giugno del 1975. Quando c’e’ di mezzo la parolina magica terrorismo evidentemente salta qualsiasi regola e non è possibile obiettare nulla.

La sentenza del 1987 inoltre non era stata allegata agli atti perché introvabile causa alluvione ma il giudice passa sopra anche su questa circostanza affermando che non vi è dubbio vi sia stata.

Il gip afferma che era già previsto all’epoca l’istituto della revoca della sentenza di proscioglimento emesso dal giudice istruttore nel caso siano soravvenuti nel frattempo nuovi elementi di prova.

Secondo il difensore Davide Steccanella emerge al massino che Azzolini potrebbe aver toccato il dattiloscritto documento riferito ai fatti del 5 giugno e sequestrato in occasione dell’arresto di Renato Curcio il 19 gennaio del 1976. “Circostanza del tutto neutra posto che quel documento in cui si riferivano i dettagli del fatto in cui era morta una fondatrice delle Brigate Rosse venne ovviamente esaminato da moltissimi militanti dell’organizzazione e persino oggetto di una pubblicità,un’azione su un giornale clandestino. Per cui sarebbe impossibile che non vi comparissero altre impronte oltre a quelle di Azzolini per cui è da escludersi che il documento una volta redatto e consegnato a Curcio sia stato immediadatamebte chiuso in una cassaforte come un talismano da preservare visto che era stato redatto proprio per informare tutti gli altri membri dell’organizzazione che non erano presenti di come erano andate le cose quel drammatico giorno alla Spiotta” si legge nella memoria della difesa.

Del resto la stessa procura è consapevole dell’inconsistenza di tale elenco probatorio ai fini di una condanna considerando che l’accusa chiede la riapertura delle indagini e non il rinvio a giudizio.

”Se io raccontassi all’estero che un giudice in Italia può revocare una sentenza di assoluzione per fatti di 50 anni fa di cui non dispone materialmente mi prenderebbero per matto” dice Davide Steccanella.

Anna Mascolo è un giudice giovanissimo. Evidentemente non aveva genio non se la sentiva di opporsi alla richiesta della procura piu forcaiola e arrogante del paese e ha fatto copia e incolla con l’istanza dei pm. Ci troviamo in un teatro dell’assurdo. Le indagini prorogate dopo decenni per sei mesi con ogni probabilità porteranno a niente ma servono ad agitare un fantasma del passato nell’ambito dell’infinita emergenza italiana dove magistratura politica e giornaloni sono uniti nella lotta (frank cimini)

 

41bis, Tribunale speciale a Roma e tutti zitti o quasi

Dalla caduta del fascismo in poi in Italia non c’erano stati tribunali speciali. Neanche durante la madre di tutte le emergenze per risolvere la questione della sovversione interna perché allora c’era stato un uso speciale dei tribunali ordinari poi proseguito con la lotta alla mafia e la farsa di Mani pulite. Ma dall’anno di grazia 2009 a Roma c’è il Tribunale di Sorveglianza che ha la competenza esclusiva a decidere sui reclami contro l’applicazione del 41bis del regolamento penitenziario il carcere duro provenienti da tutto il paese.

Tutto questo nel silenzio generale o quasi a eccezione dell’Unione delle Camere Penali che già nel 2008, un anno prima della riforma controriforma sulla questione avevano avvertito sui pericoli a livello di diritti.

Anche nel novembre del 2017 le Camere Penali denunciavano “l’anomalia” parlando di prassi distorte che vanno oltre le reali necessità. “Si pensa così di rispondere all’esigenza di evitare pronunciamenti giurisprudenziali eterogenei da parte di diversi tribunali. In pratica la negazione della giurisdizione dove invece l’eventuale contrasto tra decisioni è il sale del diritto”.

In pratica viene negato il rispetto del principio costituzionale  diritto al giudice naturale. Il quadro diventa sempre più grave ricordando che sottoposti adesso al 41bis ci sono 750 detenuti il doppio rispetto al periodo delle stragi mafiose. Di carcere duro si è parlato molto in questi ultimi tempi a causa del lunghissimo sciopero della fame delL’anarchico Alfredo Cospito che ha rischiato la vita per sottoporre all’attenzione  generale una questione che non riguardava e non riguarda solo lui. Ma sul punto si sono visti in giro ben pochi garantisti i soliti quattro gatti oltre alle manifestazioni ai cortei e ai presidi dei movimenti anarchici. Nessuno ha messo in discussione il 41bis e l’anomala esclusiva competenza della sorveglianza di Roma che sul punto ha da tempo pieni poteri. Si tratta a livello istituzionale di una vera e propria sfiducia nei tribunali di sorveglianza di un intero paese. Ma la magistratura e le associazioni di categoria tacciono mentre sono pronte da anni a denunciare tentativi di delegittimazione della giurisdizione a ogni piè sospinto.

(frank cimini)