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Che a due settimane dall’uccisione di Sharon Verzeni gli inquirenti non avessero nulla in mano lo si era capito. Adesso la conferma arriva da una sorta di mossa della disperazione, quella di prendere il Dna a tutti i residenti della via del delitto e delle strade limitrofe. Ovviamente chi fornisce il Dna lo fa su base assolutamente volontaria e ciò avviene perché le persone pensano comunque di dare un contributo a scoprire l’assassino.
Ma si tratta di una gravissima violazione dei diritti dei cittadini intesi come collettività. Il paragone con il caso Yara non regge perché in quel caso si partiva da un Dna sia pure parziale di tipo familiare acquisito in una discoteca. A Terno invece si parte senza avere in mano nulla. Si agisce su persone la cui unica caratteristica è quella di abitare in zona.
Innanzitutto bisogna anche semplicisticamente osservare che l’assassino il proprio Dna non lo fornisce a chi indaga. E quindi a che cosa serve l’iniziativa? È possibile fidarsi della catena di custodia di questi dati che poi dovrebbero essere distrutti? E chi garantisce sulla effettiva sorte di questi Dna?
Il feroce delitto di cui è stata vittima Sharon Verzeni la forte impressione che ha suscitato non può giustificare in uno stato di diritto l’operazione di prendere il Dna a persone sospettabili di nulla.
Il cittadino medio da’ la sua collaborazione senza rendersi conto della delicatezza del problema. Il cittadino medio non solo in Italia è sostanzialmente forcaiolo fino a quando non finisce direttamente o indirettamente attraverso familiari e amici nei meccanismi giudiziari.
Diciamo che nell’inchiesta sull’uccisione di Sharon non c’è prudenza. Del resto parliamo di una procura titolare delle indagini dove il capo designato si insedierà solo a settembre. Il magistrato facente funzione di capo è in ferie. Come si è arrivati alla decisione relativa al Dna a strascico ancora prima di avere dal Ris di Parma dei carabinieri risultati poi da approfondire? Sono domande legittime. Ma va anche detto che nonostante la pressione di opinione pubblica e media chi indaga non può e non deve sentirsi colpevole di non aver scoperto l’assassino in soli quindici giorni. Nelle indagini tutto quello che poteva essere fatto è stato fatto. Non c’è stata inerzia. Anzi.
(frank cimini)