giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

La battaglia del giudice contro i microfoni ‘silenziosi’

Chi parla di una violenza sessuale subita non ha certo voglia di farlo a voce alta. E se i microfoni non funzionano bisogna ripetere più volte le stesse cose e i processi diventano lenti, così impacciati da violare la recente direttiva del Csm che impone una ‘corsia’ più veloce per i procedimenti in cui si contestano reati di genere.

Per questo il giudice Mariolina Panasiti, che presiede la nona sezione penale davanti alla quale si celebrano questo tipo di processi,  sta combattendo da qualche tempo una battaglia contro i microfoni ‘silenziosi’. Nelle aule 9, 9 bis e N del Tribunale di Milano, come è facile appurare per chiunque ci metta piede,  i microfoni non amplificano e non registrano le voci delle parti in causa. Il risultato è che i dibattimenti proseguono da diversi mesi con grandi difficoltà perché chi parla è costretto a dover ripetere molte volte le proprie dichiarazioni. Panasiti ha per due volte, nel giro di poche settimane, messo a verbale i problemi che derivano da questa situazione e, durante un’udienza che si è svolta ieri, anche gli avvocati delle parti e il pm Rosaria Stagnaro si sono associati alla sua richiesta di adottare delle soluzioni. Entrambi i verbali sono stati inviati al Presidente della Corte d’Appello, al Presidente del Tribunale e al Procuratore Generale, i quali al momento non hanno fatto pervenire alcuna risposta alle sollecitazioni.

Il giudice sostiene che “la carenza di microfoni e di impianti di amplificazione rallenta notevolmente l’attività giudiziaria” in contrasto con la direttiva del Csm e fa anche presente che “parte civile, difensore e pm dispongono, in banchi diversi, di un unico microfono che per il suo funzionamento, ancorché precario, ha necessità di essere sostenuto da basi di appoggio tra i codici o i supporti di plastica occasionalmente reperiti”. (manuela d’alessandro)

Quattro sindacalisti condannati per un ‘picchetto’ a Milano

Una condanna inflitta a dei sindacalisti per il reato di violenza privata durante una manifestazione di lavoratori fa notizia: in questo caso ancor di più perché l’accusa aveva chiesto l’assoluzione e nessuno, come sottolinea il loro avvocato Mirko Mazzali, si è fatto male.

E’ successo a Milano dove il giudice Alberto Carboni ha condannato quattro rappresentanti del Si Cobas a un anno e otto mesi di carcere nel processo con al centro una manifestazione di protesta di decine di lavoratori davanti ai cancelli della Dhl Supply Chain di Settala (Milano), parte del gruppo leader mondiale nella logistica. I fatti risalgono al 19 marzo 2015 e gli operai, impiegati in cooperative per lavori di facchinaggio, chiedevano il riconoscimento di diritti previsti dal contratto nazionale. Assieme a loro sono stati condannati a pene comprese tra un anno e otto mesi e due anni e sei mesi 3 manifestanti frequentatori di un centro sociale. Assolti altri 18 imputati, tra cui diversi operai e altri rappresentanti dei centri sociali. “I sindacalisti sono stati condannati per la loro sola presenza. Nessuno si è fatto male, tutto si è svolto tutto in un clima pacifico”, afferma uno dei loro legali, l’avvocato Mirko Mazzali. Nell’originario capo d’imputazione, poi ‘smentito’ alla luce del dibattimento dallo stesso vpo (viceprocuratore onorario) che ha chiesto l’assoluzione, veniva contestato agli imputati il reato di violenza privata perché attraverso un picchettaggio all’ingresso dello stabile della DHL Supply Chain “impedivano l’accesso di altri lavoratori non aderenti alla manifestazione e l’ingresso e l’uscita degli automezzi con a bordo prodotti farmaceutici con comportamento violento e minaccioso”. A nessuno dei condannati sono state riconosciute le attenuanti generiche. Durante il processo, un poliziotto della Digos, sentito come testimone, aveva spiegato che “c’era una situazione abbastanza calma“. Lo stesso giudice che ha gestito il dibattimento, Emanuela Rossi, che poi ha passato la mano a Carboni perché è stata trasferita al Tribunale dei Minorenni, sembrava propendere verso un altro epilogo del processo. “Da quello che ci ha detto – aveva affermato rivolgendosi al teste della Digos – tutto si è svolto in modo pacifico”. (manuela d’alessandro)

 

La lettera a Babbo Natale dei detenuti – lettori di Bollate

I libri regalano vite di scorta a tutti: a chi è in carcere, e vive un’esistenza sospesa, ancora di più. Lo sa bene Renato Mele, animatore del Gruppo Cultura e della biblioteca del penitenziario di Bollate che quest’anno per Natale vuole donare mondi da sfogliare ai ‘suoi’ reclusi coinvolgendo la città di Milano. “L’idea è semplice – spiega – ho scritto nome e cognome del detenuto e il libro che vorrebbe, poi ho portato la lista nelle due librerie che hanno aderito all’iniziativa, la Libreria Popolare e Isola Libri, dove chi lo desidera può acquistare il volume con tanto di dedica a chi lo aspetta in carcere”.

Lui poi si impegna a consegnarglieli appena dopo Natale perché è proprio nei giorni a ridosso della festa che si affollano le librerie e c’è più possibilità che a qualcuno venga voglia di offrire ore di svago su carta a chi sta scontando una pena.  Ma cosa desidera leggere chi è dentro? “Un po’ di tutto – chiarisce Mele – dai testi di grammatica italiana alla biografia di Francesco Totti ai gialli, ma anche filosofia e testi più impegnati”.

A Mele, che fa parte dell’associazione Mario Cuminetti dal nome del fondatore del primo gruppo di volontari che portò attività culturali in un carcere italiano nel 1985, preme sottolineare che “Bollate non è speciale, come si dice sempre. E’ l’unico carcere italiano secondo la Costituzione, sono tutti gli altri a essere fuorilegge. Qui si realizza il principio della rieducazione e siamo convinti che la cultura possa davvero far cambiare le persone”. Tra le fitte attività nella struttura, che ospita circa 1200 persone, ci sono anche il giornale ‘Carte Bollate’ e lezioni di docenti universitari a studenti liberi e reclusi insieme. (manuela d’alessandro)

Casalino ‘assolto’, in confidenza poteva ‘sbracare’ coi giornalisti

L’audio in cui Rocco Casalino esprimeva, tra le altre cose, l’intenzione di “far fuori tutti questi pezzi di merda del Mef se non dovessero uscire i soldi per il reddito di cittadinanza” appartiene  a “quel tipo di comunicazione che rientra in un rapporto di confidenzialità che connota la vita dei Palazzi e dei rapporti tra portavoce e giornalisti”. Così il Consiglio di disciplina dell’Ordine dei Giornalisti lombardo argomenta l’archiviazione dell’istruttoria avviata sul portavoce dei 5 Stelle  in relazione al messaggio vocale mandato via whattsapp a  diversi cronisti che poi l’hanno diffuso sulle loro testate nel settembre scorso. L’accusa per Casalino era quella di avere violato le regole deontologiche, in particolare le sue dichiarazioni venivano giudicate dall’Ordine “non pertinenti e non continenti”, come impone la legge professionale.

“Si tratta di un dialogo privato – obbiettano gli autori della decisione (il  presidente il giornalista della ‘Stampa’ Paolo Colonnello affiancato dal collega del ‘Corriere della Sera’ Giuseppe Guastella e dall’avvocato Claudia Balzarini) – dove certe circostanze, le ventilate minacce a non meglio identificati funzionari del Mef, la caccia ai burocrati che non garantirebbero le coperture finanziarie richieste, rappresentano un modo colorito per significare una situazione politica in essere”. “Nessuna minaccia” nelle parole di  Casalino quando dice al collega: “Se domani vuoi uscire con una cosa che può essere simpatica, la metti come che nel Movimento 5 Stelle è pronta una mega vendetta, cioé c’è chi giura che se  poi non dovessero uscire fuori i soldi, tutto il 2019 sarà dedicato a far fuori una marea di gente nel Mef”.  “E’ noto a chi si occupa di politica ma anche di cronaca, e intende riportare dei retroscena in determinate vicende, come il rapporto con le fonti sia di vitale importanza – si legge ancora nel provvedimento – ed é in questa confidenzialità, al di fuori dunque di un ambito pubblico, che si crea un perimetro di garanzia all’interno del quale si può esplicare quel rapporto fiduciario necessario al giornalista per comprendere e poi riportare nei toni e nei modi dovuti alcuni aspetti non ufficiali della notizia”. (manuela d’alessandro)

archiviazione istruttoria Casalino

 

 

 

Medaglia d’oro a Isolabella, maestro del punto del processo

Venerdì 14 dicembre l’Ordine consegnerà la medaglia d’oro per i 60 anni di professione all’Avvocato Lodovico Isolabella.

Isolabella è stato il mio primo ed unico Maestro, come peraltro di mezzo Tribunale di Milano, quello che mi ha insegnato tutto quello che sono riuscito ad imparare, perché quando arrivai, fresco di militare nel suo studio di via Fontana, che è ancora quello attuale, non sapevo distinguere un codice da un melone. Da lui ho imparato che per ottenere qualsiasi risultato occorre dedicare tempo ed energia e che nulla arriva per grazia divina, neppure se hai la fortuna, come certamente era il suo caso, di essere più intuitivo o più veloce di altri. “Trova il punto del processo” era la sua regola, perché diceva che all’interno di ogni causa, anche quella più complessa, si annida sempre il punto decisivo, quello intorno cui ruota il tutto, e che andava trovato studiando pazientemente ogni pagina e incartamento. Solo una volta trovato quel punto un avvocato era pronto ad affrontare il processo.

Ho avuto una grande fortuna ad iniziare così, per me sono stati dieci anni indimenticabili, anche perché in seguito non avrei più incontrato un avvocato capace di argomentare con una tale granitica concretezza, scevra da qualsivoglia forma di retorica autocompiaciuta, e con un “senso giuridico” così innato che gli faceva comprendere subito il vero significato di una norma anche senza leggerla interamente.

Ma fu anche il fortunato incontro con una persona dotata di straordinaria ironia e di un senso dell’umorismo, nel senso più autentico del termine, che fa venire in mente quel celebre motto degli anarchici che sbeffeggiavano il potere con la frase “una risata vi seppellirà”. E chiunque lo ha conosciuto di persona non potrà non convenire sul fatto che nessun altro come lui è sempre stato così poco “sensibile” alle forme vacue e ai finti orpelli di chi si atteggia. Grande collezionista di tutto quanto riguarda l’epoca della Grande guerra, Isolabella qualche anno fa ha pubblicato Par un tourbillon Maudit con tre inediti di Giuseppe Ungaretti. Edizione preziosa per rilegatura e illustrazioni rare, in tiratura limitata (80 esemplari), si trattò di qualcosa di molto diverso dai soliti saggi, tanto che mi fece venire la voglia di recuperare tutti i lavori di questo straordinario poeta che avevo dimenticato.

Ogni tanto ci sentiamo ancora e tutte le volte, dopo che ho terminato di parlare con lui, non posso evitare di pensare che invece di fare tanti inutili corsi di formazione, ogni giovane avvocato dovrebbe incontrare almeno per un giorno Lodovico Isolabella. E’ vero che il suo genio non si può imparare, ma il suo metodo e il giusto approccio ad una professione come la nostra si può tentare di riprodurli.

avvocato Davide Steccanella