giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

Morto Pacini Battaglia tacendo salvò la magistratura

Non era un magistrato ma la magistratura dovrebbe fargli un monumento da collocare davanti alla sede del Csm o dell’Anm. Con il suo silenzio salvò l’immagine e l’onore della magistratura e anche un paio di governi del centrosinistra. Intercettato dal Gico della guardia di finanza in una inchiesta di La Spezia aveva detto: “Di Pietro e Lucibello mi hanno sbancato” e ancora: “ Si pagò per uscire da Mani Pulite”.
A Brescia dove l’indagine fu trasferita l’ineffabile giudice decise che Pacini “aveva millantato”. Si trattava di salvare l’uomo simbolo di Mani Pulite e con lui l’immagine e l’onore di una intera categoria. Prevalse la ragion di Stato dopo che l’Associaziobe Nazionale Magistrati in un comunicato per la prima volta si schierò con l’indagato e non con i pm che indagava su di lui. Fu ovviamente anche l’ultima. Non sarebbe accaduto mai più.
Pierfrancesco Pacini Battaglia come spiegò nel teleprocesso Cusani l’avvocato Giuliano Spazzali “caro dottor Di Pietro entrò e uscì come una meteora dalle sue inchieste”.
Pacini fu il regista dell’inchiesta sui fondi neri dell’Eni. Arrestato e subito rimesso in libertà il 18 marzo del 1993 perché decise di “collaborare” con il mitico pool che considerò lui “l’Eni buono”. Al pari di Franco Bernabe’ al quale sempre al teleprocesso Cusani Di Pietro chiese: “Ma all’Eni l’abbiamo finita con la pratica delle società offshore o no?”. Il testimone rispose: “La stiamo finendo”. Cioè confessò in diretta televisiva la commissione di un reato il falso in bilancio. Non fu indagato. Era la giustizia due pesi due misure. Dove Sergio Cusani senza incarichi operativi e firme sui bilanci venne condannato a una pena doppia degli amministratori della Montedison.
Fu una grande farsa con la scusa di ribaltare l’Italia come un calzino.
(frank cimini)

Cassazione cartoline anonime e anarchiche non pericolose

Due cartoline provenienti da autori non ben identificati e con saluti anarchici non sono da considerare pericolose per la sicurezza dello Stato e vanno consegnate al destinatario. Che poi è sempre lui, Alfredo Cospito detenuto nel carcere di Sassari Bancali in regime di 41bis. Lo ha stabilito la Cassazione rigettando il ricorso del procuratore generale della città sarda contro la decisione del Tribunale di Sorveglianza.
“L’ordinanza impugnata aveva dato conto del fatto che le cartoline indirizzate a Cospito benché prive dell’indicazione del mittente alla luce del loro contenuto non evidenziavano profili di pericolosità per la sicurezza interna e esterna escludendo che in tal senso potesse assumere la provenienza della stessa da soggetti aderenti alla medesima ideologia anarchica del destinatario – scrivono i giudici della Suprema Corte – Nel pervenire a tale conclusione il Tribunale si è conformato all’insegnamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui ai fini del giudizio di pericolosità della corrispondenza il trattamento deve essere motivato in relazione alle specifiche situazioni indicate dagli articoli di legge”.
Secondo la Cassazione l’interpretazione contenuta nel ricorso si scontra inevitabilmente con i principi costituzionali in tema di libertà e segretezza della corrispondenza. Il carattere anonimo della corrispondenza indirizzata al detenuto ristretto in regime di 41bis non è indice di pericolosità. Non si può prescindere dal contenuto della corrispondenza affermano i giudici della Cassazione. Il procuratore generale insomma ha fatto un buco nell’acqua. Sembra assurdo che si debbano celebrare delle udienze per decidere la consegna di semplici cartoline con “saluti anarchici”. Ormai siamo oltre lo spirito e la lettera dello stesso articolo 41bis del regolamento carcerario. Si tratta di vessazioni vere e proprie che nulla hanno da spartire con la necessità di impedire contatti e legami con organizzazioni esterne. Però è questa è la vera tragedia per consegnare due cartoline siamo arrivati fino in Cassazione.
(frank cimini)

Morto Petrilli vittima dell’antiterrorismo e non risarcito

È morto Giulio Petrilli protagonista di una incredibile vicenda giudiziaria relativa alla storia degli anni ‘70 e del “terrorismo”, quindi non la sola, ma molto significativa. Arrestato nel 1980 con l’accusa di aver partecipato a Prima Linea, il pm Armando Spataro chiese per lui 11 anni di reclusione, fu condannato a 8 anni. In appello arrivò l’assoluzione poi confermata dalla Cassazione.
Ma dentro questa vicenda resta “esemplare” la motivazione con cui i giudici rifiutarono il risarcimento per ingiusta detenzione. L’errore contenuto nella sentenza di primo grado era stato indotto dalle sue “pessime frequentazioni”. Furono parole pesantissime che portarono Petrilli a combattere fino al termine dei suoi giorni per un’amnistia e nella battaglia contro il 41bis, figlio del famigerato articolo 90 che lui aveva provato sulla sua pelle.

Ma andiamo con ordine. Lasciamo la parola allo stesso Petrilli in uno scritto del primo dicembre del 2014. “Ho letto che il nuovo procuratore di Torino è l’ex pm di Milano Armando Spataro  Famoso magistrato di cui si parla sempre in positivo, ma nessuno sa che ha commesso anche gravi errori giudiziari. Lo dico avendolo vissuto sulla mia pelle. Spataro emise un mandato di cattura nei miei confronti il 23 dicembre 1980 dove mi accusò di partecipazione a banda armata con funzioni organizzative, Prima Linea – racconta Petrilli – In primo grado Spataro chiese 11 anni di carcere. La corte di assise mi condannò a 8 anni. Dopo 5 anni e 8 mesi la corte di Appello mi assolse e poi la Cassazione confermò”.

Petrilli scontò ingiustamente sei anni di carcere. “E non mi hanno risarcito perché secondo i giudici preposti a stabilire se dovevo avere il risarcimento io avevo avuto cattive frequentazioni. I magistrati come Spataro che commettono errori clamorosi vengono promossi, le persone che subiscono gravi errori giudiziari manco vengono risarcite – conclude – È giustizia o sopraffazione? Avevo fatto anche a luglio richiesta al capo del governo chiedendo danni per dieci milioni di euro per sei anni di ingiusta detenzione. Chiedevo la responsabilità civile del magistrato, non ho avuto risposta”.

”Giulio Petrilli ci ha lasciato prematuramente a causa di una embolia polmonare. Ricoverato d’urgenza non ce l’ha fatta – dice Paolo Persichetti – corpo possente da vero rugbista lo ricordiamo per la sua incredibile umanità per la generosità debordante. Nel 1984 era stato anche picchiato duramente dalla polizia penitenziaria dopo una fermata all’aria di protesta fatta con i suoi compagni per denunciare le condizioni di detenzione. Si è battuto fino all’ultimo contro il 41bis”

La vicenda del mancato e negato risarcimento aveva acceso dentro di lui un fuoco inesauribile, ricorda ancora Persichetti secondo il quale soltanto un terzo delle richieste di ristoro per il carcere ingiusto vengono accolte.

Infatti non basta la sentenza di assoluzione e non basta nemmeno che la giustizia abbia riconosciuto l’illegittimita’ della misura cautelare. Chi è stato in carcere ingiustamente deve dimostrare di non aver tenuto un comportamento tale da aver tratto in inganno i magistrati con atteggiamenti omissivi o perché non si è avvalso delle funzioni difensive che restano un diritto fondamentale dell’imputato anche sotto il profilo delle frequentazioni.

In sostanza le sentenze di assoluzione valgono fino a un certo punto perché poi vengono sottoposte a un nuovo processo dove la personalità di chi è stato assolto viene giudicata a livello morale. Insomma una sorta di quarto grado di giudizio per resuscitare la colpa con tanti saluti all’assoluzione fino all’inversione dell’onore della prova.

Chi viene assolto per reati avvenuti in posti dove c’è la criminalità organizzata diventa responsabile del fatto di frequentare contesti pieni di pregiudicati. Chi viene assolto da accuse di eversione, se ha frequentato luoghi di conflitto recepito culture antagoniste e irregolari secondo la norma politico morale dominante viene ritenuto responsabile di una sorta di concorso ambientale. In questo modo si arriva alla teologia giudiziaria. È una giustizia che sta nell’alto dei cieli che processa dopo il processo penale la presunta doppiezza o ambiguità dell’imputato assolto.
E’ il meccanismo che ha stritolato Giulio Petrilli in un’epoca in cui il populismo penale dilaga sempre di più e continua a colpire ormai mezzo secolo di distanza quel periodo degli anni ‘70 con il quale la politica cominciare dalla sinistra rifiuta di fare i conti.

(frank cimini)

Khaled nuovo Zaki ma il governo italiano se ne frega

Khaled El Qaisi, cittadino italo-palestinese,  ricercatore universitario si trova da 28 giorni in carcere in Israele senza che siano state formulate accuse a suo carico. La detenzione è già stata prorogata tre volte e la prossima udienza è fissata per il primo ottobre all’esito della quale entro 48 al massimo 72 ore dovrebbe esserci una decisione delle autorita’ sui motivi del provvedimento del 31 agosto.

In una c9nferenza stampa alla Camera dei deputati il difensore Flavio Rossi Albertini, l’onorevole Laura Boldrini, Riccardo Noury di Amnesty International e Francesca Albanese ricercatrice speciale Onu hanno denunvisto la violazione del diritto e delle convenzioni internazionali.

Francesca AnteNucci moglie di Khaled ha ricostruito le fasi dell’arresto al confine con la Giordania quando lei e il piccolo Kamal sono rimasti senza telefono e senza soldi. Khaled in questi giorni è stato interrogato più volte senza difensore dalla polizia e dai servizi segreti. “Evidentemente non avendo elementi sui quali imbastire un’accusa formale puntano a ricavarlì da questi interrogatori che in qualsiasi paese sarebbero illegali” ha detto l’avvocato Albertini.

Laura Boldrini ha ricordato la posizione espressa dal ministro degli Esteri Antonio Tajani secondo il quale “non si può interferire in una vicenda giudiziaria”. “E invece si deve in un caso del genere” ha aggiunto la parlamentare.

In Israele ci sono 967 palestinesi detenuti senza accuse formali. La reclusione è prorogabile di sei mesi in sei mesi per anni, ha spiegato ancora l’avvocato.

I giornali italiani hanno detto praticamente niente, “come se valesse da noi il divieto che c’è in Israele a riferire di vicende simili”.

Alla conferenza stampa non era presente nessun telegiornale. L’unico grande quotidiano era il Corriere della Sera. Il governo se ne frega. L’onorevole Giovanni Donzelli di Fdi ha fatto sapere che Israele ha diritto di difendersi dai terroristi. Per Zaki che non era cittadino italiano si mobilitarono in tanti a sinistra e pure a destra. Per Khaled cittadino del nostro paese nulla. “Ma è italo-palestinese – conclude l’avvocato – e in Israele quello che c’è scritto prima del trattino conta zero”.

(frank cimini)

 

Cospito, reclamo contro divieto di leggere stampa locale

Il 3 ottobre sarà discusso davanti al Tribunale di Torino il provvedimento con cui la corte di assise di appello il primo agosto aveva prorogato la limitazione di acquistare giornali dall’area di provenienza per Alfredo Cospito attualmente recluso nel carcere di Sassari Bancali in regime di 41 bis.

Nel reclamo gli avvocati Flavio Rossi Albertini e Maria Teresa Pintus ricordano che in ItaLia la stampa non può essere soggetta a autorizzazioni o censure e di fatto se ne impedisce la divulgazione vietando al destinatario del provvedimento di attingere alle notizie pubblicate liberamente dai giornali del luogo geografico di origine.

I legali affermano che vengono violati diritti tutelati dalla Costituzione. Cospito è imputato in diversi processi che si svolgono presso le sedi giudiziarie dei luighi di origine. Si tratta di poter reperire informazioni che potrebbero essere utili alla sua difesa.

La mancanza di informazioni impedisce inoltre di poter reagire contro alcuni reati come per esempio la diffamazione. In questo modo il diretto interessato non può  chiedere la rettifica o la smentita di una notizia.

Il decreto di inibizione a leggere la stampa locale, aggiungono gli avvocati, non individua un pericolo in concreto bensì in astratto che attraverso la lettura il detenuto possa comunicare con l’esterno. Esiste contraddizione nel sostenere che il detenuto in regime speciale riesce a mandare ordini all’esterno attraverso la lettura dei giornali locali e contestualmente si sostiene che l’applicazione del 41bis sarebbe dettata dalla necessità di impedire i contatti con l’esterno. Delle due l’una. O il 41bis impedisce i contatti con l’esterno o ciò che si vuole ottenere è ben altro.

Gli avvocati dì Cospito presenteranno anche un altro reclamo relativo a una questione non solo meno importante ma che dovrebbe essere rubricata come scempiaggine dal momento che la direzione del carcere di Sassari ha bloccato due magliene mandate dalla sorella perché raffigurerebbero dei teschi. In realtà si tratta di una maglietra dei Goonies e di un mostriciattolo di Dungeons e Dragons. Insomma siamo alle comiche. Ci sarebbe da ridere se non ci fosse da piangere. Ma purtroppo bisognerà fare un’udienza anche su questo perché la pista anarchica è eterna. In un’epoca di repressione senza sovversione.

(frank cimini)