Il prossimo 19 marzo la Cassazione dovrà decidere sul ricorso di Alfredo Cospito per ottenere la revoca del 41bis impugnando la decisione del Tribunale di Sorveglianza di Roma che lo aveva confermato e la scelta del ministro Carlo Nordio di non rispondere all’istanza della difesa
Nel ricorso l’avvocato Flavio Rossi Albertini evidenzia che in una vicenda caratterizzata da un profondo ostruzionismo governativo di natura politica attribuire la decisione al ministro che fa parte del governo crea il rischio molto concreto che la scelta sia influenzata da considerazioni che esulano dall’aspetto giuridico in relazione in particolare alla capacità del detenuto di orientare le condotte criminali dei sodali all’esterno.
Il legale avverte il rischio che vengano strumentalizzate a fini politici vicende individuali che dovrebbero essere oggetto di valutazioni strettamente giuridiche sulla sussistenza dei presupposti applicativi del regime differenziato.
Nel ricorso si ricorda che il Tribunale di Sorveglianza non aveva tenuto in considerazione il parere contrario alla proroga del 41bis da parte della Direzione nazionale antiterrorismo a favore di scegliere il regime di alta sorveglianza mantenendo la censura sulla posta.
La pericolosità di Cospito sarebbe diminuita secondo l’organo che si occupa di fronteggiare il fenomeno. Una tesi sposata dalla difesa ma che a ottobre scorso davanti al Tribunale di Sorveglianza era stata rigettata.
Cospito sarebbe compatibile con un circuito di detenzione ordinario senza i rigori del 41bis. Purtroppo da parte dei giudici chiamati a decidere c’è la convinzione espressamente esplicitata che con il lungo sciopero della fame dell’anno scorso Cospito avrebbe aumentato il suo carisma e di conseguenza la sua pericolosità.
(frank cimini)
Articoli del mese: febbraio 2024
Torino, processo su una canzone per Alfredo Cospito
“Perché registravano e diffondevano anche attraverso il canale You Tube una canzone dal titolo Genova era in fiore nel corso della quale facevano apologia dell’attentato terroristico commesso in danno di Roberto Adinolfiamministratore di Ansaldo Nucleare per il quale Cospito Alfredo e Gai Nicola sono stati condannati in via definitiva”. C’è anche questo nel capo di imputazione a conclusione delle indagini condotte dal pm Paolo Scafi su una serie di manifestazioni in solidarietà con Cospito.
C’è pure un volantino distribuito durante la celebrazione della messa nella chiesa Gran Madre di Dio. “Portiamo la nostra solidarietà a chi è rinchiuso e a chi lotta dentro e fuori le carceri, libertà per tutti e tutte contro la tortura”.
Imbrattamenti, lesioni personali nel corso di una manifestazione, apologia di reato e istigazione a delinquere contestati a 17 indagati. Sotto accusa c’è non solo a Torino ma anche in altre città la solidarietà per Alfredo Cospito protagonista di un lunghissimo sciopero della fame tuttora ristretto in regime di 41bis nel carcere di Sassari Bancali. Lo sciopero della fame secondo gli inquirenti e il Tribunale di Sorvegkianza di Roma, unica autorità a decidere in Italia sui reclami contro il 41bis ha reso l’anarchico ancora più pericoloso perché ha aumentato il suo carisma.
E a pagarne le conseguenze sono gli anarchici e gli antagonisti che protestano contro il carcere duro. Il volantino di solidarietà e il tentativo di esibire uno striscione fermato da un fedele durante la messa diventano prova di sovversione. Lo stesso discorso vale per l’imbrattamebto dei muri dell’immobile della sede Rai e dell’opera in ferro denominata “Sinfonia”, tirando palloncini colorati e secchi di vernice.
Per tutto questo sarà celebrato un processo perché Digos e investigatori antiterrorismo in divisa e in toga sono da tempo disoccupati per mancanza di una materia prima adeguata. Insomma Cospito, nemico pubblico numero uno, con annessi e connessi è una formidabile occasione di lavoro per chi evidentemente rimpiange di non esserci stato negli anni 70 a reprimere un fenomeno storico.
(frank cimini)
Salis, governo per un anno complice ora vanta “meriti”
I giudici ungheresi hanno anticipato dal 24 maggio al 28 marzo la ripresa del processo a Ilaria Salis che intanto ha comunicato all’ambasciatore italiano il miglioramento delle condizioni di detenzione. Esumta il ministro degli Esteri Antonio Tajani, mentre quello della giustizia Carlo Nordio accusa i familiari della ragazza e gli avvocati di aver perso un anno di tempo avendo deciso solo ora di presentare l’istanza di arresti domiciliari a Budapest.
Insomma il governo di Roma dopo aver fatto nulla per un anno, a conoscenza per forza di cose dall’ambasciata che Ilaria Salis veniva trascinata in tribunale incatenata a mani e piedi, col guinzaglio adesso si prende tutti i meriti di una situazione che starebbe per evolvere in positivo.
Il condizionale è più che mai d’obbligo perché di concreto non c’è stato ancora niente. E la strada per chiedere i domiciliari a Budapest resta tutta in salita: bisogna versare una cauzione di 51 mila euro, trovare una casa in città che risponda a determinate esigenze di sicurezza.
Tajani sottolinea che il miglioramento delle condizioni della reclusa “è stato ottenuto lavorando con discrezione e senza polemiche. Abbiamo sollecitato un processo equo e rapido tutelando i diritti della detenuta”.
Debora Serracchiani del Pd polemizza con il ministro della Giustizia: “Il conferenziere Nordio non solo è rimasto muto e fermo per un anno ma adesso oltre al danno aggiunge le beffe attribuendo la responsabilità della detenzione di Ilaria Salis ai suoi familiari. Spero che ne sia consapevole altrimenti saremmo di fronte a un caso di cinismo senza precedenti. Siamo al paradosso anche con i vanti di Tajani ma questa è l’Italia della premier Meloni”.
Intanto bisognerà vedere gli sviluppi del caso di Gabriele Marchesi e aspettare la risposta dei giudici di Budapest ai colleghi di Milano che hanno chiesto se è possibile sostituire il mandato di cattura europeo con gli arresti domiciliari in Italia. Difficilmente accetteranno tale eventualità per non creare contraddizioni con il caso Salis. Insomma almeno per adesso c’è poco da essere ottimisti.
(frank cimini)
Pm contro pm. Non c’è pace in procura a Milano
Non c’è pace per la procura di Milano dove va in scena l’ennesima puntata della saga “pm contro pm”. Il sostituto procuratore Rosaria Stagnaro ha chiesto di lasciare l’indagine sul caso di Alessia Pifferi la mamma che lasciò morire di fame di sete la sua bambina a causa delle presunte gravi scorrettezze subite dal collega Francesco De Tommasi che a sua insaputa aveva messo sotto intercettazione le psicologhe del carcere di San Vittore indagate per falso e favoreggiamento. Indagata anche l’avvocato Alessia Pontenani difensore di Pifferi. Avrebbero tutte favorito una perizia psichiatrica “addomesticata”, ma su questo ci sono un sacco di polemiche.
Tocca al procuratore capo Marcello Viola decidere sulla richiesta presentata dal pm Stagnaro in una vicenda intricata destinata a lasciare il segno come già accaduto nel recente passato. Il problema è che i pm litigano tra loro, se ne dicono di tutti i colori per poi restare tutti insieme appassionatamente nello stesso ufficio.
E’ accaduto per Paolo Storari e Fabio De Pasquale nell’ambito del processo Eni-Nigeria che si erano confrontati duramente anche nell’aula del Tribunale di Brescia dove il procuratore aggiunto è sotto processo per non aver messo a disposizione delle difese una serie di atti importanti.
Storari aveva lamentato l’immediata mancata iscrizione tra gli indagati dell’avvocato Piero Amara e delle persone chiamate in causa in relazione alla famosa loggia Ungheria. De Pasquale avrebbe tergiversato per “tutelare” Amara considerato il testimone chiave dell’accusa nel caso Eni poi finito con l’assoluzione di tutti gli imputati.
Storari e De Pasquale fanno ancora parte della stessa procura. Il Consiglio Superiore della Magistratura non è mai intervenuto con l’alibi dei processi penali in corso.
In questi anni di guerre interne alla procura l’unico a essere stato fatto fuori in quattro e quattr’otto fu il procuratore aggiunto Alfredo Robledo ma lì c’era da salvare la patria, vale a dire Expo 2015. Robledo voleva indagare, l’allora capo della procura Edmondo Bruti Liberati avrebbe fermato gli accertamenti dopo i primi arresti.
Matteo Renzi da presidente del consiglio ringraziò due volte la procura di Milano “per il senso di responsabilità istituzionale dimostrato”. Furono parole molto significative su quanto accaduto. Fondi e appalti assegnati senza gare pubbliche scegliendo “aziende in rapporti di consuetudine con la pubblica amministrazione”. Una indagine aperta in relazione alle presunte omissioni fece il giro d’Italia delle procure per poi essere archiviata a Trento senza iscrivere tra gli indagati alcun magistrato.
Via il dente via il dolore. Robledo fu trasferito a fare il giudice a Torino. Allora il Csm ritenne di intervenire. Nella vicenda ebbe il suo peso il presidente Giorgio Napolitano che ricordò come prioritarie le prerogative dei capi delle procure. Da allora per evitare contrasti il Csm quando deve nominare i procuratori aggiunti rinuncia ai suoi poteri delegando di fatto la scelta ai capi degli uffici inquirenti. E vissero tutti felici e contenti.
(frank cimini)