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Nulla di sorprendente, in epoca di “giustizialismo” sfrenato e di populismi demaogici d’accatto (urlare in TV che “i ladri devono andare in galera” e che “gli stupratori meritano che si butti via la chiave” se non il taglio del pene, è opera tanto banale quanto assai pagante in termini di facile consenso), che l’ultima grande crociata dei tifosi delle Procure e degli “erotizzati dalle manette” sia l’assalto alla diligenza della prescrizione, fatta ormai mediaticamente passare come il grande salvacondotto delle tante nefandezze nostrane. E così non passa giorno che qualche tribuno, anche autorevole, non accompagni alla applaudita invettiva di rito anche accorate richieste di eliminazione per “evitare che i delinquenti continuino a farla franca grazie ai cavilli legali di qualche avvocato” e ovviamente, e giustificatamente, di fronte a siffatto tam tam, i non addetti se la bevono, ed ingrossano vieppiù le fila della messa cantata.
Forse non tutti sanno che… titolava anni fa una fortunata rubrica di “La settimana enigmistica” e allora forse sarà bene spiegare a chi non lo sa in cosa realmente consista questa causa di estinzione prevista dal nostro Codice Penale (si badi non di procedura, il che significa che è norma sostanziale, e non di rito) del 1930, all’art. 157. Il principio, di vetusta e onusta tradizione di qualsiasi civiltà giuridica che si rispetti, stabilisce che per mantenere sulla micidiale graticola di un processo penale (solo chi ci è passato può capire quale pena sia essere imputati e doversi difendere in termini di tempi, costi, sofferenze, perdite di relazioni sociali o di opportunità lavorative, irreparabile lesione della reputazione) lo Stato dispone di un tempo predeterminato, oltre al quale non può andare. Il che significa semplicemente che allo Stato non è concesso di procrastinare all’infinito la notevole potestà autoritativa di cui dispone, ossia quella di dichiarare se un cittadino ha davvero commesso o meno il reato che un bel giorno ha deciso di contestargli e stabilire l’entità della punizione effettiva che ciò gli comporterà in termini di privazione della libertà personale. Fin qui, mi immagino, nessuno, neppure tra i più aficionados alla parola condanna troverà nulla da obiettare. Il punto, viene detto, è che quel tempo entro il quale lo Stato deve decidere della vita dei cittadini è troppo breve, mentre i processi sono troppo lunghi e quindi, di fatto, l’attuale prescrizione garantirebbe una inaccettabile quanto diffusa impunità.
Bene, questo tempo troppo breve lo sapete di quanto è ? E’ pari come minimo a 6 anni dal giorno della commissione del reato, nel senso che si applica a tutti quei delitti meno gravi puniti o con sola pena pecuniaria o comunque con pena massima non superiore a 6, il che significa che se un delitto prevede un massimo di pena di 7 anni la prescrizione minima sarà di 7 anni, se 8 sarà di 8 e via discorrendo, fino a quelli puniti con l’ergastolo che, come noto, non si prescrivono mai. Ma anche quel minimo di 6 anni (o di 7 o di 8 o di 9) è a sua volta relativo, nel senso che è sufficiente che il PM compia entro quei 6 anni uno solo di quegli atti concessigli dal codice di rito, tipo anche semplicemente convocare l’indagato per un interrogatorio per chiedergli “non è che alle volte è stato Lei a fare quello per cui La sto indagando da mesi senza dirglielo”?
Perchè quel termine minimo venga interrotto e possa quindi ricominciare la sua conta fino ad un quarto del tempo previsto se non ci fosse stata la interruzione, ragion per cui i 6 anni di minimo diventano agevolmente 7 anni e 6 mesi, i 10 diventeranno 12 e sei mesi e via discorrendo, in alcuni casi superando persino i 20 anni dal compimento del fatto. Quindi, per fare meglio capire, per comminare ad un cittadino una lieve condanna, e magari a sola pena pecuniaria, lo Stato ha tempo 7 anni e 6 mesi !!!
Sette anni e 6 mesi sono pochi ? Significa un arco temporale superiore al settennato di un Presidente della Repubblica, quasi pari a due mondiali di calcio, significa, rispetto alla data in cui sto scrivendo sentenziare oggi per un reato non grave commesso nell’agosto del 2007 !!! Manco ci ricordiamo forse cosa stavamo facendo l’11 agosto del 2007, di certo eravamo tutti più giovani, in molti nel frattempo sono nati e sono morti ed io imputato ero ancora in attesa oggi di sapere se ero colpevole o innocente per un qualcosa fatto allora… Questa è la prescrizione minima.
Troppo poco restare sotto processo, magari innocenti, per tutto questo tempo ? A ciò si aggiunga che non vale neppure l’obiezione dei cavilli legali degli azzeccagarbugli prezzolati (che talvolta siano magari i magistrati a prendersela comoda non è ipotesi che i “plaudatores” della legalità mettano neppure in considerazione), giacchè è previsto espressamente che, in caso di rinvio dell’ udienza perché il difensore è impegnato a lavorare in altro luogo (non certo per andare alle giostre) venga “congelato” il termine di decorrenza, e le lancette dell’orologio ricomincino dunque a girare solo quando la udienza rinviata effettivamente si terrà, il che significa che quell’intervallo di rinvio non si computa, e che quindi anche quel termine minimo di 7 anni e 6 mesi si allunga.
Siamo così sicuri allora che la prescrizione sia la piaga del nostro diritto penale e che vada o abolita o estesa a dismisura, magari consentendo che venga pronunciata una sentenza di colpevolezza fra 20 anni per una appropriazione indebita fatta ancora in lire ? Non mi si obietti che si potrebbe “chiudere” il computo della prescrizione dopo la condanna di primo grado perché questo significherebbe annichilire il doppio grado di giudizio ritenendo necessariamente valido il primo verdetto, il che non è. Abbiamo una casistica impressionante di sentenze di primo grado, anche illustri, radicalmente riformate in appello, e viceversa (pensate al caso Stasi) e allora ? Facciamo dipendere il destino comune di tutti dalla mera sorte e quindi a seconda che ti tocchi il primo giudice favorevole e allora ti andrà bene anche se poi in appello trovi il secondo giudice contrario, o che ti tocchi invece quello più favorevole solo in secondo grado ?
E’ appena il caso di “tranquillizzare” chi non frequenta i Tribunali che poi il problema non si pone più con il grado ultimo della Cassazione che da anni dichiara illegittimi perché manifestamente infondati tutti quei ricorsi che han maturato la prescrizione nelle more tra il secondo ed il terzo giudizio, per così retrocedere al grado precedente non prescritto il calcolo ex art. 157 Cp, e così lasciare intatta e valida la condanna. La tanto vituperata prescrizione, insomma, mi pare che così come attualmente strutturata non garantisca nessuna diffusa impunità e resti un minimale baluardo per evitare di essere ostaggio a vita della infernale (per chi la subisce) macchina giudiziaria dello Stato. Se invece il principio che si vuole far passare è quello che chi ha sbagliato non deve comunque farla franca neppure dopo 100 anni, allora è inutile discutere, basta non utilizzare strumentalmente certi esiti di certi processi mediatici in cui si scopre solo alla fine che era stato il pm ad iniziare un processo già prescritto ad origine. (avvocato Davide Steccanella)
abate di theleme ha scritto:
L’Italia sembra aver perso ogni nozione basilare di campi del sapere umano di cui, paradossalmente, è stata pioniera e colonna portante.
Il diritto, ad esempio. La lista quotidiana di castronerie è infinita.
E dietro di esse pare far spesso capolino la malafede.
Prendiamo appunto il caso della prescrizione, ben delineata dal testo superiore.
Problema: potenziali colpevoli restano impuniti perché la durata dei processi eccede la prescrizione, estinguendosi.
Soluzione: rendere i processi più rapidi, evitando tale infausta (ed eccezionale, almeno nei nobili intendimenti degli storici legislatori) occorrenza.
Questo è ragionare in termini di diritto (e di logica, che del diritto è madre e figlia).
Invece no! Gli stessi operatori del diritto invocano invece l’allungamento dei termini della prescrizione… dimenticandosi tutto quello che hanno in teoria studiato per conseguire la posizione (statale) che detengono.
Si “dimenticano” insomma che l’istituto antichissimo della prescrizione trova fondamento nella considerazione basilare che l’applicazione della norma non è la realizzazione della giustizia divina, bensì la soddisfazione di un’esigenza tutta umana come evitare la ragion fattasi e consentire lo svolgimento delle attività quotidiane in un clima di ragionevole sicurezza. Quella che viene appunto definita ‘verità processuale’.
La perfetta giustizia di una sentenza, ammesso e non concesso la ricerca di questa sia ragione dei tempi biblici del processo italiano, non ne compensa per nulla l’eccessivo ritardo.
La collettività non ne trae alcun beneficio, solo ed esclusivamente danni. Costi, disperazione dei potenziali inquisiti innocenti, incertezza del diritto, approfittamento dei rei: basta insomma leggere un testo universitario del primo anno per ridicolizzare affermazioni e pretese di noti magistrati, probabilmente anche ermellini.
Ciò dovrebbe dirci tanto della patente insostenibilità
del sistema attualmente vigente nel paese, qualificabile come oligarchia demeritocratica. E dell’inutilità di tutto un contorno di giurisperiti ed organi di stampa che non sanno, o non osano, esprimersi decorosamente in merito, lasciando il cittadino, teoricamente e costituzionalmente sovrano, nella condizione dell’ultimo dei servi della gleba.