giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

Cospito, giudici: in 41 bis divieto leggere stampa locale

Il Tribunale di Torino rigettando il reclamo della difesa ha confermato per L’anarchico Alfredo Cospito il divieto di leggere i giornali dell’area di provenienza perché questo potrebbe aiutarlo a mantenere i collegamenti con l’organizzazione di appartenenza. Secondo il collegio della terza sezione penale va evitato lo scambio di informazioni con altri soggetti facenti parte di una organizzazione terroristica. Le disposizioni stando ai giudici appaiono tutt’altro che discriminatorie verso la persona di Alfredo Cospito e non ci sarebbe alcuna violazione di articoli della Costituzione. Viene citata una sentenza della Cassazione del 2014 che giustifica il divieto causa esigenze di pubblica sicurezza.
Se ne può tranquillamente dedurre che è in primo luogo la giurisprudenza sul punto ad essere molto poco garantista. E i giudici se ne fanno scudo per lavarsene le mani. Di ricorrere alla Corte Costituzionale mandando gli atti dei procedimenti non se ne parla proprio insomma.
Lo stesso collegio nell’ordinanza conferma anche il divieto di corrispondenza tra detenuti ristrettì al 41 bis. I difensori Flavio Rossi Albertini e Maria Teresa Pintus hanno presentato ricorso per Cassazione spiegando che l’ordinanza tra l’altro appare senza sufficienti motivazioni. Gli avvocati ribadiscono la necessità di annullare i divieti.
Dagli argomenti e perfino dai toni e dal linguaggio utilizzato dai giudici emerge la conferma che il 41bis è peggio molto peggio di quello che era l’articolo 90 del carcere duro nei cosiddetti anni di piombo. L’articolo 90 infatti riguardava le sezioni e gli istituti carcerari mentre adesso con il 41 bis si pratica l’accanimento sui singoli reclusi. Lasciando perdere la grande differenza tra il fenomeno di allora e la repressione senza sovversione praticata al giorno d’oggi.
(frank cimini)

Anarchici, da domiciliari a carcere per colloqui “sospetti”

Gino Vatteroni, anarchico indagato nel processo “Scripta scelera”, dagli arresti domiciliari, sino a mercoledì 4 ottobre, è direttamente passato al carcere ad alta sorveglianza di Alessandria, con il trattamento riservato ai detenuti politici pericolosi, per istigazione a delinquere aggravata, priva di fatti concreti diversi dalla redazione di scritti sulla rivista “Bezmotivny” considerata dagli inquirenti antiterrorismo una sorta di “Metropoli” del terzo millennio.

Vatteromi è oggetto, con altri, di un’indagine della Digos della Spezia diretta dalla DDA di Genova per due anni, che i contribuenti hanno pagato per scoprire quanto tutti gli abbonati al giornale esclusivamente cartaceo, pubblicato e poi spedito con posta ordinaria e con i normali canali anche nelle carceri, potevano leggere. Questo giornale è stato chiuso spontaneamente dagli indagati per mancanza di soldi il mese prima degli arresti (8 agosto). Nessun fatto concreto, diverso dalla scrittura, contro cose o persone è attribuito agli indagati. Malgrado Procura DDA e Gip di Genova avessero ritenuto il gruppo una cellula sovversiva, il Tribunale della libertà ha stabilito che tale ipotesi di reato non era sorretta da gravi indizi di colpevolezza, negando sempre la custodia in carcere e confermando gli arresti domiciliari rinforzati (con divieto di contatti esterni) e alcuni obblighi di dimora, sugli altri reati (istigazione a delinquere aggravata, in primis) contestati. “Siamo tutti in attesa di leggere le motivazioni di tale provvedimento” dice l’avvocato George Botti.

Martedì 3 a Vatteroni è stata aggravata la misura e mercoledì 4, dagli arresti domiciliari con braccialetto, è stato collocato in carcere a Massa: gli sono state contestate delle violazioni alle prescrizioni cioè dei colloqui non permessi. Avrebbe parlato con due persone ritenute “sospette” per fatti accaduti ormai molti anni fa, violando le prescrizioni relative al provvedimento restrittivo. Poi da Massa alla casa di reclusione di Alessandria.
L’incensuratezza di questo cinquantaseienne e la ritenuta, da un collegio di tre magistrati, insussistenza di gravi indizi di colpevolezza per il associazione sovversiva finalizzata al terrorismo evidentemente poco conta innanzi al fatto che Gino Vatteroni da una vita si professa dichiaratamente ed apertamente anarchico. Ad avviso di Procura e DAP del Ministero, l’esistenza di un’aggravante al reato di istigazione basta per l’alta sicurezza in carcere.
Il difensore farà appello al Tribunale del Riesame contro l’aggravamento della misura cautelare deciso da un gip che ha fatto copia e incolla con la richiesta della procura. Entrambi evidentemente “avvelenati” per essere stati smentiti dal Riesame che aveva cancellato il reato più grave. La rivista così tanto pericolosa per la sicurezza dello Stato e per l’ordine pubblico stava anche in bacheca in una pubblica via di Carrara, città da secoli sospetta perché centrale nell’attività anarchica. Insomma altra aggravante.
( frank cimini)

Morto Pacini Battaglia tacendo salvò la magistratura

Non era un magistrato ma la magistratura dovrebbe fargli un monumento da collocare davanti alla sede del Csm o dell’Anm. Con il suo silenzio salvò l’immagine e l’onore della magistratura e anche un paio di governi del centrosinistra. Intercettato dal Gico della guardia di finanza in una inchiesta di La Spezia aveva detto: “Di Pietro e Lucibello mi hanno sbancato” e ancora: “ Si pagò per uscire da Mani Pulite”.
A Brescia dove l’indagine fu trasferita l’ineffabile giudice decise che Pacini “aveva millantato”. Si trattava di salvare l’uomo simbolo di Mani Pulite e con lui l’immagine e l’onore di una intera categoria. Prevalse la ragion di Stato dopo che l’Associaziobe Nazionale Magistrati in un comunicato per la prima volta si schierò con l’indagato e non con i pm che indagava su di lui. Fu ovviamente anche l’ultima. Non sarebbe accaduto mai più.
Pierfrancesco Pacini Battaglia come spiegò nel teleprocesso Cusani l’avvocato Giuliano Spazzali “caro dottor Di Pietro entrò e uscì come una meteora dalle sue inchieste”.
Pacini fu il regista dell’inchiesta sui fondi neri dell’Eni. Arrestato e subito rimesso in libertà il 18 marzo del 1993 perché decise di “collaborare” con il mitico pool che considerò lui “l’Eni buono”. Al pari di Franco Bernabe’ al quale sempre al teleprocesso Cusani Di Pietro chiese: “Ma all’Eni l’abbiamo finita con la pratica delle società offshore o no?”. Il testimone rispose: “La stiamo finendo”. Cioè confessò in diretta televisiva la commissione di un reato il falso in bilancio. Non fu indagato. Era la giustizia due pesi due misure. Dove Sergio Cusani senza incarichi operativi e firme sui bilanci venne condannato a una pena doppia degli amministratori della Montedison.
Fu una grande farsa con la scusa di ribaltare l’Italia come un calzino.
(frank cimini)

Cassazione cartoline anonime e anarchiche non pericolose

Due cartoline provenienti da autori non ben identificati e con saluti anarchici non sono da considerare pericolose per la sicurezza dello Stato e vanno consegnate al destinatario. Che poi è sempre lui, Alfredo Cospito detenuto nel carcere di Sassari Bancali in regime di 41bis. Lo ha stabilito la Cassazione rigettando il ricorso del procuratore generale della città sarda contro la decisione del Tribunale di Sorveglianza.
“L’ordinanza impugnata aveva dato conto del fatto che le cartoline indirizzate a Cospito benché prive dell’indicazione del mittente alla luce del loro contenuto non evidenziavano profili di pericolosità per la sicurezza interna e esterna escludendo che in tal senso potesse assumere la provenienza della stessa da soggetti aderenti alla medesima ideologia anarchica del destinatario – scrivono i giudici della Suprema Corte – Nel pervenire a tale conclusione il Tribunale si è conformato all’insegnamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui ai fini del giudizio di pericolosità della corrispondenza il trattamento deve essere motivato in relazione alle specifiche situazioni indicate dagli articoli di legge”.
Secondo la Cassazione l’interpretazione contenuta nel ricorso si scontra inevitabilmente con i principi costituzionali in tema di libertà e segretezza della corrispondenza. Il carattere anonimo della corrispondenza indirizzata al detenuto ristretto in regime di 41bis non è indice di pericolosità. Non si può prescindere dal contenuto della corrispondenza affermano i giudici della Cassazione. Il procuratore generale insomma ha fatto un buco nell’acqua. Sembra assurdo che si debbano celebrare delle udienze per decidere la consegna di semplici cartoline con “saluti anarchici”. Ormai siamo oltre lo spirito e la lettera dello stesso articolo 41bis del regolamento carcerario. Si tratta di vessazioni vere e proprie che nulla hanno da spartire con la necessità di impedire contatti e legami con organizzazioni esterne. Però è questa è la vera tragedia per consegnare due cartoline siamo arrivati fino in Cassazione.
(frank cimini)