giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

“Un film per aiutare i giovani a non finire come noi”, gli ergastolani senza scampo alla prima a Opera di ‘Spes contra Spem’

“Noi abbiamo deciso. Con questo film, vogliamo aiutare i giovani ad avere la possibilità di scegliere che non abbiamo avuto.  Direttore, se qualcuno è uscito dalla sala non ce ne frega niente. Noi andiamo avanti!”.

Orazio, Gaetano: dal palco del carcere di Opera scolpiscono la loro scelta libera di ergastolani ostativi. E a quella scelta mettono le ali, la fanno volare alta, lontana da quei (pochi) colleghi detenuti che hanno lasciato la platea prima che finisse la proiezione di ‘Spes contra Spem’.

Esiste testimonianza più tersa della riuscita di un percorso rieducativo? Ma alla legge non basta perché per sgretolare le sbarre dell’ergastolo eterno viene richiesta la ‘collaborazione’ dei detenuti. Salvatore, Gaetano e tutti gli altri protagonisti del docufilm ‘Spes contra Spem – Liberi dentro’ firmato da Ambrogio Crespi in prima visione a Opera dopo la presentazione al festival di Venezia, devono sfiorire in cella per sempre.

Eppure,  qualcosa brilla, un vento nuovo attraversa questa sala tenebrosa dove scorrono i racconti di uomini ancora giovani, rinchiusi da 20,30 anni per omicidi di criminalità organizzata. Il tempo sembra essere maturo per raccogliere la speranza. Nel film e poi sul palco i detenuti si svelano con la capacità introspettiva di chi ha ricamato pensieri sottili in decenni di solitudine. “Sono in carcere da 22 anni, mi manca quel giovane estasiato nei profumi della notte siciliana”. “Ho fatto 21 anni di 41 bis, le celle lisce. Ai processi si possono dire bugie, ma il mio tribunale interiore non perdona. Alle famiglie di chi è stato ammazzato dico: non aggiungete altro dolore con altri morti”. “Ieri, 21 settembre (anniversario della morte del ‘giudice ragazzino, ndr), ho scritto una lettera pensando a Rosario Livatino. Non mi rendevo conto che stava lavorando per me. Riposi in pace”. “Mia figlia l’ho chiamata Speranza, per 24 anni siamo stati staccati, ora è la cosa più importante che ho”.

La speranza sta per bucare le mura perché nel docufilm e nel dibattito alcune istituzioni la incitano.  Le guardie penitenziarie e i loro comandanti spiegano che “le persone cambiano in carcere”.  Il neo presidente del tribunale di sorveglianza di Milano, Giovanna Di Rosa, si rivolge agli ‘attori’: “Grazie, avete fatto delle riflessioni che ci insegnano a fare bene il nostro mestiere. Lo Stato ci ha tolto la possibilità di decidere nel merito se uno deve stare in carcere, dobbiamo farlo in base a calcoli asettici. Spero che venga ridata ai magistrati la possibilità di usare il libero convincimento”. Gli avvocati applaudono, tanti tra i presenti hanno contribuito a questo film e lottano per cambiare la legge.

Tutti, a cominciare dai radicali Sergio D’Elia e Rita Bernardini, ricordano Marco Pannella che il motto ‘Spes contra Spem’ l’aveva praticato. “E’ il mio angelo custode, è vivo”, assicura Ambrogio Crespi, 200 giorni in carcere e ancora a processo per una storia di presunta ‘ndrangheta. “Questo film all’inizio non lo volevo fare, non riuscivo a tirare fuori un messaggio che potesse uscire da queste mura”. E poi com’è andata lo spiega il direttore di Opera, Giacinto Siciliano: “Ne abbiamo parlato a un congresso radicale, abbiamo scelto di fare le interviste agli ergastolani a ruota libera, nessun copione, c’era solo l’idea”.

Il direttore non è turbato dai pochi che hanno lasciato la sala. Gli importa degli altri, li chiama per nome tra il pubblico, anche quell’ergastolano che un giorno gli chiese di poter possedere un pelouche per 24 ore in cella, di più non si può per regolamento penitenziario, “perché non ne aveva mai avuto uno”

Il film è richiesto da tribunali, carceri e cinema di tutta Italia, anche nelle terre da dove provengono i suoi ‘attori. Lì Orazio, Gaetano e gli altri calano la loro speranza. “Per noi sarebbe una vittoria solo dare ai giovani la possibilità di riflettere. Se poi evitiamo che cadano nella devianza, saranno liberi anche per noi che non abbiamo potuto scegliere”. (manuela d’alessandro)

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“Favori in cambio del condizionatore”, così cade il poliziotto di Mani Pulite che bussò a Craxi

 

Fu lui da capo della Digos a suonare il campanello di casa Craxi nel 1993 per consegnargli il divieto di espatrio su ordine di Antonio Di Pietro. ‘Benedetto’ da Mani Pulite ebbe la sua stella al merito, la carica di assessore alla sicurezza nella giunta Albertini, e poi una carriera scorrevole da buon funzionario dello Stato.

Ora è notte profonda per l’ex questore di Bergamo Fortunato ‘Dino’ Finolli. Il gip gli ha risparmiato l’arresto ma le carte dell’inchiesta sul crac della società Maxwork spa  che ha portato ieri all’arresto dell’imprenditore Giovanni Cottone lo massacrano.

Secondo la Procura della ‘città dei mille’, l’ex questore, che già a causa dei primi sviluppi di questa indagine aveva dovuto lasciare l’incarico,  avrebbe ricevuto da Cottone doni e promesse in cambio del suo impegno a risolvergli piccole grane burocratiche e a girargli qualche ‘soffiata’ sulle indagini che lo riguardavano.

Viaggi e due bracciali d’oro per un totale di oltre 5000 euro di valore,  per lui e per la moglie. L’i-phone 6 per la figlia. Soggiorni sul mare ligure di Arenzano. E perfino un “impianto di condizionamento composto da split e unità esterna per gli uffici della questura”. Aria fresca ’pagata’ dall’allora questore con l’impegno a far ottenere a Cottone “il porto d’armi per uso a difesa personale”, la cittadinanza alla sua fidanzata brasiliana e “l’aggiornamento di alcune segnalazioni arrivate in baca dati”. Peculato, corruzione e istigazione alla corruzione. Tutti reati per i quali una volta Finolli suonava alle porte altrui. (manuela d’alessandro)

Quasi 4 anni per l’appello Telecom, così la giustizia lenta ha ucciso il processo sui dossier

 

Chi vuole la prescrizione? La legge cattiva, gli avvocati che affogano i processi per salvare la pelle ai clienti?

Ecco un caso che ci da’ spunto per cambiare prospettiva.

Dopo quasi 4 anni è stato fissato il processo d’appello di uno dei capitoli dell’appassionante ‘spy story’ che travolse Telecom e Pirelli all’inizio degli anni duemila quando si scoprì che la security, guidata da Giuliano Tavaroli, confezionava dossier illeciti all’ombra della società.

Il 3 novembre si aprirà davanti alla prima corte d’assise d’appello il giudizio di secondo grado chiamato a pronunciarsi sulla sentenza che il 13 febbraio 2013 condannò 7 imputati, tra i quali l’ex appartenente del Sisde Marco Bernardini (7 anni e mezzo) e l’ex investigatore privato Emanuele Cipriani (5 anni e mezzo). I due vengono considerati ‘promotori ‘ di un’associazione a delinquere che si sarebbe consumata tra il 2000 e il settembre 2006, quindi per loro la prescrizione arriva proprio a ridosso dell’inizio dell’appello.

Il primo grado si era chiuso con 7 condanne oltre che per associazione a delinquere, anche per corruzione, accesso abusivo a sistema informatico e  rivelazione di notizie coperte da segreto di Stato. Solo quest’ultima ipotesi di reato è rimasta intatta, tutto il resto è stato sgretolato dal trascorrere del tempo nell’infinito dipanarsi di un’inchiesta partita nel 2005.

Nel frattempo, Tavaroli e  altri imputati hanno patteggiato una pena che avrebbe potuto essere molto inferiore se avessero atteso che la polvere del tempo cancellasse le accuse. (manuela d’alessandro)

 

 

Il Ministero della Giustizia manda gli ex barellieri a fare i cancellieri e scoppia la rivolta

Saltano i nervi ai dipendenti della giustizia per la decisione del Ministro Andrea Orlando di supplire ai buchi nell’organico mandando nei tribunali personale della Croce Rossa in esubero. La surreale prospettiva di ex barellieri e autisti delle ambulanze trasformati in cancellieri ispira  la violenta reazione del ‘comitato lavoratori giustizia‘: “Ci vediamo letteralmente scavalcare da personale completamente sprovvisto delle competenze – si legge in una nota – (…) Evidenziamo che da parte dell’Amministrazione non vi è stata alcuna trasparenza. Non è chiaro chi e con quali criteri abbia operato l’inquadramento degli ex barellieri nel profilo professionale del cancelliere”.

A Milano sono tre i crocerossimi, un capitano e due sottufficiali della Croce Rossa militare in via di smantellamento, che dal primo settembre si chiedono smarriti nei corridoi del palazzo quale contributo potranno offrire alla dolente giustizia.

In tutto, informa il Comitato, dal primo settembre, sono “359 le unità provenienti da enti in esubero come le Province e la Croce Rossa, tra cui personale già inquadrato nella Croce Rossa italiana con mansioni di autista/ barelliere, per la maggior parte in possesso del titolo di studio in licenza media e inquadrato nei ruoli dell’amministrazione giudiziaria che prevedono collaborazione qualificata al magistrato, ruoli che vanno dall’assistente giudiziario al cancelliere al funzionario giudiziario”.

La rabbia è tale da addebitare futuri smacchi all’inserimento dei poveri crocerossini. “Oltre alla frustrazione per la negazione delle prospettive di carriera evidenziamo che l’intero servizio giustizia, lungi dal beneficiare di questi fallimentari innesti, subirà, a seguito dell’inserimento di personale non competente, ulteriori rallentamenti e disfunzioni dei quali, stando così le cose, non vogliamo essere ritenuti responsabili“.  (manuela d’alessandro)

Il pediatra suicida processato dopo la morte dalla Procura di Busto Arsizio

 

Alberto Flores d’Arcais si era appena buttato dal sesto piano della sua abitazione milanese dov’era ai domiciliari quando procura di Busto Arsizio e carabinieri hanno pensato di convocare i giornalisti per una requisitoria non richiesta.

All’imputato ‘contumace’ gli investigatori hanno presentato davanti ai cronisti una ‘contestazione suppletiva’ post mortem. Oltre all’accusa, già nota, di atti sessuali sulle sue piccole pazienti, il procuratore di Busto Gianluigi Fontana ha voluto far sapere che “il consulente aveva appena terminato le perizie su due computer in uso al medico dai quali è emerso copioso materiale, circa 3000 file, tutte immagini pedopornografiche”. File scovati nonostante, hanno precisato gli inquirenti, d’Arcais avesse tentato di nasconderli nel cestino del pc.

“Non sapevamo nulla di questo materiale, non avevamo ancora visto la consulenza del pm”, ha provato una tardiva difesa l’avvocato Massimo Borghi nel surreale processo al suo assistito defunto.

Il noto professore, già docente di allergologia al San Raffaele e protagonista di missioni umanitarie all’estero, era innocente o colpevole? Doveva essere rimesso in libertà perché a rischio suicidio, come affermavano tre psichiatri di parte?

Non lo sappiamo e forse non lo sapremo mai.  Certo non è giustizia, anche quando è rappresentata da un bravo magistrato come Fontana, processare un uomo in conferenza stampa a poche ore dalla scelta di farla finita.  (manuela d’alessandro)