giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

Fondi Expo, il gip chiude il caso delle aste giudiziarie

Tutto regolare nella gara del 2012 per la pubblicità delle aste giudiziarie che,  secondo l’ Autorità Nazionale Anticorruzione, presentava invece  anomalie così gravi da richiedere di indirne con urgenza una nuova. Fonti vicine all’Anac, da cui era partito il dossier poi sviluppato dalla Procura,  riferiscono di una viva sorpresa nell’apprendere che il gip Marco Del Vecchio ha archiviato il caso dopo 9 mesi di riflessione, cioé da quando si era riservato di decidere sull’opposizione all’archiviazione presentata da una delle presunte società penalizzate.  Non ci sono prove, scrive il gip accogliendo la richiesta del pm Paolo Filippini,  di “intese triangolari” illecite tra Tribunale, Camera di Commercio e l’impresa vincitrice Edicom per turbare la gara. E nemmeno sulle possibili responsabilità dei magistrati milanesi.

I fatti: la Camera di Commercio, nelle vesti di intermediario del Tribunale e per conto della sua partecipata Digicamere, mette a disposizione un appalto da 825mila euro biennali, in parte sono fondi Expo, per assegnare la gestione della pubblicità legale e l’informatizzazione delle procedure esecutive e telematiche nel biennio 2013 – 2014. A quella gara partecipa solo la società Edicom Finance che vince con uno stratosferico ribasso sul prezzo di base del 72,5%. Chi glielo fa fare? Secondo astelegali.net, l’avere ricevuto in cambio la garanzia di altri lavori molto redditizi, sempre attinenti alle aste. Il pm Paolo Filippini si mette a indagare e a un certo punto scopre che i servizi accessori Postal Target, Free Press e Aste Giudiziarie non inseriti nel bando di gara non solo sono rimasti  a un’azienda del gruppo Edicom, ma sono diventati obbligatori per tutte le procedure esecutive e fallimentari. Questo perché tutti i giudici della seconda e terza sezione civile avevano disposto così, tranne uno, il dottor Marcello Piscopo.  Ottimo per Edicom che ingrossa il suo fatturato di 440mila euro nel 2012 a 1,4 milioni nel 2014.

Per il gip, nonostante “l’anomalia di una gara assegnata ad un unico partecipante, con un ribasso” del 72%, “a  fronte del quale la stazione appaltante che agiva in convenzione col Tribunale di Milano non avrebbe effettuato la verifica di congruità’”,  ”non  vi sono prove per ritenere” che ci sia stata “un’intesa illecita tra le parti”.  E non si  può nemmeno  provare che Edicom “poteva comunque contare di recuperare remuneratività  dell’appalto (o quanto meno di coprirne le perdite) attraverso una gestione monopolista”.  Archiviati quindi i due indagati, difesi dall’avvocato Cristiana Totis: un funzionario di Digicamere e una donna, parente di quest’ultimo  e “collaboratrice” del gruppo Edicom che vinse la gara. In attesa della laboriosa decisione del giudice, negli ultimi mesi dalla Procura Generale della Cassazione erano arrivate al pm insistenti richieste per valutare eventuali profili disciplinari dei giudici civili.  Resta il mistero non risolto dalla Procura che aveva ammesso di non essere riuscita a risalire “alla reale proprietà della Edicom Finace”, controllata da una società con sede in Gran Bretagna, a sua volta controllata da una società con sede nel Delaware. Sì, il paradiso fiscale. (manudela d’alessandro)

 

 

La storica carta che riabilita Silvio Berlusconi

Ecco la carta ‘storica’ (qui integrale)  che riabilita Silvio Berlusconi dopo anni di agonie giudiziarie e l’esilio dal Parlamento. Non è ancora definitiva perché la Procura Generale sta meditando se impugnarla. Ha tempo  15 giorni, a partire da venerdì scorso, per opporsi alla decisione dei giudici della Sorveglianza e, in particolare, all’argomento garantista per cui gli altri pesi sul groppone dell’ex Cavaliere (tornerà ad esserlo, ora?), a cominciare dal Ruby tre,  ”non escludono di per sé la sussistenza della regolarità della condotta”. Sul punto, i giudici spiegano di aver seguito la Cassazione, secondo la quale “la mera pendenza di un procedimento penale per fatti successivi a quelli per cui è intervenuta la condanna” non è di ”ostacolo” all’accoglimento della riabilitazione, perché  vale la ”presunzione di non colpevolezza”. Ma qualche sostituto procuratore generale fa notare che si poteva anche dare una valutazione diversa delle inchieste ancora pendenti sull’ex premier. La parola finale spetterà al procuratore generale Roberto Alfonso che oggi ha fatto sapere di non avere ancora preso alcuna decisione. Intanto emerge qualche curioso retroscena sull’udienza in camera di consiglio non indicata negli ‘statini’ , come avviene di solito, appesi alle porte. Tutto si è svolto in gran segreto in un venerdì pomeriggio in cui la riabilitazione di Berlusconi è finita nel calderone di una videoconferenza per discutere la posizione di alcuni detenuti in 41 bis. A proposito: tra le grane ancora attuali, i giudici hanno omesso di citare l’indagine fiorentina in cui, stando a notizie di stampa, il fondatore di Forza Italia è indagato per le stragi di mafia del 1992 e 1993. (manuela d’alessandro)

 

L’abbraccio del ragazzo al padre imputato prima dell’assoluzione

Un ragazzo alto con una felpa rossa abbraccia da dietro il padre. L’uomo è malfermo sulle gambe, un’ombra densa di preoccupazione sul viso. Ma guarda dritto davanti a sé. Il ragazzo è l’unico che parla. “Papà, non ti preoccupare, se anche ti condanneranno tu non hai fatto niente”. E alla madre, lì accanto: “Mamma, non dire nulla e non piangere”.

E’ buia e stretta l’aula della X sezione penale dove sta per suonare la campanella che annuncia l’ingresso del collegio chiamato a giudicare l’ingegnere Salvatore Primerano, 50 anni, accusato di associazione a delinquere, truffa, falso e turbata libertà di scelta del contraente nell’ambito dell’indagine su Infrastrutture Lombarde. Assoluzione da tutti i reati, è il verdetto. Il ragazzo salta per la gioia, i genitori piangono.

Sono tante le assoluzioni (16 su 26 imputati) in questo processo e tante, per fortuna e tutti i giorni, nelle aule del Tribunale. Ma questa ha un sapore dolce e regala una scena rara: non di rabbia, ma di tenerezza. “Quando nel 2012 ho ricevuto un avviso di garanzia quasi non ci ho fatto caso, non ho nemmeno capito quasi fossero le accuse – racconta Primerano al telefono, ancora la voce è spezzata dall’emozione – Mi sono reso conto di quello che stava succedendo solo due anni dopo quando è arrivata la Guardia di Finanza nell’ufficio della società di cui ero responsabile tecnico. Ho trascorso 3 mesi e mezzo ai domiciliari. Sono venuti ad arrestarmi all’alba.  Per me è stata una tragedia morale perché io ero venuto a Milano dalla Calabria per costruirmi un futuro da solo e sottrarmi a un certo mondo del lavoro basato sui ‘favori’ “. Quello che l’ingegnere deve al figlio Andrea, 20 anni, alla moglie e agli amici è una scelta importante: “Il giorno prima che scadessero i termini mi è arrivata dal pm la proposta di patteggiare una pena sotto i due anni. Stavo per accettare, ma i miei familiari mi hanno convinto a non farlo. Se l’avessi fatto, avrei tradito me stesso. Ho sempre avuto fiducia nelle istituzioni ma aspettavo questa sentenza per capire se potevo continuare ad avercela. Ora voglio fare qualcosa per dare un senso a questa esperienza, ancora non so cosa, ma non passerà senza lasciare un segno”. (manuela d’alessandro)

Il libro di Iacona fa riaprire un’inchiesta sui poliziotti

Il libro di Riccardo Iacona fa riaprire l’indagine su tre poliziotti presunti autori di furti di droga e soldi che, stando alla ricostruzione del giornalista e dell’allora procuratore Alfredo Robledo,  sarebbe naufragata a causa dell’inerzia di Edmondo Bruti Liberati e dei colleghi degli agenti. A raccontarlo, durante la presentazione di ‘Palazzo d’Ingiustizia’ alla Feltrinelli di piazza Duomo, è stato il conduttore di ‘Presa Diretta’: “Dopo la pubblicazione del libro, il questore Marcello Cardona ha chiesto al capo della Squadra Mobile di togliere questi 3 poliziotti dall’antinarcotici. E oggi Cardona è andato da Greco che gli ha assicurato la riapertura di un fascicolo d’inchiesta”. La storia è quella del fallimento dell’indagine sui poliziotti chiamati da alcuni testimoni ‘quelli delle giacche’ “perché quando arrivavano sulla piazze dello spaccio i pusher scappavano, buttavano via la giacca e i poliziotti si fermavano a raccogliere soldi e droga, senza denunciare e tenendo tutto per sé”. Un’inchiesta coordinata nel 2012 da Robledo e dal pm Paolo Filippini che sarebbe abortita per l’ostracismo manifestato dalla Squadra Mobile, addirittura con la distruzione delle microspie per intercettare i colleghi. E perché Bruti si sarebbe opposto alla richiesta arrivata dal suo vice di far compiere gli accertamenti ai carabinieri, richiamandosi al garbo istituzionale che imponeva ai poliziotti di arrestare le ‘mele marce’.

Un centinaio di persone, in un clima a tratti da stadio, ha assistito alla presentazione del volume che sta facendo impazzire le mailing list dei magistrati. Tra gli altri, l’ex pg Felice Isnardi, che ha riaperto le indagini su Expo e sul sindaco Giuseppe Sala archiviate in nome della “sensibilità istituzionale”, l’ex magistrato della Cassazione  Antonio Esposito, il giudice Maria Rosaria Sodano che, in un intervento dalla platea, ha espresso “solidarietà” a Robledo. Presenti anche diversi vpo (viceprocuratori onorari), tanti avvocati ed esponenti della polizia giudiziaria, alcuni dei quali facevano parte della ‘squadra’ del magistrato trasferito per punizione a Torino (ritenuto colpevole di uno scambio di messaggi con l’avvocato Domenico Aiello). Senza pietà  Iacona nelle sua valutazioni sulla giustizia e sul cuore del suo potere: “Quando ho messo gli occhi sugli esposti presentati da Robledo al Csm sono saltato sulla sedia e mi sono spaventato da cittadino pensando a cosa può succedere a noi cittadini se queste cose accadono nel posto dove si esercita il controllo della legalità. Nelle carte ci sono le prove che il Csm ha usato come una mazza i provvedimenti disciplinari per ridurre le critiche. E’ una cosa che fa paura. Quando alla Rai mi hanno cancellato il programma dove lavoravo per volontà di Berlusconi, i miei colleghi mi hanno difeso. Qui nelle mail i magistrati se ne stanno dicendo di cotte di crude, ma fuori non arriva questo dibattito. A loro dico: ‘Rivolgetevi a noi!’”. “Pentito di quello che hai fatto?”, ha chiesto il moderatore Gianni Barbacetto ad Alfredo Robledo: “No, quella dei pentiti è una categoria che non mi piace in generale. Ho avuto un dolore enorme da questa storia che ho trasformato in testimonianza con questo libro. Il dolore più grande me l’ha dato il silenzio dei magistrati. La gran parte sono persone oneste ma hanno taciuto. Nel momento in cui ci sono magistrati nominati in base a delle trattative, e rubo questo termine ad altri contesti, per fare carriera soprattutto si tace. Contro Bruti non ho nulla di personale, lui era solo una pedina”.  E al giornalista Danilo Procaccianti, coautore del libro, Robledo ha detto: “A me la giustizia oggi fa paura e lo dico da magistrato”. Tra  le domande dal pubblico quella del cronista del ‘Sole 24 Ore’ Nicola Borzi che ha denunciato alla Consob con un lungo e coraggioso lavoro d’inchiesta quello che accadeva nel gruppo editoriale, oggetto di un’indagine in corso a Milano a carico anche dell’ex direttore Roberto Napoletano.  ”Avevo presentato un esposto molti anni prima dell’indagine attuale, ma poi non ne ho più saputo nulla. Dottor Robledo, mi sa dire se è finito in un cassetto come altri?”. Risposta: “Non sono un indovino, ma non escludo situazioni di questo genere”. (manuela d’alessandro)