Categoria: Camera di Coniglio
Inchiesta, milioni di fondi Expo per il Tribunale assegnati senza gara. Perché?
Alcuni milioni di fondi governativi sono stati destinati al Tribunale di Milano nel nome di Expo col meccanismo degli appalti diretti, lo stesso che viene indicato nelle inchieste della Procura di Milano sull’Esposizione Universale come la possibile anticamera delle tangenti. Progetti per consegnare al mondo un’immagine efficiente della giustizia ambrosiana messi nelle mani di imprese senza gara, né italiana, né europea, sebbene la legge preveda l’affidamento diretto come un’ipotesi residuale quando in ballo ci sono appalti ghiotti.
E’ una storia lunga quella che vi stiamo per raccontare, iniziata molti mesi fa da un passaparola nei corridoi del Palazzo. “C’è qualcosa che non quadra sui fondi Expo”. Abbiamo bussato alle porte di alcuni uffici giudiziari e a quelle del Comune per capire come siano stati spesi i 12, 5 milioni di euro destinati a rendere scintillante il Tribunale. La gestione del denaro è avvenuta su un doppio fronte, politico e giudiziario: da un lato la magistratura milanese e il Ministero della Giustizia, dall’altro Palazzo Marino. Non è stato facile capirci qualcosa. La richiesta di esaminare le carte degli appalti formulata al Presidente della Corte d’Appello Giovanni Canzio è stata ritenuta “irricevibile” con l’invito di rivolgersi al Comune. In Comune, il funzionario che si occupa degli appalti degli uffici giudiziari, Carmelo Maugeri, ci ha rimandati all’assessore ai Lavori Pubblici Carmela Rozza. Quest’ultima, con molto garbo e appellandosi alla “trasparenza” dell’amministrazione di fronte alle ritrosie di Maugeri, ha consentito l’accesso, con divieto di farne copia, a un file stracolmo di documenti, delibere, determinazioni. Un mare di burocrazia. Continua a leggere
Bruti – Robledo caso chiuso
con l’incredibile auto – censura del Csm di fronte al Colle
Con l’epilogo della vicenda Bruti – Robledo la magistratura ha perso una grande occasione di essere e mostrarsi libera. Dopo il nitido manifestarsi della volontà del capo dello Stato Giorgio Napolitano (che è anche Presidente del Csm) attraverso una “lettera non ostensibile” consegnata al fedele luogotenente Michele Vietti, i cittadini devono chiedersi di cosa parliamo quando parliamo di “autogoverno” della magistratura. Perché quello che abbiamo visto nella ultime ore, su qualunque fronte si voglia stare in questa sfida, è apparso un rassegnato inchinarsi alla volontà di un sovrano da parte della (presunta) assemblea libera delle toghe. Due commissioni del Csm hanno modificato le loro risoluzioni da presentare al plenum piegandosi al diktat del Presidente. Sono state cambiate all’ultimo secondo le parole dei documenti faticosamente ‘costruiti’ in settimane di istruttorie e analisi, smussando le critiche al procuratore capo Bruti Liberati ed esaltando quelle al denunciante Robledo. Il plenum ha ratificato il volere di Napolitano e archiviato l’esposto presentato dal procuratore aggiunto. Parte degli atti sono stati mandati alla Procura Generale della Cassazione, ma non quelli sul caso Ruby, mentre i titolari dell’azione disciplinare dovranno pronunciarsi su Sea ed Expo. E Vietti non ha avuto nemmeno il pudore di tacere. “Sono state rispettate le indicazioni di Napolitano”, ha esultato.
A cosa serve dunque il Csm se non è che la grancassa di un uomo solo? A cosa è servito convocare mezza Procura di Milano a Roma se poi all’ultimo secondo sono state stravolte le conclusioni dei magistrati? Nella sua lettera “segreta” Napolitano si sarebbe limitato a ricordare che “i poteri di organizzazione dell’ufficio sono divenuti prerogative del capo della Procura”. Ma questo il Csm l’ha sempre saputo e non significa che siano poteri lunatici o senza regole. Per questo il Csm godeva di un illimitato spazio di libertà e anche dopo il diktat di Napolitano non c’era nessuna necessità di cambiare le risoluzioni. Invece i rappresentanti dei magistrati si sono macchiati del peccato più imperdonabile contro la libertà: l’auto – censura. (manuela d’alessandro)
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Il pm di Tortora diventa assessore alla legalità.
Un imperdonabile abuso della parola.
La notizia questa volta è di quelle che fanno davvero “sobbalzare” anche chi è ormai abituato a vivere in un paese dalla scarsa memoria e dalle facili rimozioni. Diego Marmo, sissignori proprio lui, quel pm, ricorderete, che schiumante di bava alla bocca tuonava le peggiori cose contro il “camorrista” Enzio Tortora a quel famigerato processo di Napoli dove si consumò una delle più vergognose pagine della nostra storia giudiziaria, è stato nominato assessore al Comune di Pompei. Beh, poca notizia direte voi, giacchè, come tristemente noto, il predetto magistrato, ben lungi dal pagare (così come i non meno colpevoli colleghi di istruttoria Lucio Di Pietro e Felice di Persia) alcun pedaggio per quella indecente vicenda, aveva percorso imperterrito tutti i successivi gradini burocratici della amministrazione della giustizia, fino al vertice della Procura di Torre Annunziata. Ora in pensione, quindi, perché non conferirgli un bell’assessorato che come ben si sa in Italia non si nega a nessuno ? Il punto è che il citato assessorato sarebbe, udite udite, niente meno che quello alla (giuro !) “legalità”. Continua a leggere
Se il Csm si da’ del colabrodo da solo
Secondo il Csm, Alfredo Robledo avrebbe messo “a rischio la segretezza delle indagini” inviandogli atti relativi a Expo nel batti e ribatti di colpi con Edmondo Bruti Liberati. Ora, evocando quel vecchio animatore di salotti notturni televisivi, il Csm si faccia una domanda e si dia una risposta: chi avrebbe potuto violare la segretezza delle indagini, se non il Csm stesso? Nessuno, visto che in teoria quegli atti erano nella sola disponibilità dei magistrati dell’organo di autogoverno. Quindi, il Csm si da’ da solo del (potenziale) colabrodo? (m. d’a.)