giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

Undici giorni a San Vittore da minorenne
In attesa del trasferimento nonostante le istanze

C’è un minorenne a San Vittore. Ok, che sia minorenne lo si sa per certo “solo” da 11 giorni. Il sospetto che avesse meno di 18 anni invece c’è da più di un mese. L’8 giugno lo hanno certificato i periti del tribunale, ma ancora stamattina, 19 giugno, all’ufficio matricola del “2″, rispondevano: è ancora qui.
Y.D. è marocchino. E ha almeno due alias, oltre al suo vero nome. Stando alle carte, è nato nel 2003, se si prendono per buone due delle sue tre identità. Per la terza, risulta nato il 6 maggio 2007. Insomma, senza una perizia non si capisce quanti anni ha. Si sa invece che è dentro da due mesi per una rapina commessa con un complice ai danni di un giovane bulgaro: gli hanno portato via un orologio da 3.800 euro in via Vittor Pisani.
L’11 maggio Y.D. parla con la sua legale, Federica Liparoti: non so dire esattamente quando sono nato, ma l’anno è il 2007.
L’incidente probatorio con l’escussione dei periti si svolge l’8 giugno davanti al gip Domenico Santoro. “E’ stato sottoposto a visita medica, è stata fatta un’intervista sulla vita pregressa per identificare delle situazioni che possano inficiare il risultato. Non è emerso nulla di rilevante – mette a verbale uno dei due – Alla prima radiografia del polso è risultato maturo, che vuol dire che ha un’età minima di 16 anni. Dopo il polso si passa ai denti e qui è emerso che i denti inferiori sono ancora lontani dallo sviluppo e questo ci permette di dare un margine superiore di 19 anni e uno inferiore di 15 anni e mezzo. Alla fine l’età biologica identifica un’età che si colloca tra i 15 anni e mezzo e i 19 anni“. L’altro specialista conferma.
A San Vittore Y.D. non ci può stare. Istanza urgente, ma per ora niente da fare. Poi nuova misura di arresto emessa dal gip per i minori, con indicazione di un carcere minorile. Interessamento del direttore del carcere di San Vittore. Ma a stamattina, niente.
Eh ma potrebbe averne 19, di anni. E se ne avesse 16?

 

(aggiornamento del 22 giugno)

Scrivere questa storia forse ha aiutato. Si è mossa meritoriamente la Camera penale e le istituzioni hanno recepito il senso di urgenza. Oggi pomeriggio, tre giorni dopo aver raccontato la vicenda, abbiamo appreso che Y.D. è stato trasferito in un istituto penitenziario minorile.

Lo scabroso diritto alla difesa di Alessandro Impagnatiello

Un avvocato si e’ tirato indietro per non meglio precisate incrinature nel rapporto fiduciario col cliente, così come una seconda, nominata d’ufficio, che ha avanzato un’ incompatibilità, pare certificata. 

La terza, quella attuale, non si è nemmeno presentata all’istituto di medicina legale né  ha indicato un consulente per partecipare all’autopsia di Giulia Tramontano, la ragazza uccisa incinta al settimo mese. Strategia concordata con la famiglia? L’assistito non voleva pagare i soldi per la consulenza?

Fatto è che Alessandro Impagnatiello, reo confesso di avere ammazzato la giovane donna, ha avuto tre difensori nel giro di una settimana.

Quello che sta succedendo a proposito del suo diritto alla difesa ci colpisce molto. E ci sembra un ulteriore risvolto di una vicenda in cui sono saltati alcuni schemi necessari in uno stato di diritto maturo. Il diritto costituzionale alla difesa non viene modulato in base alla gravità del reato. Esiste, e basta, in tutto il suo straordinario valore, per il capo mafia allo stesso modo che per il ladro di polli che ha rubato per fame. E anzi se c’e’ un momento in cui si ‘esalta’ di più è proprio quando il reato è più odioso, come in questo caso, nei giorni in cui si sente sulle reti pubbliche invocare perfino la pena di morte.

Come mai è cosi difficile assistere Impagnatiello?

La Camera Penale di Milano ha sottolineato la degenerazione del processo mediatico e i contenuti ‘spavaldi’ della conferenza stampa della Procura di Milano. Aggiungiamo che il flusso di informazioni provenienti dagli inquirenti e’ stato incessante, con foto e video veicolati attraverso canali ufficiali che avranno, forse, inorridito l’ex ministra Cartabia alla cui legge sulla presunzione d’innocenza le Procure si richiamano invece  quando sono in ballo indagini che coinvolgono politici o comunque bersagli molto più scomodi di un omicida che ha confessato.

E’ vero che qui di innocenza proprio non se ne può parlare vista l’ampia confessione e le prove accumulate contro Impagnatiello ma ci vorra’ un processo per stabilire alcuni aspetti essenziali per la modulazione della pena che invece sono gia’ stati sviscerati con grande vigore e certezze da chi dovrebbe attenderne lo svolgimento. C’è chiaramente anche un tema sociologico. L’avvocato Davide Steccanella parla di “mostrificazione” e di “ansia di punizione e castigo estremo”. “E’ terribile quello che ha fatto questa persona ma che piacere c’è nel sapere che verrà buttata via la chiave?”.

Giornalisti, inquirenti, avvocati. Guardiamoci in faccia e chiediamoci: perché  e’ così scabroso il diritto alla difesa di Alessandro Imapagnatiello?

(manuela d’alessandro)

Per la Corte dei Conti nessuno è responsabile dei monitor Expo mai funzionati

 

“Per la vicenda Expo non sono stati riscontrati i presupposti per esercitare l’azione risarcitoria”. Eccoci, dunque. Ora lo sappiamo: chi gestì i fondi per la giustizia milanese assegnati in occasione dell’Esposizione Universale non deve nulla alla collettività. Nemmeno per avere, tra le altre cose, comprato e appeso in ogni meandro del Palazzo milanese quasi 200 monitor Samsung costati un paio di milioni di euro che non hanno mai funzionato.

Così ci ha risposto la Corte dei Conti alla richiesta via mail su quale fosse stato l’epilogo, finora ignoto,  dell’accertamento contabile relativo all’assegnazione di 16 milioni del gruzzolo Expo.  Di più non è dato sapere come nulla si è saputo del contenuto del provvedimento col quale il gip di Trento archiviò nel 2018 l’indagine per turbativa d’asta, nata dagli spunti giornalistici di ‘Giustiziami’ e del ‘Giornale’ nel 2014, poi finiti anche in un dossier dell’Anac, sulle possibili, e a questo punto non ravvisate, irregolarità nel manovrare i fondi da parte del Comune di Milano, “stazione appaltante”, e dei magistrati.

Proprio per l’eventuale coinvolgimento delle toghe l’indagine passò da Milano e Venezia inabissandosi tra i monti del Trentino.

 

Che fine hanno fatto i monitor

Saputo che il sipario è calato, abbiamo fatto un giro in Tribunale alla ricerca dei monitor che nei ‘patti’ tra Ministero, Comune e magistrati sarebbero dovuti servire per orientare il cittadino nel labirinto del Palazzo. Alcuni sono ancora lì, mesti e bui come quasi sempre tranne per ‘strane’ occasioni, come una campagna di Anm contro l’allora premier Matteo Renzi, o almeno nobili, per onorare per qualche ora la memoria di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.

Altri sono buttati come cose vecchie e inutili, quali in effetti sono, in vari nascondigli del Tribunale, per esempio un paio sono incastrati tra un ascensore e un armadio, invisibili se una nostra fonte non ce li avesse mostrati. E accatastati senza gloria ci sono anche alcuni dei pannelli sempre acquistati con l’’oro’ di Expo con le indicazioni al cittadino per muoversi agevolmente nel Palazzo, forse perché non fornivano suggerimenti così utili.  Vedi il caso, poco dopo l’esposto di Anac, un’improvvisa primavera della burocrazia fece spuntare in ogni dove cartelli, totem, targhe in un delirio cartografico con effetti esilaranti con erroracci sui nomi dei magistrati, indicazioni di procuratori generali in pensione da mesi, sigle messe senza logica. Alcuni delle indicazioni su quei pannelli sono state negli anni pietosamente coperte con lo scotch.

L’inchiesta di Giustiziami

Tutto era nato da alcuni verbali di cui Giustiziami era venuto in possesso dai quali emergeva che la gran parte dei soldi erano stati assegnati con l’affidamento diretto, senza gara pubblica. Qualche giorno dopo l’articolo e la pubblicazione dei verbali con cui era avvenuta la spartizione,  tutti i vertici dell’amministrazione giudiziaria milanese si erano confrontati in una tempestosa riunione coi rappresentanti del Comune e del Ministero stabilendo che da quel momento in avanti ciò che restava da spartirsi sarebbe avvenuto solo con le gare.

Era il 2014: quasi dieci anni dopo la risposta della giustizia penale e contabile ha stabilito che non è colpa di nessuno se una parte del tesoro di Expo è stato sprecato. Su questo non c’è dubbio: basta alzare gli occhi all’insù per rendersene conto oppure giocare alla caccia al tesoro disperso negli anfratti del palazzo.

(manuela d’alessandro)

La salute di Berlusconi “in stallo” e le bufale

Da una parte c’è il velo comunicativo imposto dai medici, probabilmente su mandato della famiglia, con l’ultimo bollettino (20 aprile) che parla “di lento e progressivo miglioramemento” a fronte di una situazione che nella realtà ha sfumature leggermente diverse. Perché la vera definizione per la fase che la salute di Silvio Berlusconi sta attraversando è “stallo”: i segni di progressivo miglioramento “non emergono”, indica una fonte che conosce il quadro. L’infezione polmonare “non è risolta” e non è ancora stato stabilito quale sia il fattore all’origine dell’infezione: un batterio, forse, oppure un fungo. Fino a venerdì 21 aprile, Berlusconi aveva ancora bisogno di ossigeno “ad alti flussi”, con il supporto della maschera per respirare (non del casco Cpap).

Dall’altra parte c’è la follia delle voci romane che, a più riprese, hanno dato il fondatore di Forza Italia per morto. E’ successo innanzitutto il 6 aprile, il giorno dopo il ricovero, quando a metà mattina le redazioni politiche hanno cominciato a mandare messaggi allarmati ai giornalisti inchiodati davanti all’ospedale: “E’ morto, lo comunicheranno a borsa chiusa”. Bufala grave e molto triste. Purtroppo, quando si parla del corpo di Berlusconi, per anni portentoso strumento di comunicazione politica, fulcro di processi, vanto e oggetto di scherno, facilmente le voci sussurrate diventano venticello, poi tuoni in lontananza, poi paurosi diluvi, infine notizie (false) da smentire.
Del resto Berlusconi è entrato in ospedale con un quadro che ai medici e ai famigliari è apparso ben più drammatico di quanto fatto trapelare all’opinione pubblica, e la mancanza di trasparenza iniziale ha aiutato i complottismi. La leucemia segnava globuli bianchi a un livello di almeno 9 volte superiore alla norma, 90mila unità per microlitro di sangue.
Crisi respiratoria, polmonite, versamento pleurico che richiedeva drenaggio, insufficienza renale. E paradossalmente proprio l’invenzione della morte nascosta, quel mattino del 6 aprile, ha costretto i medici e la famiglia a produrre un primo bollettino ufficiale che, nel dare conto di una situazione grave e confermando la leucemia e l’infezione polmonare, metteva in luce un punto fermo fermissimo: Berlusconi era vivo, e dunque basta panzane, basta riferimenti ai mercati, basta aggiottaggio politico ed emotivo.

E’ servito relativamente: nel giorno di Pasqua di nuovo voci false sulla presunta morte, ovviamente non avvenuta. Curioso che i rumours più drammatici arrivino sempre da ambienti politici.
I successivi due bollettini sono serviti a placare l’opinione pubblica, comunicando miglioramenti, anche sensibili. L’uscita dalla terapia intensiva, l’esito positivo di qualche esame. “E’ il messaggio che si deve far arrivare”, commenta una fonte. Un po’ come le dichiarazioni a tratti surreali, arrivate da politici di maggioranza, di un Berlusconi apparentemente attaccato ininterrottamente al telefono per chiaccherare con amici parlamentari e di governo, impartire direttive, infondere speranza. A molti cronisti è venuto il sospetto che di quelle telefonate ne siano avvenute, a essere estremamente ottimisti, la metà.
L’ultimo bollettino medico, 23 parole in tutto, sembrava scritto al solo scopo di far calare l’attenzione delle redazioni già stanche, dopo la sbornia di allarmi delle prime settimane di ricovero.
Tra notizie addomesticate, telefonate inventate e bufale terrorizzanti, alla fine i messaggi più sinceri ed efficaci sono quelli dei famigliari di Berlusconi. Quel “è un leone” di Piersilvio, quel “ce la farà anche questa volta” di Paolo, quel pollice alzato di Luigi. Per finire, un sincero in bocca al lupo a Silvio da coloro che certamente hanno beneficiato dei posti di lavoro creati dai suoi governi: quelli dei cronisti giudiziari che hanno seguito i suoi processi. Stagione archiviata e irripetibile.

Lo scandalo pedopornografico che non lo era
Bastoni condannato a risarcire, Fidanza alla Consulta


Di porno non c’era nulla, di bambini ancora meno. Ma l’equivoco di “Porno per bambini” (neppure titolo della mostra di disegni ma firma dell’artista ospite del Santeria di viale Toscana, a dicembre 2018), aveva innescato i più scatenati sostenitori milanesi del “giù-le-mani-dai-bambini”. I quali, forse non capendo, oppure capendo benissimo, su quell’equivoco avevano messo in piedi una scivolosa campagna “anti-pedopornografia”.
E così gli accusatori diventano accusati. Anzi, condannati, in primo grado. L’ex consigliere regionale leghista Max Bastoni, allora a palazzo Marino, difeso dagli avvocati Annibale Perrone e Roberto Sperandeo, prende 5mila euro di multa (il pm aveva chiesto 200). In un post su Facebook parlava della mostra di disegni scrivendo: “E’ evidente ormai che certi personaggi trovano nella Milano con la #sinistra al governo un terreno fertile per le loro schifezze omo/pedofile. E’ ora di dire basta, mandiamo a casa #Sala con i suoi ‘amichetti’”. Una multa, ma la pena non viene sospesa, perché, come risulta dal casellario giudiziario, Bastoni ha due precedenti, pur di poco conto. Uno del lontano 2002, a Torino, con pena di due mesi e 20 giorni convertiti in multa e infine indultati per “danneggiamento seguito da incendio”. L’altro del 2008, per “apertura abusiva di luoghi di pubblico spettacolo”, per cui ha ricevuto un decreto penale di condanna, saldato nel 2016 con 419,50 euro.

Anche il blogger Cristiano Puglisi, allora vicepresidente forzista del consiglio comunale di Arcore, difeso dall’avvocato Marco Martini, è stato condannato come Bastoni alla multa di 5mila euro dal giudice della 7a sezione penale Mattia Fiorentini. Sul suo sito aveva postato un commento di questo tenore: “si sarebbe potuta gustare una mostra inneggiante alla pedofilia, dal sapore orrido e vagamente demoniaco”. Per lui multa, ma con pena sospesa e non menzione, a patto che risarcisca le parti offese.
Percorso diverso per l’europarlamentare di Fratelli d’Italia Carlo Fidanza, al tempo dei fatti deputato. “Una mostra che con immagini di dubbio gusto e sicuramente ambigue non avrebbe fatto altro che legittimare la pedopornografia”, aveva commentato in un video, girato proprio davanti al locale, con in mano la locandina della mostra, pochi giorni prima dell’inaugurazione. E ancora: “chiediamo di vigilare su quello che viene svolto nei locali che (il Comune, ndr) dà in concessione ma soprattutto vogliamo difendere i bambini e la loro innocenza da questi pazzi che la vogliono violare”.
Quando il titolare del locale, spiega il giudice in motivazione, cerca Fidanza per chiedergli di rettificare, lo staff del politico gli risponde che non avrebbe tolto il post “in quanto aveva generato moltissime visualizzazioni”.
La Camera aveva negato l’autorizzazione a procedere. Il giudice Fiorentini ha però sollevato un conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato, quindi la questione finirà davanti alla Corte Costituzionale.


Intanto Bastoni e il blogger dovranno anche risarcire in solido, con 10mila euro ciascuno, il titolare del Santeria, Andrea Pontiroli, e l’artista, Eduardo Stein Dechtiar, bassista dei Selton. Cinquemila andranno alla società titolare del locale. Altri 6mila e rotti serviranno a rifondere le spese processuali sostenute dalle parti civili con gli avvocati Chiara Parisi e Roberto Dissegna.
La diffamazione al tempo della facile indignazione social, del resto, genera mostri. Quando “la gogna mediatica” prende piede, argomenta il giudice, i commenti  offensivi e minatori diventano “inarginabili”. Allo staff del Santeria e all’artista, dopo l’annuncio della mostra, erano arrivate “centinaia e centinaia” di messaggi, email, telefonate. Il locale viene minacciato di danni, i suoi dipendenti “di aggressioni fisiche”, si legge in sentenza. Messaggi come “siete pedofili di merda”, “dovete morire, “dovete bruciare”, “vi uccideremo tutti”, “quando andate a casa state attenti”. In alcuni casi gli autori si palesavano come esponenti di Forza Nuova o di Casa Pound. Visto il clima, il locale aveva deciso di annullare la mostra. Del resto, aveva spiegato Andrea Pontiroli del Santeria, la situazione era diventata “drastica e drammatica, con il personale che piange, con persone che non vogliono più venire a lavorare perché hanno paura”. Circostanze confermate in aula dai dipendenti.
Bastoni e Puglisi, scrive il giudice nel motivare le condanne, per finalità prettamente politiche, “cavalcavano l’onda dell’indignazione sollevatasi, alimentando in tal modo il clima di odio e violenza già in atto”.
Nell’equivoco, spiega il giudice in motivazione, era caduto soltanto chi “si era approcciato alla notizia con pregiudizio o finalità secondarie”: la “strumentalizzazione politica”, “la ricerca di un pretesto per ricorrere a intimidazioni e violenza”, la superficialità, “il bigottismo”, la “strumentalizzazione ideologica”. O semplicemente “la mediocrità”.