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Entri nell’ufficio di un giudice e lo trovi che sventola il telefonino alla finestra. “Che succede?”. “Succede che il telefonino qui non prende, o prende quando ne ha voglia. Per cercare la rete provo a metterlo fuori”. Via San Barnaba, benvenuti nella nuova casa della giustizia milanese. Dodicimila metri quadri su quattro piani, realizzata a spese e su progetto del Comune: qui sono sbarcate per intero da qualche giorno le sezioni della giustizia civile che si occupano di famiglia e lavoro, sia per il tribunale che per la corte d’appello. Tutto bello, tutto lucido, con un’aria vagamente da aeroporto elegante (non una Malpensa, eh).
Eppure, girando negli uffici dei magistrati, si vedono mugugni che mal si addicono a chi ha messo da poco piede in una casa nuova di zecca.
“Non sente che freddo? Ho la punta del naso gelata che manco in un rifugio…Sto venendo in ufficio con la sciarpa di lana”, si lamenta un altro magistrato. Il fatto è che l’aria condizionata , dio solo sa quanto benedetta in questi giorni demoniaci, qui è a temperature polari e, soprattutto, non si può spegnere. Vi piaccia o meno, quello è il clima che vi dovete sorbire.
Poi c’è la questione delle luci. Sempre accese, dalla mattina alla sera, non c’è un interruttore per spegnerle. Solo a sera cala il buio. Che, in giornate estive, non è proprio il massimo, né a livello estetico né energetico.
Siamo nel corridoio, guardiamo il cellulare. Prende a singhiozzo, per lunghi tratti non è possibile telefonare, mandare messaggi, usare internet. Com’è stato possibile non accorgersene prima di aprire gli uffici? I lavori sono cominciati nel 2009 e si sono conclusi con qualche anno di ritardo (la fine era prevista nel 2011).
“La verità è che non è stato neanche fatto un collaudo prima di farci entrare”, protesta un giudice che si accorda con una collega per spedire quanto prima una lettera di protesta a chi ha trascurato questi letali dettagli. (manuela d’alessandro)
Nella foto la sala server del nuovo edificio cui parlammo qui