giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

Per la Cassazione la morte in cella per overdose è colpa (anche) dello Stato

I giudici civili hanno sancito la corresponsabilità dell’apparato penitenziario, condannando il ministero della Giustizia a risarcire madre e vedova di un ragazzo tossicodipendente deceduto a Regina Coeli.

Ventidue anni per avere giustizia

Lo Stato ha il dovere di garantire la tutela della vita delle persone che tiene chiuse in carcere, anche di quelle che in cella riescono a procurarsi sostanze stupefacenti e si espongono a rischi. E se non lo fa, e la droga arriva in cella e uccide, deve risarcire chi perde un figlio o un marito. Sembra un principio sacrosanto, scontato, declinato concretamente in automatico. Ma la Cassazione lo ha dovuto ribadire, chiudendo un caso dopo più di 22 anni, per dare giustizia e ristoro economico ad una madre e una vedova.

Il concorso di colpa e i risarcimenti

I giudici della Terza sezione civile, con l’ordinanza 29.826 depositata a fine 2024 e pubblicizzata di recente, hanno reso definiva la condanna del ministero della Giustizia, tenuto a pagare quasi 223 mila euro alla mamma e circa 212mila alla moglie di un giovane detenuto stroncato da un’overdose di cocaina durante la carcerazione a Regina Coeli. Gli “ermellini” hanno dato ragione ai colleghi della Corte d’appello civile di Roma, dopo una girandola di ricorsi e ribaltamenti di decisioni precedenti, inizialmente sfavorevoli alle due donne. Alla struttura carceraria è stata addebitata metà della colpa.  Il comportamento rischioso del ragazzo non basta ad escludere del tutto le responsabilità dell’apparato penitenziario, che per legge ha il compito e il dovere di controllo e di vigilanza.

Lo Stato ha cercato di chiamarsi fuori

Lo Stato ha cercato in tutti i modi di chiamarsi fuori e opporsi, attraverso l’Avvocatura di Stato, provando a ribaltare sul ragazzo cocainomane l’intero peso di una fine tragica.  Ha perso e ora il pronunciamento della Cassazione, richiamate precedenti decisioni in materia, potrebbe spianare la strada a cause simili e ad altri pesanti indennizzi. In Italia, ogni anno, si contano decine di decessi in carcere per suicidi, a volte prevedibili e annunciati, per cause accidentali o non meglio specificate, per abuso di stupefacenti e mix di psicofarmaci, per inalazione di gas dei fornelletti da campeggio utilizzati per cucinare, per malattia o per omicidi (come documenta il dossier Morire di carcere di Ristretti orizzonti, in www.ristretti.it/areestudio/disagio/ricerca/)

Le responsabilità dell’amministrazione penitenziaria

Quando un detenuto tossicodipendente muore in carcere per un’assunzione di stupefacenti – dice l’ordinanza, sintetizzata sul portale della stessa Cassazione e in siti per addetti ai lavori – c’è la responsabilità della struttura penitenziaria nella misura del 50 per cento. E questo concorso di responsabilità, nel caso trattato, è riconducibile a colpa omissiva e per due ordini di motivi. Non è stato controllato adeguatamente il ragazzo con problemi di droga, pur essendoci segnali da non sottovalutare, e non è stato impedito che la cocaina circolasse all’interno del carcere e arrivasse fino a lui.

Ecco le norme di legge violate

Le norme violate, dell’ordinamento penitenziario, sono richiamate nel provvedimento di piazza Cavour. L’articolo 1 della legge 354 del 1975 impone che siano rispettati i diritti fondamentali delle persone ristrette, in primis il diritto alla vita e all’integrità fisica. Il regolamento di esecuzione, il Dpr 230 del 2000, garantisce la sicurezza nei luoghi di detenzione, almeno sulla carta, e individua gli oggetti che i detenuti possono ricevere e possedere in carcere. Invece il personale non ha vigilato adeguatamente su ragazzo fragile con trascorsi di dipendenza e non ha messo in atto le misure necessarie per evitare che la cocaina venisse portata e girasse tra le celle.

L’arresto per un furto e la carcerazione

Il giovane detenuto era stato arrestato il 10 marzo 2002 per il furto di un telefonino e portato nella casa circondariale di Regina Coeli. Al momento dell’immatricolazione e della visita d’ingresso aveva dichiarato di essere tossicodipendente ed era stato preso in carico dal Sert interno. Lo avevano dimesso il 12 luglio 2002, e collocato in una cella comune, perché «risultava aver superato il problema» e aveva comunicato «la volontà di condurre una nuova vita».

Morte in cella per overdose di cocaina

Non è andata così. Il 18 luglio 2002 il ragazzo ha sniffato cocaina ed è morto in carcere a 24 anni. L’autopsia ha escluso ipotesi alternative e ha certificato che lo ha stroncato l’assunzione di droga, un’overdose. Mamma e moglie si sono affidate a una avvocata e hanno portato in giudizio il ministero di Giustizia, chiedendo di essere risarcite per il danno e per le sofferenze subite e innescando il procedimento civile concluso dopo anni e anni.

Sottovalutazione del rischio di ricadute

Il ragazzo ha assunto droga per libera scelta, riconoscono i giudici di Appello e di piazza Cavour. Ma la sua «situazione era tale da rendere altamente probabile una ricaduta nella tossicodipendenza qualora, una volta dimesso dal Sert, avesse avuto la disponibilità di sostanze stupefacenti». Il quadro era noto, Nel diario clinico compilato nel carcere romano «emergeva che era tossicodipendente dall’età di 19 anni e che, pur avendo manifestato di aver avviato un percorso di affrancamento, non poteva ipotizzarsi che si fosse definitivamente disintossicato», come provato anche dall’ammissione ad un programma di recupero in una comunità di Trapani, dove avrebbe dovuto essere ricoverato e curato.

Chiusa una indagine nel giorno della morte del ragazzo

Lo stesso giorno del decesso del ragazzo, di cui nelle agenzie si stampa e negli archivi dei giornali consultati non si trova traccia, si era avuta ampia notizia dell’esecuzione di 36 ordinanze di custodia cautelare, un punto fermo messo alle indagini sullo spaccio all’interno dei penitenziari della capitale. Alcuni pregiudicati detenuti a Regina Coeli e a Rebibbia, in una intercettazione paragonata a un villaggio vacanze con tanto di animatore, avevano organizzato l’approvvigionamento di droga con l’aiuto di familiari e di poliziotti penitenziari, finiti in quattro in manette. Cocaina ed eroina entravano negli istituti nascoste in oggetti e cibi, da tacchi di scarpe a forme di pecorino scavate per far posto alle dosi.

Lorenza Pleuteri, collaboratrice di Osservatoriodiritti.it

Il buco nero delle informazioni sul carcere Beccaria

Dunque dopo mesi di incendi, evasioni tentate e riuscite il governo interviene sul carcere Beccaria silurando il comandante Daniele Alborghetti individuato, sostiene il sindacato UILPA della polizia penitenziaria, come il “capro espiatorio”. “L’avvicendamento non era affatto concordato – scrive il segretario Gennarino De Fazio -. Il Dipartimento per la Giustizia minorile e di comunità, lungi dall’affrontare compiutamente i problemi, per tentare di salvare la faccia, percorre la via più semplice e breve e trova un capro espiatorio”.

Quello che è certo è che, dopo gli arresti e le sospensioni di 21  agenti ad aprile per presunte torture e violenze, al Beccaria il fermento e le fibrillazioni dei giovani detenuti non sono mai cessate e, come sempre, di quello che è successo dentro all’opinione pubblica sono arrivate solo poche istantanee e nessuna spiegazione. Alcuni cronisti hanno visto la sera dell’uno settembre dei fuggiaschi essere catturati nella vegetazione che costeggia l’istituto dopo una rivolta che, riferiscono fonti di diverse sigle sindacali, era durata per tutta la notte e aveva visto coinvolti tutti e 58 i giovani ospiti della struttura.

Secondo il Dipartimento per la Giustizia Minorile invece la sommossa era stata “prontamente sedata senza alcun tentativo di evasione dei detenuti”. Il carcere, secondo le informazioni diffuse dai sindacati, era stato ridotto “ai limiti dell’agibilità”.

Cosa sta accadendo nel Beccaria? Mentre scriviamo altre tre persone sono evase. Nei giorni scorsi abbiamo provato a chiedere al Dipartimento di poter porre delle domande proprio al Comandante Alborghetti. La risposta era stata che, dopo un’istruttoria per vagliare l’istanza, si era deciso che no, le domande non potevano essere poste. Senza argomentare il diniego. Alla nostra obiezione che sarebbe stato importante per i cittadini poter conoscere un punto di vista importante su quello che succede in questo carcere così travagliato, ci era stato risposto così: “Noi facciamo le cose per bene”. (manuela d’alessandro)

 

Non diamoli per scontati: numeri e nomi aggiornati dei suicidi in carcere

Si sono impiccati quasi tutti, chi col laccio dei pantaloni, chi con le lenzuola, chi con una corda. Qualcuno si è soffocato con un sacchetto di plastica, qualche altro riempiendosi i polmoni di gas o altre sostanze. A volte in cella non erano soli, c’erano dei compagni. Sono morti soprattutto di notte e d’estate.

A volte non subito, gli agenti della penitenziaria hanno provato a rianimarli. Età media sui 40 anni, più stranieri che italiani.Reati dall’omicidio al piccolo spaccio, tanti con dipendenza dalla droga, diversi con sofferenze psichiatriche.

Ecco gli 88 uomini e donne che si sono tolti la vita nelle carceri italiani dal primo gennaio 2024. Nel 2022 alla fine se ne erano contati 85, due anni dopo si è andati oltre. Non di tutti sono noti nomi e cognomi, della maggior parte i sindacati penitenziari, che a loro volta registrano sette suicidi di agenti in questo anno, hanno diffuso, assieme ad associazioni, garanti e legali, minimi brandelli delle loro storie.

6 gennaio 2024: Matteo Concetti, 23 anni. Stava male da tempo, soffriva di disturbo bipolare. Era rientrato nel carcere di Ancona perché, svolgendo la pena alternativa lavorando in una pizzeria, aveva sforato sull’orario di rientro a casa. Il 5 gennaio aveva detto alla madre: “Se mi riportano in isolamento, mi ammazzo”

8 gennaio 2024: Stefano Voltolina, 26 anni, detenuto a Padova, soffriva di depressione. Una volontaria ha affidato il suo ricordo a ‘Ristretti orizzonti’: “Era sveglio, buono, curioso. Abbiamo fallito”
10 gennaio 2024: Alam Jahangir, 40 anni, originario del Bangladesh, si è impiccato con un pezzo di lenzuolo a Cuneo, pochi giorni dopo il suo ingresso
12 gennaio 2024: Fabrizio Pullano, 59 anni, si è impiccato nel padiglione di alta sicurezza del carcere di Agrigento
15 gennaio 2024: Andrea Napolitano, 33 anni. A Poggioreale per l’omicidio della moglie, soffriva di disturbi psichiatrici
15 gennaio 2024: Mahomoud Ghoulam, 38 anni, marocchino senza fissa dimora, era entrato da poco a Poggioreale
22 gennaio 2024: Luciano Gilardi, gli mancava un mese alla libertà ma è morto prima da detenuto a Poggioreale
23 gennaio 2024: Antonio Giuffrida, 57 anni, era in carcere a Verona Montorio per truffa
24 gennaio 2024: Jeton Bislimi, 34 anni, si è ucciso nel carcere di Castrogno a Teramo: musicista macedone, 34enne, aveva provato ad ammazzare sua moglie. Aveva già tentato il suicidio
25 gennaio 2024: Ahmed Adel Elsayed, 34 anni, è stato trovato dagli agenti impiccato nel bagno della sua cella a Rossano Calabro. Gli mancava poco per il fine pena
25 gennaio 2024: Ivano Lucera, 35 anni, si è impiccato nel carcere di Foggia. Soffriva di dipendenze
28 gennaio 2024: Michele Scarlata, 66 anni, si è ucciso nel carcere di Imperia pochi giorni dopo esserci entrato con l’accusa di avere tentato di uccidere la compagna

 3 febbraio 2024: Alexander Sasha, ucraino di 38 anni, aveva già tentato di tagliarsi la gola prima di impiccarsi a Verona Montorio

3 febbraio 2024:Carmine S.,  detenuto disabile di 58 anni, si è impiccato nel carcere di Carinola (Caserta).
8 febbraio 2024: Hawaray Amiso, 28 anni, doveva scontare solo tre mesi a Genova. Invece avrebbe “manomesso la serratura del cancello della cella per ritardare l’intervento degli agenti di custodia” prima di impiccarsi
10 febbraio 2024: Singh Parwinder, 36 anni, bracciante agricolo, si è ucciso nel bagno del carcere di Latina
11 febbraio 2024: cittadino albanese, 46 anni, imprenditore. Si è ucciso a Terni. Gli erano state revocate da poco le misure alternative al carcere.
13 febbraio 2024: Rocco Tammone, 64 anni, era in semlibertà. Rientrato dal lavoro, si è ucciso nel cortile del carcere di Pisa
14 febbraio 2024: Matteo Lacorte, 49 anni, si è impiccato nel carcere di Lecce nel reparto di massima sicurezza. La Procura indaga per istigazione al suicidio
26 febbraio 2024: cittadino marocchino, 45 anni, si è impiccato a Prato
12 marzo 2024: Jordan Tinti, trapper, 27 anni, in carcere a Pavia per rapina aggravata dall’odio razziale. Aveva tentato il suicidio pochi mesi prima
13 marzo 2024: Andrea Pojioca, senza fissa dimora, 31 anni, ucraino. In carcere a Poggioreale per tentata rapina
13 marzo 2024: Patrck Guarnieri, è morto il giorno in cui compiva 20 anni per asfissia nel carcere di Teramo. Il pm indaga perché l’autopsia lascia dei dubbi che si sia trattato davvero di suicidio
14 marzo 2024: Amin Taib, 28 anni, tossicodipendente, si è ucciso nella cella di isolamento a Parma
21 marzo 2024: Alicia Siposova, 56 anni, slovacca, si è suicidata mentre era in corso una visita del cardinale Matteo Zuppi nel carcere di Bologna.
24 marzo 2024: Alvaro Fabrizio Nunez Sanchez, 31 anni, attendeva come molti l’ingresso in una Rems da alcuni mesi per gravi sofferenze psichiatriche. Invece si è ucciso nel carcere di Torino
27 marzo 2024: nigeriano, il nome non si sa, si è impiccato nel carcere di Tempio Pausania dove aspettava di essere processato per reati di droga.

27 marzo 2024: gli agenti lo hanno trovato appeso al cancello alle sei del mattino. Era da poco rientrato da un ricovero in ospedale, soffriva di disturbi psichici. Italiano, aveva 52 anni.

1 aprile 2024: Massimiliano Pinna, 32 anni, si è impiccato al secondo giorno di carcere a Cagliari dove era stato portato per un furto
7 aprile 2024: Karim Abderrahin,  37 anni, si è impiccato in cella a Vibo Valentia
10 aprile 2024: Ahmed Fathy Ehaddad, 42 anni, egiziano, attendeva l’inizio del processo per un caso di violenza sessuale nel carcere di Pavia
17 aprile 2024: Nazim Mordjane, 32 anni, palestinese, è morto inalando gas da un fornello da campeggio nel carcere di Como.  Nel settembre dell’anno scorso era evaso ferendo un agente di polizia
22 aprile 2024: Yu Yang, 36 anni, si è impiccato attaccandosi alla terza branda del letto a castello a Regina Coeli

4 maggio 2024: Giuseppe Pilade, 33 anni, pativa disturbi psichiatrici e sarebbe dovuto stare in una Rems ma, come per la maggior parte di chi ci dovrebbe stare, non c’era posto per lui e si è tolto la vita nel carcere di Siracusa

16 maggio 2024: Santo Perez, 25 anni, si è  impiccato nella sezione media sicurezza del carcere di Parma

23 maggio 2024: Maria Assunta Pulito, 64 anni, si è soffocata con due sacchetti di plastica annodati intorno alla testa e alla gola a Torino. Accusata di violenza sessuale assieme al marito, aveva sempre respinto le accuse

2 giugno 2014: George Corceovei, 31 anni, ha approfittato che due detenuti uscissero dalla cella che condividevano con lui per impiccarsi a Venezia
2 giugno 2024:Mustafà, 23 anni, si è impiccato nel carcere di Cagliari ma il suo corpo non ha ceduto subito. E’ morto due giorni dopo in ospedale
4 giugno 2024: Mohamed Ishaq Jan, pakistano, 31 anni. Da una decina di mesi aspettava di essere processato per lesioni e rapina a Roma Regina Coeli
11 giugno 2024: Domenico Amato, 56 anni, viene trovato impiccato alla mattina presto nel carcere di Ferrara. Con la sua morte, è stato osservato, lo Stato ha perso due volte perché era un collaboratore di giustizia e perché era nella custodia dello Stato
13 giugno 2024: A.L.B., italiano di 38 anni, si è tolto la vita nel carcere di Ariano Irpino impiccandosi alle otto della sera
14 giugno 2024: Alin Vasili, 46 anni, rumeno, si è impiccato nel penitenziario di Biella
15 giugno 2024: Giuseppe Santolieri, 74 anni, condannato a 18 anni per l’omicidio della moglie, si è ucciso nel carcere di Teramo soffocandosi con una corda. Lo aveva annunciato ai compagni di prigionia: “Non posso più andare avanti”
15 giugno 2024: un detenuto di 43 anni si è impiccato nel carcere di Sassari con un lenzuolo nel reparto ospedaliero
21 giugno 2024: Alì, un ragazzo algerino di 20 anni, si è impiccato nel carcere di Novara. “con un cappio rudimentale”, riferisce il sindacato della penitenziaria. Era detenuto per reati di droga

26 giugno 2024: Francesco Fiandaca di 28 anni che lavorava nella cucina ed era impegnato in diverse attività rieducative, si è impiccato nel carcere ‘Malaspina’ di Caltanissetta
27 giugno 2024: Luca D’Auria, un ragazzo di 21 anni, già sottoposto a trattamento sanitario obbligatorio, si è ucciso inalando gas nel carcere di Frosinone
27 giugno 2024: egiziano, 47 anni, era stato condannato per immigrazione clandestina. Si è impiccato con la cintura nel carcere genovese di Marassi.

 1 luglio 2024: Giuseppe Spolzino, un ragazzo di 21 anni si è impiccato nel carcere di Paola. Nel maggio del 2027, a 24 anni, avrebbe potuto ricominciare, uscendo

2 luglio 2024: un uomo di cui non sono note le generalità si è ucciso nel carcere di Livorno a 35 anni
4 luglio 2024: Yousef Hamga, 20 anni, egiziano, si è impiccato nella casa circondariale di Pavia
4 luglio: nel carcere Sollicciano di Firenze si è tolto la vita il ventenne Fedi Ben Sassi. Poco prima di uccidersi, era saltata per mancanza di connessione una sua chiamata alla madre in Tunisia
7 luglio 2024: Vincenzo Urbisaglia, accusato dell’omicidio della moglie, si è ucciso a 81 anni nel carcere di Potenza. Ai legali era stata negata pochi giorni prima la scarcerazione chiesta per il suo stato psicofisico.
9 luglio 2024: Fabrizio Mazzaggio, 57 anni, si è impiccato nel bagno della sua cella a Varese. Aveva problemi di tossicodipendenza.

12 luglio 2024: Fabiano Visentini, 51 anni, si è ucciso a Verona Montorio
13 luglio 2024: un uomo di 45 si è suicida to a Monza chiudendosi la testa in un sacchetto di plastica nella cella dove stava da solo
15 luglio 2024: Alessandro Patrizio Girardi, 37 anni, detenuto per spaccio, si è impiccato nella sua cella nella casa circondariale Santa Maria Maggiore a Venezia dove stava per reati legati alla droga
21 luglio 2024: alla Dozza di Bologna si è tolto la vita Musta Lulzim, 48 anni, albanese. E’ stato trovato impiccato nella sua cella infuocata dall’estate.
25 luglio 2024: Giuseppe Pietralito, 30 anni, si è ammazzato in cella a Rebibbia dopo avere manomesso la porta per ritardare i soccorsi. Aveva saputo da poco che sarebbe uscito nel 2026, 4 anni prima del previsto perché gli era stata riconosciuta la continuazione dei reati. “Ma non ho un lavoro, nessuno crederà in me” aveva detto ai suoi legali.
27 luglio: ennesimo suicidio a Prato dove un giovane di 26 anni si è tolto la vita
28 luglio 2024: Ismael Lebbiati, 27 anni, fine pena previsto nel 2032, si è impiccato nel carcere di Prato dove nelle ore precedenti c’era stata una rivolta.
30 luglio 2024: Kassab Mohammad si è suicidato a 25 anni nel reparto isolamento del carcere di Rieti dov’era stato portato dopo i disordini del giorno prima.

3 agosto 2024: un recluso marocchino, 31 anni, senza dimora, si è impiccato nel carcere di Cremona

5 agosto: nel bagno del Tribunale di Salerno, dopo la convalida del suo arresto, si è ammazzato stringendosi un cappio al collo Luca Di Lascio, arrestato per codice rosso
5 agosto 2024: a Biella, A.S., albanese, 55 anni, stava facendo lo sciopero della fame perché aveva chiesto di essere trasferito in un carcere più vicino ai suoi familiari. Poi, si è ucciso
7 agosto: 35 anni, tunisino, si è tolto la vita impiccandosi con un laccio dei pantaloni nel carcere di Prato

15 agosto 2024: 36 anni, tunisino,  avrebbe finito di scontare la pena per reati legati alla  droga nel 2025. Si è impiccato nella sua cella di isolamento nel carcere di Parma dove era stato trasferito il giorno prima

29 agosto 2024: Saddiki aveva frequentato un corso da cuoco nel carcere di Reggio Emilia dove cucinando stava mettendo dei soldi da parte per i figli. Era altissimo, quasi due metri, si sarebbe impiccato con una maglietta alle grate della finestra

2 settembre 2024: Salvatore Borrelli, 62 anni, ex tossicodipendente, non aveva più rapporti con la famiglia. Si è impiccato nella cella della sezione isolamento del carcere di Benevento

5 settembre 2024: gli piaceva il profumo del pane che aveva imparato a fare nel carcere isolano di Gorgona dove lo infornava. Arrestato un anno prima per reati tributari, sembrava su una strada propizia. Invece V.G. si è tolto la vita a 56 anni, in permesso premio a casa della compagna.

5 settembre 2024: a Vincenzo Villani, 46 anni, mancavano pochi mesi da scontare. Alle 9 e 20 del mattino si è impiccato nella sua cella al primo piano della casa circondariale di Imperia

16 settembre 2024: John Ogais, 32 anni, si è tolto la vita nel carcere di Ariano Irpino nonostante fosse sottoposto alla sorveglianza attiva per avere aggredito quattro agenti il giorno prima

17 settembre 2024: Salvatore Di Vivo, 50 anni, arrestato il 25 agosto per maltrattamenti in famiglia, alle 6 e 45 si è impiccato nella sua cella di Regina Coeli

4 ottobre 2024: l’ha trovato appeso alle sbarre di una cella un agente penitenziario. Era mattina e K.S, di cui si sa che aveva 24 anni ed era marocchino, l’avevano arrestato due giorni prima e portato al ‘Del Papa’ di Vicenza con l’accusa di stalking.

7 ottobre 2024: maghrebino, 40 anni, gli mancava anno da scontare. Si è impiccato alle otto della sera a Vigevano

12 ottobre 2024: alle 5 e mezzo del mattino, l’alba ancora acerba fuori, hanno trovato Pasquale De Mastro, 44 anni, detenuto per droga, strangolato coi lacci delle scarpe nel suo letto a San Vittore

22 ottobre 2024: Giuseppe Lacarpia aveva ucciso la moglie e con le sue mani ha stretto il nodo per impiccarsi nel carcere di Bari a 65 anni

28 ottobre 2024: il suicidio di Federico Librere, 57 anni, è arrivato inatteso, nel carcere lo descrivono come un detenuto “tranquillo”. Non è tranquillo il carcere: lui è il quinto a togliersi la vita in meno di un anno alla Dogaia di Prato.

4 novembre 2024: Vincenzo Bellafesta si stava liberando da uomo libero dalla droga ma per una sentenza di condanna dovuta a cumulo di pene per antichi furti e ricettazioni era tornato in cella a Santa Maria Capua Vetere. Di notte ha allungato un lenzuolo e se l’è stretto forte al collo.

5 novembre 2024: gli sarebbe bastato ‘scavallare’ l’anno perché a febbraio lo aspettava la libertà. Invece T.M,. marocchino, 41 anni, ha preso una cinghia, ha chiuso dietro di sé la porta della cella nel carcere di Venezia e tutto il resto che poteva venire.

15 novembre 2024: Ben Mahmoud Moussa, tunisino, 28 anni, prima di entrare a Marassi faceva il pizzaiolo ed era in cura per un disagio psichiatrico. Pochi giorni dopo esserci entrato si è impiccato. Non c’è stato tempo per la perizia psichiatrica chiesta dal suo legale.

21 novembre 2024: Benito Viscovo, 28 anni, è il quarto nell’anno a suicidarsi a Poggioreale. Impiccato con un lenzuolo. L’Ordine dei medici di Napoli parla di “mortificazione della vita umana” per le condizioni dei detenuti in questo carcere decadente che scoppia di persone

27 novembre 2024: “Occhi azzurri e il volto pulito”. La garante dei detenuti, Irma Testa, lo aveva incontrato pensieroso su una sedia, davanti alla finestra della cella a Cagliari pochi giorni prima del suicidio. Aspettava il nulla osta per andare in comunità. G.O. ha donato i suoi giovani organi, da tempo aveva lasciato scritto che avrebbe voluto finisse e iniziasse così

28 novembre 2024: Il cuore di Luca Zampini, 46 anni, ha smesso di battere 16 giorni in più di quanto avrebbe voluto. Ha atteso in ospedale dopo essersi  impiccato nella cella di La Spezia. Avrebbe dovuto essere processato per resistenza e minaccia a pubblico ufficiale.

6 dicembre 2024: “Aveva un sorriso triste e la morte negli occhi” ha detto il suo avvocato. Roberto Radion aveva tentato più volte di uccidersi e nemmeno l’ultima volta sembrava avercela fatta. E’ sopravvissuto per sei ore dopo essersi impiccato nel carcere di Montorio e infine ce l’ha fatta, chiudendo gli occhi a 24 anni.

16 dicembre 2024: Qualche giorno prima uno dei suoi compagni si era dato fuoco ed era stato salvato dagli agenti di Alessandria. Sempre loro avevano tenuto in vita Luca Lunardi dopo il tentativo di impiccarsi nel reparto ‘transiti’, dove i reclusi sono di  passaggio. Il suo ultimo è stato in ospedale, dove è morto.

17 dicembre 2024: a mezzanotte, gli agenti che avevano appena cominciato il turno lo hanno trovato appeso alla finestra della cella del carcere di Viterbo. Il suo compagno di cella dormiva. Aveva 23 anni e il suo nome non è stato comunicato.

 

E se credete ora/che tutto sia come prima/Perché avete votato ancora/la sicurezza, la disciplina/Convinti di allontanare/ la paura di cambiare/Verremo ancora alle vostre porte/E grideremo sempre più forte/Per quanto vi crediate assolti/Siete per sempre coinvolti/Per quanto vi crediate assolti/Siete per sempre coinvolti/

p.s. tra le fonti di questo articolo ci sono comunicati della polizia penitenziaria, Ristretti Orizzonti, agenzie di stampa, testate nazionali e locali. grazie a tutti loro per avere dato dignità a queste morti, un compito che dovrebbe appartenere a uno Stato civile.

 

Perché non è giusto scrivere i nomi degli agenti del Beccaria


 

C’è un ragazzo che chiede un accendino. L’agente risponde “Ma perché mi rompi i coglioni?”, gli tira un pugno in un occhio e poi arrivano altri con la divisa. In quattro lo buttano a terra, calci e pugni. Il ragazzo piange, sanguina dalla bocca. C’è n’è un altro che gli resta sulla nuca l’impronta della punta di uno stivale mentre il sangue gli cola dal labbro. Gli agenti si fermano solo perché arriva la direttrice che ordina di sfilargli le manette. Le manette in un carcere si dovrebbero vedere solo in casi eccezionali. Nell’inchiesta sul carcere Beccaria vengono evocate spesso: le manette sulle mani dietro  la schiena dei giovani detenuti, nudi, gettati al suolo, legati a un tavolo.

“I nomi e cognomi di questi 13 poliziotti penitenziari arrestati andrebbero elencati uno per uno” dice qualcuno, con gli occhi sulle carte e un sincero sbigottimento nella sala stampa del tribunale. Molti dei venticinque indagati hanno tra i trenta e i quarant’anni, sono persone che per lavoro si sono trasferite a Milano. Quando hanno messo per la prima volta la divisa profumata di fresco e sono entrati al Beccaria pensavano di diventare dei crudeli fustigatori di ragazzini? In conferenza stampa viene spiegato che la percezione di alcuni degli indagati era che fosse normale reagire alle ‘vivacità’ dei giovani con “uno schiaffo educativo” che poi nella realtà descritta nell’ordinanza sarebbero state delle torture. E’ importante rispondere alla domanda sulle ambizioni di questi uomini e una donna quando hanno iniziato a lavorare al Beccaria. Non crediamo che  la metà degli agenti in servizio  siano entrati in un carcere minorile per fare quello di cui sono accusati.  Nell’ultimo report del garante dei detenuti Francesco Maisto affiorava l’immagine dei ragazzi in isolamento che pranzavano coi piatti sulle ginocchia perché il refettorio non funzionava e nelle celle non c’erano nei tavolini. Si spiegava anche che molti di questi ragazzi in teoria sarebbero destinati alle comunità che però non li prendono perché non hanno posto o sono casi molto problematici o sono minori non accompagnati. Com’è stato possibile che per due anni il Beccaria sia diventato un ring di continui combattimenti, col sangue versato in terra (“E’ normale al Beccaria essere picchiati” afferma  un ragazzo intercettato), stanze riservati ai pestaggi, urla di dolore, reclusi che si aggiravano con lividi ed ematoni per i corridoi? Oltre ai ‘soldati semplici’ c’è un solo indagato, per falso, ed è una persona che per un periodo ha comandato la polizia penitenziaria. Può essere anzi è probabile che l’inchiesta non sia finita qui.

“Ci andrei cauto a sostenere che ci fosse un’organizzazione” afferma intanto il procuratore Viola. In effetti non viene contestata un’associazione a delinquere. Esiste però un mondo oltre la giustizia penale ed è il carcere dei 32 suicidi di detenuti, quattro di agenti, degli omicidi in cella e della sofferenza senza numero di questo inizio 2024. Della mancanza di personale, di agenti che devono fare le guardie, gli psicologi e gli educatori perché sono pochi gli psicologi e gli educatori, di agenti che non hanno una formazione adeguata nemmeno per fare gli agenti.

Esistono delle responsabilità politiche maturate almeno negli ultimi 20 anni chiare, precise e concordanti. Il buio oltre le sbarre, il buio senza ritorno. Ecco perché no, l’elenco di nomi e cognomi degli agenti non va fatto se prima non vengono fatti a caratteri cubitali quelli di chi ha amministrato la giustizia da 20 anni. Se gli agenti saranno giudicati colpevoli, pagheranno col carcere a loro volta, perderanno il lavoro, porteranno un’onta indelebile sulle spalle.  Ma il carcere non cambierà col loro carcere.  Solo la politica e la coscienza civile di un Paese possono. E far entrare lì dentro quella che ora sembra una caverna i cittadini e i giornalisti. Fare luce, il più possibile e subito.

(manuela d’alessandro)

Chi sono e di cosa hanno bisogno i ragazzi che affollano le carceri

Il numero dei reclusi di età inferiore ai 30 anni  è in costante e rapida ascesa ma il carcere, nella maggior parte dei casi, li ‘ignora’ o non ha a disposizione persone e strumenti per aiutarne il reinserimento e la cura, quando necessario. “Da sette mesi mio figlio, che ha 23 anni e soffre di disturbi psichici, è a Bollate – racconta Maria Gorlani, una madre –. In tutto questo tempo noi familiari non siamo riusciti ad avere nemmeno un incontro con un educatore, uno psichiatra o uno psicologo”. Accanto a lei, sul palco della conferenza ‘Ragazzi detenuti: problemi e progetti’ organizzata nei giorni scorsi a Milano da ‘Nessuno tocchi Caino – Spes conta Spem’, porta la sua testimonianza Stefania Mazzei, madre di Giacomo Trimarco, morto a 21 anni a San Vittore per avere inalato gas butano in quantità letale: “Faccio una distinzione tra i giovani che arrivano in carcere perché si perdono e hanno bisogno di un percorso più rieducativo e quelli che, come Giacomo, ci arrivano con una patologia psichiatrica. Per il nostro vissuto, le famiglie non esistono. È vero che tanti ragazzi non hanno la famiglia alle spalle ma tanti ce ne hanno una che vorrebbe essere attiva. Noi abbiamo avuto sempre le saracinesche abbassate. Tutti i servizi per la salute mentale sono distaccati e inefficienti, a comparti stagni, e così spesso, una volta usciti, i ragazzi ricadono nella rete della giustizia”.

La ‘Chiamata’ ai ragazzi di San Vittore

Il direttore di San Vittore, Giacinto Siciliano, conferma l’emergenza. “Quasi la metà dei nostri 840 detenuti ha sotto i 30 anni. Questo  sta diventando un problema sempre più grosso in termini di gestione. È un dato in forte aumento anche perché viviamo le difficoltà che hanno fuori dal carcere. Noi accogliamo quello che la ‘strada’ produce. C’è, in particolare, un’elevata concentrazione di ragazzi che hanno problemi di droga, di farmaco dipendenza e psichiatrici. E tanti stranieri che non hanno i documenti e non puoi nemmeno impostare un percorso per loro. Difficile proporre dei modelli perché esiste un grande conflitto con le istituzioni: famiglia scuola e, a maggior ragione, la giustizia. Una situazione peggiorata dopo il Covid”. Per questo, Siciliano sta portando avanti da febbraio il progetto ‘Reparto La Chiamata’ in collaborazione con lo psichiatra Juri Aparo che col suo ‘Gruppo della Trasgressione’ è impegnato da anni anche coi più giovani.  Non nasconde le difficoltà. “Il percorso è iniziato a febbraio però manca ancora un vero ‘ingaggio’. Si fa fatica a portare le persone a cui viene richiesto un impegno. Il grande numero di ragazzi che abbiamo rende tutto molto difficile perché si potenziano tra loro tutti i meccanismi negativi. Siamo comunque riusciti a ricevere un finanziamento dalla Regione Lombardia e due educatori di comunità che stanno provando a stabilire delle regole. L’obbiettivo è creare un posto dove si possa essere protagonisti del cambiamento a partire dalla cura, anche quella dei luoghi. Troppo presto per un bilancio ma i primi frutti li stiamo vedendo”.Sono coinvolti anche gli agenti della polizia penitenziaria. Michela Morello, comandante di San Vittore: ”Gestiamo persone differenti e, attraverso l’esperienza, cerchiamo di avere una modalità di approccio individuale. Molti ragazzi sono giovanissimi ed entrano in carcere subito dopo il loro arrivo in Italia e, nel giro di poco tempo, dobbiamo capire chi abbiamo di fronte e studiare la modalità adatta, la migliore anzitutto per evitare il conflitto che può nascere anche da un problema generazionale. E’ necessaria la capacità di ascolto e di contemperare le nostre esigenze educative col portato delle esigenze dei ragazzi”.

“A loro bisogna destinare risorse fisse, non bastano i progetti”

Suor Anna Donelli, che da molti anni lavora a stretto contatto coi giovani detenuti, sottolinea che “hanno bisogno di benevolenza e fiducia ma anche di fermezza”. “Spesso arrivano per delle stupidate e hanno bisogno delle regole basilari. Mi colpisce che quando li incontro dopo che sono usciti mi chiedano di portare saluti e ringraziamenti proprio magari agli agenti che gli hanno dato spiegazioni fatte in un certo modo. Loro, che fuori non hanno avuto riferimenti negli adulti, ritrovano nei poliziotti il padre che è mancato”.

C’è anche, secondo Antonella Calcaterra, avvocato e consigliera dell’Ordine degli Avvocati di Milano, la necessità di un dialogo maggiore tra il ‘dentro’ e il ‘fuori’. “A San Vittore sono in corso diversi progetti educativi, anche dedicati ai ragazzi con problemi psichiatrici, ma hanno una durata di 24 mesi. Questo significa che quando finiscono bisogna riproporli e riavere un rifinanziamento. Ma tale e tanto è il problema che credo sia il momento di attivare delle risorse fisse, con interventi non solo progettuali, da parte della sanità regionale nei confronti di persone detenute con problemi di questo tipo”.

Il punto di vista del magistrato

Il pubblico ministero Francesco Cajani, che partecipa anche al progetto ‘La Chiamata’, sottolinea quanto sia importante il ruolo dei magistrati. “Ai giovani che ho conosciuto a San Vittore mi presento sempre dicendo che la mia funzione costituzionale è fare bene le indagini, a volte chiedere il carcere, e faccio di tutto per farlo al meglio perché credo che sia un male necessario. A furia di assolvere la mia funzione costituzionale però mi sono stufato di mandare la gente in carcere. Quest’anno ho passato 5 mercoledì a Opera a leggere ’Delitto e castigo’  assieme a giovani studenti in Legge, familiari delle vittime della criminalità organizzata ed ‘ex criminali’. Alcuni di questi hanno detto di essere cambiati per avere visto come un certo magistrato, Alberto Nobili nel caso specifico, comportarsi in un certo modo. Non si può pensare che chi mette in carcere non debba c’entrare nulla con quello che succede ‘dopo’.

Alla conferenza sono intervenuti anche Valentina Alberta e Paola Ponte, presidente e segretaria della Camera Penale di Milano, Alessandrra Naldi, direttrice del Consorzio Vialedeimille dove si è svolto l’incontro, Rita Bernardini, Elisabetta Zamparutti e Sergio D’Elia, rispettivamente presidente, tesoriera e segretario di ‘Nessuno tocchi Caino’. (manuela d’alessandro)