L’inchiesta sulle commesse di Anas della Procura di Roma che coinvolge anche Tommaso Verdini è l’occasione per riflettere su cosa potrebbe accadere se in un caso come questo fosse in vigore la norma che vieta la pubblicazione delle ordinanze di custodia cautelare.
La legge Cartabia impone che a dare la notizia degli arresti potrebbe essere solo il procuratore capo o la forza di polizia che ha operato da lui delegata e comunque solo e soltanto entro i limiti da lui stabiliti. Altre fonti che dovessero spingersi a spiegare qualche dettaglio ai giornalisti, cosa che – è bene essere onesti – spesso accade soprattutto nelle procure più grandi -, le metterebbe a rischio di un procedimento disciplinare con possibili effetti sulla carriera. C’è più democrazia quando una sola fonte, per di più parte inquirente o investigativa, decide cos’è una notizia e come diffonderla o lo decidono più fonti? In ogni caso la divulgazione degli arresti o altro avverrebbe, sempre sulla base dei limiti stabiliti dall’ex ministra della Giustizia, solo se il capo della Procura, col suo monopolio di per sé già discutibile, considerasse rilevante e di interesse pubblico la vicenda.
Qui non parrebbero esserci dubbi che lo sia trattandosi di Anas e di una storia che lambisce la politica, il che garantirebbe almeno un comunicato, non è detto pure una conferenza stampa. Ci sono stati casi di un certo clamore per i quali i procuratori non hanno ritenuto opportuno un confronto coi giornalisti, si pensi all’inchiesta sull’omicidio di Giulia Cecchettin, che pure ha smosso le piazze di tutta Italia, è entrata nelle scuole, nei palazzi della politica e in tutte le case, ma durante la quale la Procura di Venezia, a parte qualche informazione iniziale, ha mantenuto un riserbo assoluto.
Immaginiamo però che nel caso Verdini il procuratore sia di manica larga: comunicato, conferenza stampa e poi anche una spiegazione dell’ordinanza. Restiamo al nostro caso Anas, un contesto complesso in cui vengono ipotizzati appalti, episodi di turbativa d’asta, di corruzione, in uno scenario molto ‘italiano’ in cui agiscono esponenti politici, vertici di società di Stato, funzionari di alto livello, “marescialli che presidiano il fortino”, espressione presa in prestito dalle intercettazioni. Un mondo molto variegato.
E’ immaginabile rendere un buon servizio all’informazione e delineare con precisione il ruolo di arrestati-indagati-né arrestati, né indagati senza esercitare il rigore e la precisione che solo l’apri e chiudi virgolette di un testo possono garantire?. Il tema riguarda, ribadiamolo perché questo è centrale, sia la completezza e l’equilibrio nell’esercizio del diritto di cronaca sia la tutela delle persone coinvolte. Senza un testo di riferimento, i media potrebbero offrire al lettore o all’ascoltatore una parafrasi dell’ordinanza di parte senza che ci sia un riscontro oggettivo qual è quello di un testo messo a disposizione di tutti.
Conosciamo l’obiezione: i giornalisti danno comunque una lettura di parte, si soffermano solo sul gossip, evidenziano episodi che nulla hanno a che vedere col reato, rovinano la vita di innocenti. Ma questo non dipende in alcun modo dalla legge bensì da una scarsa onestà intellettuale, da una conoscenza approssimativa di come vada raccontata la cronaca giudiziaria in linea anche con la Costituzione, da quanto di ‘decorativo’ se non di cattivo gusto viene inserito dai magistrati, vedi le ‘classiche’ conversazioni sulle infedeltà di coppia, da prassi poco edificanti. Un esempio: ho lavorato molti anni per l’agenzia di stampa Reuters, una delle più autorevoli del globo. Nel momento in cui si scopre che una persona è indagata l’obbiettivo non è ‘bruciare’ gli altri e scrivere il nome il prima possibile ma contattare al volo un suo legale per il diritto di replica. Altrimenti la breaking news non viene diffusa.
In ogni caso, un modo per riparare ai danni provocati da una cattiva cronaca giudiziaria, senza attenzione per la presunzione d’innocenza come purtroppo spesso accade e per la diversità di ruoli che hanno le persone citate, come in questo caso il sottosegretario leghiste Freni che non è indagato, il che ovviamente non lo sottrae a un giudizio ‘politico’ da parte del cittadino, resterebbe proprio quello di avere un testo in mano. Così come per controllare se la magistratura non abbia disposto provvedimenti di limitazione della libertà arbitrari o fumosi, un’evenienza non così rara.
La conoscenza e la divulgazione dell’ordinanza di custodia cautelare in un Paese dove i cronisti giudiziari e i magistrati esercitassero alla perfezione la loro professione non servirebbe. In Italia spesso è un’ancora di libertà e democrazia a cui attaccarsi per non affondare, perlomeno in attesa di una stampa e di una giustizia migliori. (manuela d’alessandro)