Strane e verrebbe da dire ‘distratte’ motivazioni (le potete leggere nella sezione ‘Documenti’) quelle con cui la Cassazione spiega perché bisogna processare di nuovo Alberto Stasi, assolto in primo e secondo grado dall’accusa di avere ucciso la fidanzata Chiara Poggi il 13 agosto del 2007 a Garlasco. Non sfuggono alcuni errori di forma che una vecchia maestra evidenzierebbe con la matita rossa e un paio di ricostruzioni storiche sull’indagine lasciano perplessi.
Per ben tre volte gli Ermellini sbagliano il nome dell’imputato chiamandolo Mario Stasi (pagine 88, 91 e 92), mentre Chiara Poggi diventa Chiara Stasi (pagina 98) sebbene non fosse sposata con lui (Alberto).
Ecco invece i punti critici sulla sostanza. A pagina 88 la Suprema Corte afferma che la fascia di orario compresa tra le 9 e 12 (quando Chiara disinserisce l’allarme di casa Poggi) e le 9 e 35 (orario in cui Alberto si mette al computer) è stata ritenuta “compatibile” dai giudici di primo e secondo grado con l’azione omicida. Non è proprio così. Né il giudice di primo grado, Stefano Vitelli, né quelli della corte d’appello di Milano sono mai stati così netti nel parlare di “compatibilità” con questa striscia di tempo in cui Alberto non aveva alibi. Anzi, il gup attribuì a questa collocazione temporale dell’omicidio “plurimi e significativi punti di criticità” e lo definì “un intervallo di problematica compatibilità”. Spiegò che era molto difficile immaginare che in 23 minuti Alberto fosse stato in grado di andare a casa Poggi, litigare (ipotesi) con la ragazza, ucciderla, cambiarsi gli abiti sporchi di sangue, tornare a casa sua e mettersi davanti al pc per scrivere la tesi di laurea.
Secondo passaggio controverso è quello di pagina 82, dove la Cassazione scrive che la bicicletta di Stasi così come descritta dal carabiniere Marchetto coincideva con quella descritta dalla testimone Franca Bernani, vicina di casa della famiglia Poggi. La signora Bernani raccontò al pm di avere visto alle 9 e 10 del 13 agosto una bici nera da donna davanti alla villa di Chiara. Durante le indagini, Marchetto scrisse in un verbale che nel magazzino del papà di Alberto aveva notato una bici nera da donna ma decise di non sequestrarla perché, come spiegò poi anche durante il processo di primo grado, non corrispondeva alla descrizione fatta dalla Bernani. Dunque, nessuna coincidenza tra le due versioni.Proprio sulla bici mai sequestrata ad Alberto in sella alla quale – ipotesi di accusa e parte civile – sarebbe andato a casa di Chiara per ammazzarla, si giochera’ uno degli scontri cruciali nel nuovo processo. (manuela d’alessandro)