Ti piazzano addosso il captatore trojan ti intercettano un per mesi confrontando le tue parole con quanto repertato 50 anni fa e quando i tuoi difensori eccepiscono l’assenza del decreto autorizzativo da parte del gip il gup rigetta l’eccezione e ti spiega che il decreto non era necessario perché al momento l’inchiesta era contro ignoti. Diventata contro noti solo dopo aver ascoltato le conversazioni intercettate. Insomma ti metto addosso il mezzo più invasivo possibile e non si può dire che ti sospetto. Sei ignoto.
Stiamo parlando dell’inchiesta sulla sparatoria di Cascina Spiotta il 5 giugno del 1975 quando morirono il carabiniere Giovanni D’Alfonso e Mara Cagol. Ovviamente l’indagine si occupa solo dell’omicidio del carabiniere e non del colpo di grazia con cui fu finita Mara Cagol mentre era per terra arresa e disarmata.
Il gup Ombretta Vanini ha deciso che non c’erano irregolarità e violazioni dei diritti apprestandosi il prossimo 30 ottobre a rinviare a giudizio per concorso in omicidio Renato Curcio, Mario Moretti, Pierluigi Zuffada e Lauro Azzolini.
Il captatore trojan insomma veniva usato per ragioni di assoluta urgenza. Su un fatto badate bene avvenuto mezzo secolo fa. In una indagine riaperta annullando una precedente sentenza di proscioglimento per Azzolini del 1987 senza leggerla perché le carte erano scomparse nel 1994 durante l’alluvione di Alessandria.
A far riaprire l’indagine era stato l’esposto presentato dagli eredi del carabiniere. In aula in udienza preliminare sono stati letti articoli di stampa e anche alcune frasi dei libri di Curcio e Moretti per dimostrare che erano stati dirigenti delle Br. Un fatto notorio già all’epoca dei fatti e della prima inchiesta poi “alluvionata”. Ma allora Curcio e Moretti non erano stati chiamati in causa. Vengono tirati in ballo adesso per spettacolarizzare e mediatizzare l’indagine e consumare una vendetta politica contro un intero periodo storico quello degli anni ‘70.
Ovviamente davanti a questi veri e propri strafalcioni giuridici non si sente la voce di nemmeno uno dei tabti garantisti che affollano un paese disgraziato. Tutti garantisti solo per gli amici e il proprio clan.
Quando si tratta di quella storia, un conflitto sociale durissimo sfociato in una guerra civile a bassa intensità ma neanche troppo bassa le garanzie non esistono. Infine ultima considerazione. Con quello che hanno speso per i captatori trojan non si può permettere cha la procura di Torino una delle più forcaiole d’Italia venga smentita.
Per cui si andrà in corte d’Assise per assistere ai vincitori che processano i vinti. Norimberga due.
(frank cimini)
DePasquale condannato da giudice che assolse Di Pietro
Sono passati molti anni ormai e le storie sono molto diverse, ma per chi conosce la vera storia di Mani pulite non quella raccontata dalle gazzette della Repubblica delle procure è impossibile non reagire con un sorriso amaro.
Fabio De Pasquale è stato condannato per non aver depositato prove a favore degli imputati del processo Eni-Nigeria. Rifiuto di atti d’ufficio. Le motivazioni tra 45 giorni e i gradi successivi di giudizio chiariranno le sue responsabilità.
Il presidente del Tribunale che lo ha condannato è Roberto Spanò colui che da giudice delle indagini preliminari alla fine degli anni ‘90 decide che non c’era neanche bisogno del vaglio dibattimentale. Antonio Di Pietro uomo simbolo della magistratura di allora era puro come un giglio di campo.
Davanti alla richiesta di processarlo l’Associazione Nazionale Magistrati fece un comunicato con cui per la prima volta nella sua storia si schierò con l’indagato. Ovviamente fu anche l’ultima.
Di Pietro che viveva a scrocco degli indagati del suo ufficio tra Mercedes telefonini con bolletta pagata prestiti a babbo morto restituiti dentro scatole di scarpe non si poteva toccare.
Non era processabile per evitare che venisse fuori la farsa della rivoluzione politico giudiziaria, la presunta lotta alla corruzione che c’era anche prima del 1992 ma che le procure in testa Milano facevano finta di non vedere.
De Pasquale si era scontrato con Di Pietro perché questi interveniva sui suoi fascicoli. Un indagato di De Pasquale latitante si consegnò a Di Pietro. De Pasquale ebbe la notizia dalla telefonata di una giornalista. Il capo della procura San Francesco Saverio Borrelli si schierò dalla parte di Tonino da Montenero di Bisaccia. Di Pietro aveva il paese nelle sue mani. Poveri noi, detto ancora oggi per allora. (frank cimini)
Sulle Br i pm intercettano senza l’ok del gip
Pur di arrivare a celebrare il processo alle Brigate Rosse per i fatti del 5 giugno 1975 alla Cascina Spiotta morte di Mara Cagol e del carabiniere Giovanni D’Alfonso i pm di Torino continuano a combinarne di tutti i colori in violazione della procedura. L’imputato Lauro Azzolini è stato intercettato tramite il captatote trojan senza che esista agli atti un decreto specifico di autorizzazione da parte del gip.
Il decreto era necessario perché si parla di un imputato già prosciolto con le indagini a suo carico riaperte con un revoca della sentenza di proscioglimento che non si trova perché scomparsa durante una alluvione. Verdetto revocato senza neanche essere letto.
La conversazione tra Azzolini e la moglie veniva in modo illegittimo utilizzata nell’interrogatorio di Luigi Bialetti sentito come testimone con l’obbligo di dire la verità nonostante in precedenza fosse stato indagato per falsa testimonianza.
Il difensore di Azzolini l’avvocato Davide Steccanella chiede l’espulsione degli atti illegittimi e non utilizzabili dal voluminoso fascicolo processuale. Vediamo cosa deciderà il gup nell’udienza che inizia dopodomani 26 settembre a Torino. Con Azzolini sono imputati Renato Curcio Mario Moretti e Pierluigi Zuffada.
Nessun accertamento è stato fatto per stabilire le modalità con cui fu uccisa Mara Cagol mentre era a terra disarmata ormai arresa.
Ogni sforzo è stato concentrato per individuare il brigatista scappato dopo lo scontro a fuoco che la procura di Torino ritiene di aver individuato in Lauro Azzolini. Questo succede nonostante il Ris dei carabinieri non abbia trovato impronte attribuibili a Azzolini sulla porta della cascina e sul furgone utilizzato dai brigatisti.
Stiamo parlando di una indagine densa di irregolarità atti illegittimi e forzature della procedura ai fini di processare la storia. Nel caso gli inquirenti fossero in buona fede ci sarebbe da chiedere come abbiano fatto a laurearsi e a superare il concorso da magistrati. È più semplice pensare invece a militanti del loro processo che con ogni probabilità fossero stati al posto dei loro predecessori mezzo secolo fa sarebbero riusciti a fare anche di peggio. E questo è tutto dire.
(frank cimini)
Cospito ricorre e insiste per poter avere farina e lievito
“Nel caso tali prodotti fossero veramente pericolosi per l’ordine e la sicurezza interna ed esterna dell’istituto nessun istituto italiano li avrebbe consentiti non solo nel regime ordinario, ma men che meno nel regime del cosiddetto carcere duro cosa che invece è prevista e possibile. Inoltre, previsto e possibile è l’acquisto di tali beni anche nel reparto del 41 bis OP della CC di Bancali – Sassari per altri reclusi ed anche per altro detenuto appartenenti ad altri gruppi di socialità che essendo in possesso di ordinanze ormai definitive sono autorizzate all’acquisto, al possesso e all’utilizzo della farina e del lievito creando così un evidente, pacifico e palese disparità di trattamento”. L’anarchico Alfredo Cospito insiste per poter disporre di farina e lievito nonostante la Cassaziibe recentemente abbia bocciato il ricorso di un altro detenuto in regime di 41bis. L’avvocato Maria Teresa Pintus ha impugnato la decisione del magistrato di sorveglianza di Sassari e resta in attesa della fissazione di un’udienza davanti al Tribunale.
“È evidente che se i rischi paventati dall’Amministrazione, ovvero il fatto che i prodotti possano essere vietati solo ed esclusivamente perché infiammabili – allora non si capisce perché la carta, l’olio, il legno, ecc. non siano proibiti – fossero reali il
Garante Nazionale non avrebbe mai invitato ad introdurre tali generi nel mod. 72 in quanto pericolosi – si legge nel ricorso -
Vi è tra l’altro da chiarire che la capacità infiammatoria della farina è legata solo ed esclusivamente alla polvere creata dalla stessa al momento della sua formazione procedimento chimico che avviene esclusivamente nelle fabbriche e che proprio per tale motivo si è ovviato a livello industriale con degli accorgimenti atti ad impedire qualsiasi tipo di pericolo per i lavoratori”.
È vero che rientra nel potere dell’amministrazione disciplinare le regole della vita detentiva che può pertanto variare da istituto a istituto, è altresì vero che le limitazioni possono essere imposte solo in virtù di motivate esigenze di sicurezza – si conclude nel ricorso – E poiché nel caso in esame le esigenze di sicurezza – se è vero che mai ce ne fossero ovvero dell’infiammabilità della farina – sono state ampiamente confutate da tecnici specializzati ne consegue che il divieto di acquisto imposto al sig. Cospito è oltrechè immotivato illegittimo e come tale deve essere eliminato”.
(frank cimini)
Sharon, arriva la la “zona rossa” di Terno d’Isola
Nella storia dell’infinita emergenza italiana arriva la “zona rossa” di Terno d’Isola in provincia di Bergamo. Non c’entrano stavolta i black block. Chiudono le strade per ragioni investigative, le indagini sull’uccisione di Sharon Verzeni. Si cerca nei tombini ora a un mese dal delitto il coltello, l’arma che secondo il quotidiano che perde più copie in Europa era stata trovata nei giorni immediatamente successivi al fatto. Era una bufala, non la sola in questa inchiesta spettacolarizzata dai media dove ci sarebbe da ridere se non ci fosse da piangere per una ragazza ammazzata a coltellate.
Le strade sono state chiuse per decisione dell’autorità giudiziaria, una procura fin qui assente e silente anche perché senza capo che si insedierà il 9 settembre.
L’idea della chiusura era stata probabilmente sollecitata dai carabinieri ai quali finora l’indagine è completamente delegata. Come si suol dire in questi casi gli inquirenti brancolano nel buio e sentendosi tra l’altro ingiustamente colpevoli per non aver ancora scoperto l’assassino al fine di dimostrare che lavorano adottano iniziative clamorose che colpiscono.
Così si arriva alla zona rossa di Terno d’Isola. Forse ci si poteva pensare prima ai tombini. I cento testimoni ascoltati finora non sono serviti. Compreso il presunto supertestimone che poi si è scoperto essere abbastanza circo e sordo. Dai coltelli sequestrati in giro e mandati al Ris di Parma non è arrivato nulla. E nemmeno dalle tracce sul corpo di Sharon. Intanto era stato preso il Dna offerto volontariamente da una quarantina di residenti. Un altro buco nell’acqua. L’assassino sicuramente non offre il Dna. I paragoni con il caso Yara sono frutto di ignoranza e superficialità. Lì c’era un dato dal quale partite l’ormai famoso Ignoto1. Qui siamo a zero.
Però la zona rossa fa scena, molta scena. Come le convocazioni di testimoni in caserma a favore di telecamere e i sopralluoghi con il fidanzato di Sharon, Sergio Ruocco, formalmente non indagato. Solo formalmente però. In realtà pressato. Lui continua a dirsi tranquillo e a rilasciare interviste in cui formula ipotesi di cui potrebbe anche fare a neno.
(frank cimini)