giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

Lavoro gratis senza certezze per gli aspiranti giudici di pace

Almeno sei mesi di lavoro gratis e senza la certezza di diventare magistrati onorari. Una prospettiva deprimente per gli oltre 100mila, finora, che hanno risposto all’appello del Csm rivolto agli aspiranti giudici di pace e viceprocuratori onorari in diversi distretti giudiziari, tra cui Milano.  In tanti protestano nelle chat dei candidati anche perché della gratuità non si parla nel bando ma viene ‘nascosta’ in un articolo del decreto legislativo che fissa i principi sul conferimento degli incarichi (“Ai magistrati onorari in tirocinio non spetta nessuna indennità”).

Le regole del gioco prevedono che verrà stilata una graduatoria per titoli (tra i plus, per la prima volta, la giovane età) e saranno individuati 600 nominativi da avviare al tirocinio, al termine del quale ne saranno scelti solo 400 (300 giudici di pace e 100 vice procuratori). Agli altri 200 un bel ‘grazie e saluti’ per essersi messi sulla spalle il gigantesco peso della giustizia minuta. Ma non è finita. Una volta nominate, le toghe onorarie potranno lavorare al massimo due giorni alla settimana – meno che in passato per contenere i costi -,  mentre  per il tirocinio saranno impegnate verosimilmente dal lunedì al venerdì in quello che un candidato definisce “un aiuto gratuito ai giudici del Tribunale”, da aggiungersi alle 30 ore di corso previste dal bando. Gli avvocati interessati, la cui professione garantisce punti in graduatoria, fanno notare che un tirocinio così impegnativo non gli consentirebbe di svolgere il loro lavoro in quei sei mesi, e questo, va di nuovo sottolineato, senza nessuna garanzia di entrare nei magnifici 400 pagati poi poche centinaia di euro.

(manuela d’alessandro)

Giudici, liberi di morire a prescindere dalla malattia

“Liberi di morire come e quando si vuole”, a prescindere dalle condizioni di salute. Dice anche questo l’ordinanza con cui i giudici della Corte d’Assise di Milano hanno trasmesso alla Consulta gli atti del processo a carico di Marco Cappato. Un principio mai esplicitato nel lungo provvedimento ma deducibile, come confermano fonti giudiziarie, dal fatto che, in tutti i passaggi in cui si argomenta l’esistenza del diritto alla “libertà di scegliere come e quando morire”, non si faccia mai cenno alle condizioni dell’aspirante suicida.

Resta ferma invece la necessità, più volte ribadita dai giudici, che chi decide di togliersi la vita lo faccia senza che colui che lo agevola abbia influito in alcun modo sulla sua scelta libera e consapevole. Un’ipotetica applicazione applicazione concreta di questo principio porterebbe a considerare non punibile chi accompagni in Svizzera a morire una persona che non abbia alcun problema di salute. Un netto superamento rispetto alla recente legge sul testamento biologico che, come ricordato dal collegio presieduto dal giudice Ilio Mannucci Pacini, “non ha riconosciuto il diritto al ‘suicidio assistito’” e prevede condizioni molto stringenti di malattia fisica per interrompere le cure. Il mancato riconoscimento del diritto al ‘suicidio assistito’, scrive la Corte nel provvedimento, “non può portare a negare la sussistenza della libertà della persona di scegliere quando e come porre fine alla propria esistenza”. I giudici della Corte Costituzionale comunque decideranno quale percorso interpretativo intraprendere in modo autonomo rispetto alle opinioni espresse dalla Corte d’Assise che si è richiamata a numerosi articoli della Costituzione e anche alle Convenzioni e alla giurisprudenza comunitaria.  Nelle loro memorie, il procuratore  aggiunto Tiziana Siciliano e il pm Sara Arduini facevano riferimento alle “condizioni oggettive” di chi versa in uno stato di malattia terminale o irreversibile e a quanto suggerito dal “comune sentire”. La Corte d’Assise va ben oltre, sostenendo il diritto a scegliere come morire anche di chi non versa in gravi condizioni di salute, come Dj Fabo, rimasto cieco e tetraplegico dopo un incidente stradale e afflitto da dolori e sofferenze continue. (manuela d’alessandro)

Guido Galli diventa Alessandro, la gaffe della Scuola Superiore della Magistratura

Viene quasi da ridere a pensare al tema del convegno: “L’identità personale”. Perché, nel promuovere un incontro su questo argomento, la Scuola Superiore della Magistratura incorre in una clamorosa gaffe storpiando l’identità del giudice Guido Galli, assassinato il 19 marzo del 1980 a Milano da un nucleo armato di Prima Linea all’interno dell’Università Statale.

Forse per una crasi, l’aula Magna del Palazzo di Giustizia di Milano dove si svolgerà il meeting viene intitolata a Emilio Alessandrini e Alessandro Galli. Tra i temi presi in esame dai relatori ci sarà proprio il “diritto al nome, avuto riguardo della giurisprudenza nazionale e internazionale”.

(manuela d’alessandro)