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Un po’ pasticcione, ma l’audacia non gli manca mai. Per questo è il numero uno. Da avvocato o da imputato, poco cambia, Carlo Taormina mena sempre colpi micidiali. Qualche volta per se stesso. E’ Tao Scatenato.
Vi avevamo raccontato qui della sua recente condanna a dieci mesi. Tutto per un legittimo impedimento non esattamente legittimo, corredato da un piccolo falso. La storia è ancora meglio di quanto credessimo. Perché leggendo le motivazioni della sentenza, si scopre che il Taormina ha combinato tutto da solo: tenta un trucchetto, si accanisce contro un giudice e si smaschera da solo. E così rimedia la condanna.
L’8 maggio 2009 invia un fax al Gup di Milano Giorgio Barbuto con un’istanza di legittimo impedimento. Chiede il rinvio dell’udienza del 15 maggio, in cui sarà imputato per diffamazione ai danni dell’ex procuratore di Aosta Maria Del Savio (le loro strade si erano incrociate nell’inchiesta sul delitto di Cogne). Avvisa che gli sarà impossibile essere in udienza dovendo quello stesso giorno difendere, come unico difensore, un imputato per droga in Sardegna. E allega la citazione della Corte d’Appello di Cagliari.
Il 13 maggio Taormina “trasmetteva segnalazione al Presidente del Tribunale di Milano e al Presidente dell’Ufficio Gip nella quale evidenziava che il suo difensore – nel corso di un colloquio del 12 maggio – aveva percepito che il magistrato, che si era riservato di decidere in udienza, avrebbe potuto non ritenere valido l’impedimento addotto”. Il Tao-legale-imputato lamentava, si legge nelle motivazioni, “la particolare attenzione al processo che lo riguardava da parte del Gip e una ‘solerzia’ così accentuata da parte del magistrato che se avesse riguardato tutti i processi di Milano avrebbe consentito ‘l’eliminazione di ogni più pesante arretrato’”. Insomma Taormina calca la mano sul povero Gip Barbuto. Passa all’attacco: “l’atteggiamento del dott. Barbuto si configurerebbe in caso di celebrazione dell’udienza, illegittimo e inopportuno in quanto per un verso pregiudizievole per l’esercizio del diritto di difesa e per un altro non adeguato alla trattazione di una constroversia penale di non eccessivo rilievo, se non fosse che controparte del sottoscritto siano due magistrati”. Altra bordata. (Saggio è chi evita di attaccare un giudice per la sua solerzia nel celebrare un processo con altri magistrati in veste di parte civile). Ai due presidenti, allega di nuovo la citazione. Solo che questa volta compare un nome che invece non compariva in quella spedita al giudice Barbuto. Compare un codifensore di Taormina nel processo sardo. Mannaggia. E che è successo? Per il Tribunale di Milano, è successo che dell’originale era stata fatta una prima fotocopia oscurando il nome del codifensore. Mentre ai due presidenti era arrivato per fax l’originale. Fatto il confronto, svelato l’inganno.
Taormina si difende, dice di aver dettato telefonicamente “essendo fuori sede, il testo dell’istanza di rinvio trasmessa al Gip a una delle persone che all’epoca lavoravano al suo studio”. Ma non è in grado di dire chi fosse quel collaboratore, il quale avrebbe a suo dire “inopinatamente e senza alcuna sua direttiva cancellato dalla citazione allegata il nome del secondo difensore”.
Conclusioni: “L’assunto difensivo dell’imputato non è per nulla credibile perché illogico e contraddittorio”, scrive ora il giudice Vincenzina Greco, che non concede a Taormina neppure le attenuanti generiche, affibbiandogli dieci mesi per due reati contro i 5 proposti dall’accusa per uno solo dei due capi di imputazione. Quel fax, scrive il giudice Greco, “era pienamente idoneo a trarre in inganno i terzi in buona fede”. Alla Del Savio, parte civile anche in questo nuovo procedimento? Cinquemila euro, per lo stress causato. L’udienza è tolta. Tao, noi ti vogliamo bene: basta così, in appello non fare scemenze.
Ecco qui la sentenza: motivazioni condanna taormina