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Martina Levato e il suo bambino stanno bene. Sono così in salute che avrebbero potuto lasciare sin da oggi la clinica Mangiagalli. Non vengono dimessi, fanno sapere dall’ospedale con più fiocchi azzurri e rosa di Milano, solo perché non si sa dove mandarli.
Il provvedimento del Tribunale dei Minori col quale è stato revocato il ‘divieto di abbraccio’ tra madre e figlio col trascorrere delle ore appare sempre più una decisione monca. La Mangiagalli è diventata una sorta di ‘stato cuscinetto’ di cui i due sono cittadini onorari mentre il mondo attorno si azzanna su cosa sia il loro bene e male e i magistrati cercano un’alchimia per fare meno danni possibili.
Se è normale che opinione pubblica, psichiatri ed editorialisti si azzuffino sui dilemmi etici e giuridici sollevati dal caso, lo è molto meno che nelle ultime settimane la giustizia non sia stata capace di garantire una risposta veloce e univoca alla domanda sul futuro di Martina e del neonato.
Pochi giorni prima del parto, il Tribunale del Riesame indicava nell’Icam, la struttura che accoglie madri detenuti con figli piccoli, la soluzione in attesa di una decisione definitiva dei giudici minorili. Poi l’ordine del pm dei minori Annamaria Fiorillo a impedire qualsiasi contatto tra Martina e il bimbo considerata l’assoluta “inadeguatezza” della ragazza nelle vesti di madre. Infine, ieri i giudici hanno demolito la scelta del pm concedendo la possibilità di un incontro al giorno, ma senza allattamento diretto. E’ apparso subito chiaro che quel provvedimento avrebbe avuto un senso solo per poche ore, il tempo delle dimissioni dalla clinica.
Un tempo che ora viene dilatato, fino a quando non si sa. Restano le vecchie mura della Mangiagalli, lembo di terra neutrale, a proteggere una piccola vita abbandonata su una ruota medioevale dalle tremende indecisioni dei grandi. (manuela d’alessandro)