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Pierangelo Daccò l’abbiamo visto molte volte in questi anni nelle aule milanesi. Sempre più sottile e sofferente. Ha trascorso 4 anni di carcerazione preventiva, davvero un eccesso, al di là della sua colpevolezza o innocenza, per uno strumento che non dovrebbe costituire una condanna anticipata.
Quando il 3 ottobre del 2012 il gup Maria Cristina Mannocci gli inflisse per il crac del San Raffaele 10 anni col rito abbreviato (sarebbero stati 15 in ordinario) era incredulo non solo il suo avvocato ma anche il pm che aveva chiesto 5 anni e mezzo, in pratica la metà. In appello gli venne tolto un anno e si arrivò alla sentenza definitiva a 9 anni di carcere.
Nel frattempo, è successo che alcuni imprenditori coimputati di Daccò che avevano scelto il rito ordinario siano stati assolti per dei reati che, secondo l’accusa, avevano commesso in concorso con l’uomo d’affari amico di Roberto Formigoni e suo compagno delle gite in barca (per la vicenda Maugeri è stato condannato in primo grado a 9 anni e due mesi).
Ora la Cassazione accoglie l’istanza di revisione presentata dai legali Gabriele Vitiello e Massimo Krogh e già respinta nel settembre del 2016 dalla Corte d’Appello di Brescia. “E’ apodittica e alquanto priva di significato – ragionano gli ‘ermellini’ – l’affermazione dei giudici bresciani per i quali la vera ragione della diversità dell’esito dei due processi stava nella diversità del rito col quale erano stati detenuti”. Insomma, qualcosa non torna e la condanna a Daccò è stata quantomeno esagerata, se tanto o poco lo stabiliranno i giudici della Corte d’Appello di Venezia ai quali spetta il nuovo giudizio.
Secondo la Procura di Milano, a partire dal 2005, dalle casse del San Raffaele, fondato da don Luigi Verze’, sarebbero stati distratti circa 47 milioni, cinque dei quali arrivati direttamente a Daccò, accusato, oltre che di concorso in bancarotta, anche di associazione per delinquere finalizzata alla distrazione di fondi, all’appropriazione indebita e alla frode fiscale. Col rito ordinario erano stati assolti Giovanni Luca Zammarchi, Fernando Lora e Carlo Freschi in relazione a presunte sovrafatturazioni a un paio di società.
“Siamo fiduciosi che venga scritta una pagina positiva per la giustizia italiana in una vicenda che ha tante ombre – commenta l’avvocato Vitiello – Daccò ora è domiciliari dal gennaio del 2017 dopo essere entrato in carcere, da incensurato, il 14 febbraio del 2011″. (manuela d’alessandro)
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