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Il consiglio dei ministri ha approvato il decreto legislativo che recepisce la direttiva Ue 343/2016 sulla presunzione d’innocenza e che aveva già ricevuto il parere positivo delle commissioni Giustizia di Camera e Senato e del CSM (con la sola opposizione dei consiglieri Nino Di Matteo e Sebastiano Ardita).
Molto critico Il Fatto Quotidiano che ne dà notizia sotto la voce “Giustizia e impunità”, e parla di “bavaglio a PM e forze dell’ordine”.
Sotto accusa l’articolo 3 che prevede che: “Il procuratore della Repubblica mantiene personalmente i rapporti con gli organi di informazione esclusivamente tramite comunicati ufficiali oppure, nei casi di particolare rilevanza pubblica dei fatti, tramite conferenze stampa“, e più in generale, laddove si stabilisce che: “la diffusione di informazioni sui procedimenti penali è consentita solo quando è strettamente necessaria per la prosecuzione delle indagini o ricorrono altre rilevanti ragioni di interesse pubblico” e che tali informazioni debbano essere fornite: “in modo da chiarire la fase in cui il procedimento pende e da assicurare, in ogni caso, il diritto della persona sottoposta a indagini e dell’imputato a non essere indicati come colpevoli fino a quando la colpevolezza non è stata accertata“.
Viene anche criticata l’aggiunta, rispetto alla bozza di agosto, in base alla quale: “è fatto divieto di assegnare ai procedimenti pendenti denominazioni lesive della presunzione di innocenza” nonché la previsione di cui all’articolo 2 che fa divieto “alle autorità pubbliche di indicare pubblicamente come colpevole la persona sottoposta a indagini o l’imputato fino a quando la colpevolezza non è stata accertata con sentenza o decreto penale di condanna irrevocabili”.
Si stigmatizza il fatto che eventuali violazioni comportino “l’obbligo di rettifica della dichiarazione resa con le medesime modalità” su richiesta dell’interessato, pena, in caso contrario, sanzioni disciplinari e diritto al risarcimento del danno e facoltà di rivolgersi al giudice civile per ottenere la pubblicazione con provvedimento d’urgenza.
Sotto accusa anche il nuovo articolo 115-bis che stabilisce che: “Nei provvedimenti diversi da quelli volti alla decisione in merito alla responsabilità penale dell’imputato la persona sottoposta a indagini o l’imputato non possono essere indicati come colpevoli fino a quando la colpevolezza non è stata accertata”, e che: “nei provvedimenti che presuppongono la valutazione di prove, elementi di prova o indizi di colpevolezza l’autorità giudiziaria limita i riferimenti alla colpevolezza della persona sottoposta alle indagini o dell’imputato alle sole indicazioni necessarie a soddisfare i presupposti, i requisiti e le altre condizioni richieste dalla legge per l’adozione del provvedimento”.
Parrebbero semplici accortezze per contrastare un diffuso malvezzo imperante da anni in Italia, dove è sufficiente un avviso di garanzia per finire nel tritacarne mediatico come colpevoli acclarati e ci si è abituati a leggere provvedimenti giudiziari cautelari, e quindi per definizione di natura provvisoria, che abusano di aggettivazioni quali “spregiudicato”, “incallito” et similia all’indomani di ogni arresto.
Peraltro, come si ama sempre dire quando si tratta di imporre pesanti sacrifici economici a chi fatica ad arrivare a fine mese, “ce lo chiede l’Europa”, per cui non si capisce quale sarebbe “l’impunità” cui fa riferimento il Fatto, né si ritiene che Forze dell’ordine e ogni singolo PM di qualsiasi procura italiana debbano necessariamente intrattenere continui interscambi con i giornalisti fuori dalla loro porta, mentre sono impegnati in indagini delicate.
Si è molto criticato un noto PM milanese che dopo essere andato in pensione ha recentemente dato alle stampe un’autobiografia, però quel PM, che pure è stato impegnato per anni in indagini di notevole risonanza mediatica, si era sempre ben guardato dall’utilizzare la stampa come cassa di risonanza alle proprie indagini.
In un paese civile, gli inquirenti lavorano nel silenzio e parlano con gli atti giudiziari e per avere conferma della bontà dei risultati raggiunti si rivolgono al giudice e non ai giornalisti.
Leggere ogni volta “sgominata la banda di killer” o “acciuffato il pedofilo seriale” prima ancora che un Tribunale abbia stabilito se l’accusa è fondata o meno, al termine di un processo che prevede regole ben precise per garantire il contraddittorio tra chi accusa e chi si difende, non fa bene alla crescita cultura di un Paese.
Molti anni fa, quando esplose il “caso Tortora” Enzo Biagi scrisse un articolo dal titolo “E se fosse innocente?”, Tortora lo era allora, perché in quel momento era solo accusato, e lo sarà quando verrà giudicato, eppure anche il bravo giornalista si sentì in dovere di usare la formula dubitativa, perché quello era il “clima”.
Oggi, con la diffusione via internet di ogni notizia che diventa immediatamente “virale” la situazione è ancora più grave, e abituare i lettori a ritenere che ogni accusato sia un colpevole e che ogni assolto l’abbia solo fatta franca, ci fa solo diventare tutti più beceri e vendicativi, perché frustrati da tutto quello che non va.
Forse lo siamo già diventati, ma mi meraviglia leggere che c’è chi vorrebbe che lo restassimo per sempre.
Avvocato Davide Steccanella