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File elettronici, posta certificata, notifiche telematiche: il tribunale di Milano è ufficialmente uno dei più avanzati d’Italia nei processi di evoluzione tecnologica, destinati a garantire a costi minori una efficienza maggiore della macchina giudiziaria. Peccato che poi tutto inciampi sul più arcaico degli ostacoli. Perché le copie delle sentenze civili viaggiano su Internet, ma poi perché valgano davvero qualcosa è necessario che, come al buon tempo antico, vengano stampate su carta, portate a Palazzo di giustizia, e poi – dopo la solita, ciclopica coda davanti alla cancelleria civile, con tanto di ‘numerino’ come alle Poste – vengano firmate e timbrate dal cancelliere. Un controsenso che finisce quasi col neutralizzare gli effetti positivi della campagna di modernizzazione portata avanti in questi anni. Perché non si riesca a rimediare a questo nonsenso è un mistero fatto di burocrazia, risorse, normative, insomma un groviglio quasi inestricabile. Dal punto di vista tecnologico, ovviamente nulla impedirebbe che la copia notificata partisse già dall’ufficio del cancelliere con la firma elettronica certificata dal pubblico ufficiale. Un progetto, in questo senso, per la cosiddetta ‘copia di conformità elettronica’, esiste da tempo ma fatica a decollare davvero. Così si continuano a sprecare: carta, toner per stampanti; tempo degli impiegati e/o collaboratori degli studi legali; tempo dei cancellieri addetti alla stampa e alla firma della copia cartacea. E tutto questo è reso ancora più singolare dal fatto che già oggi agli avvocati viene riconosciuta la facoltà di certificare un atto quando – su citazione, ricorsi e impugnazioni – attestano l’autenticità della firma del loro cliente. E che per far valere la sentenza (ricevuta per mail da un indirizzo di posta elettronica del ministero della Giustizia) debbano arrampicarsi su per gli immensi scaloni del palazzaccio milanese suona davvero come un retaggio del ventesimo secolo. (orsola golgi)