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E adesso chiediamo scusa a un ragazzo di 22 anni che per 5 mesi e mezzo è stato muto e solo in carcere con l’accusa di essere un terrorista. Ci andava solo la mamma a trovarlo, una volta alla settimana. Anche in cella ha continuato a studiare l’italiano, come faceva a Gaggiano prima che l’arrestassero. Cercava un lavoro e andava a scuola per imparare la lingua del Paese dove era arrivato su un barcone gonfio di disperati.
La notizia che conta non è che la Corte d’Appello di Milano ha negato l’estradizione verso la Tunisia di Abdelmajid Touil, il ragazzo marocchino arrestato a maggio su richiesta delle autorità nordafricane perché sospettato di avere partecipato all’attentato al Museo del Bardo. Non poteva fare altrimenti: l’Italia non può estradare neppure il peggiore criminale in uno Stato in cui vige la pena di morte (articolo 24 della Costituzione).
Quello che conta è che gli indizi messi assieme dalla Tunisia erano così labili che oggi la Procura di Milano ha chiesto di archiviare le accuse di terrorismo internazionale e strage nell’indagine ‘italiana’ a suo carico.
Dicevano da Tunisi: una persona l’ha identificato in una fotografia come uno degli autori del massacro. Fin da subito, era stato chiaro che Touil nei giorni della strage si trovava a Gaggiano, proprio alla scuola d’italiano. Sul suo comodino la Digos non aveva trovato neanche un Corano.
E ancora, dicevano: da una scheda sim da lui acquistata sono partite telefonate con alcuni esponenti del clan terrorista accusato della strage. Invece, è bastato ricostruire i ‘movimenti’ della scheda, la tempistica delle chiamate e la data del suo viaggio in Italia per accertare che gli interlocutori venivano chiamati da Touil non nella loro veste di estremisti ma in quella di scafisti.
Cinque mesi e mezzo. Bravi i magistrati Maurizio Romanelli ed Enrico Pavone che hanno sventato un’ingiustizia. Resta la domanda: si poteva arrivarci prima che un ragazzo appassisse solo e muto in una galera per cinque mesi e mezzo? (manuela d’alessandro)