giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

Ruby, Cav assolto bocciato l’imbroglio dei pm

Non è un cavillo quello che ha portato all’assoluzione di Silvio Berlusconi e di tutti gli altri inputati nel processo Rubyter. Si tratta di rispetto delle regole. È un vecchio trucco quello delle procure di sentire persone come testi e non come indagati al fine di costringerle a dire la verità. Le dichirazioni rese da chi è informato sui fatti però poi non si possono utilizzare nel processo dove i diretti interessati diventano imputati.

Tutto qui. Il Tribunale lo aveva già chiarito con l’ordinanza emessa due anni fa e lo ha ribadito oggi assolvendo l’ex premier insieme alle ragazze che frequentavano la villa di Arcore dall’accusa di falsa testimonianza e corruzione in atti giudiziari.

Cosi va in fumo il processo per un pelo di quella lana dopo che il Cav era stato assolto in appello nel primo  dibattimento dove rispondeva di concussione e prostituzione minorile. Solo nel Ruby bis c’erano state due condann. Per Emilio Fede e Nicole Minetti. Un bottino davvero magro per una saga ultradecennale imbastita guardando dal buco della serratura.

L’intera vicenda però non va esaminata solo sotto l’aspetto penale. In un paese normale un premier che telefona in questura per perorare la sorte di una minorenne fermata per furto sparisce dalla scena pubblica e non c’è bisogno di fare alcun processo. Purtroppo viviamo da mezzo secolo nella repubblica penale dove i magistrati e i giudici hanno superpoteri che gli sono stati affidati dalla politica dai tempi della madre di tutte le emergenz. E così tutto finisce in un’aula di Tribunale perché il paese intero è privo di anticorpi creando tra l’altro una opinione pubblica sempre più forcaiola.

Per una volta la procura che come dicono a Napoli “terzea” le carte esce sconfitt. E parlare di cavilli serve davvero a poco. La toppa è peggio del buco.

(frank cimini)

Il fantomatico complotto giudiziario della ‘particella 463′
e la giustizia sotto scacco per la denuncite incatenata

Denunce a raffica, anni di indagini, procuratori capo indagati insieme a giudici, poliziotti, vigili urbani, militari della Gdf. E poi decine di legali impegnati, udienze in tre distretti di corte d’appello. Sarà il nuovo maxiprocesso alla mafia? Il Watergate italiano? No, è solo la particella 463, foglio XYZ del catasto dei terreni di Biella, con il suo fantasmagorico potenziale giudiziario. Grazie alla pervicacia di una coppia di coniugi, uno dei quali avvocato, e al loro allegro uso delle denunce-matrioska per abuso d’ufficio, da anni tiene sotto scacco la giustizia di Biella, Alessandria, Milano e Brescia, determinando un impegno di risorse e tempo – qualcuno lo definisce apertamente spreco – con pochi precedenti in Italia.

La storia inizia anni fa. La coppia accusa un vigile urbano di essersi illecitamente introdotto nella particella catastale 463. È solo il primo degli episodi. Di asserite invasioni di campo ce ne saranno altre. Ma c’è anche una delibera comunale da cui si evince che una porzione di quel terreno, a uso vicinale, è transitabile. La coppia denuncia 20 consiglieri comunali. Quando la procuratrice capo di Biella, Teresa Camelio, chiede l’archiviazione per il vigile invasore, parte un’altra denuncia, questa volta per lei. Accusa: abuso d’ufficio. Finisce a Milano, competente sulle indagini che riguardino magistrati piemontesi. Poi altre denunce. E quando un giudice riunisce due procedimenti, ne parte un’altra, una specie di meta-denuncia, per abuso d’ufficio.

La coppia è indagata in un altro procedimento per atti persecutori. E allora i due denunciano il gup, accusandolo di aver omesso la notifica di una asserita nullità: ovviamente, abuso d’ufficio.

Accusano poi due legali per un’altra vicenda ai limiti del comprensibile, la presunta scomparsa di due foglietti scritti a mano su una ricevuta di notifica. Quando il pm di Alessandria chiede l’archiviazione, loro si oppongono, il gip archivia, e allora lo denunciano: indovinate per quale reato. Poi si rendono irreperibili per una notifica. Salvo poi denunciare due poliziotti e la procuratrice di Biella quando vengono dichiarati irreperibili. Ipotesi di reato, sempre quella lì.

E quando due dei loro arditi procedimenti vengono riuniti e archiviati, partono denunce per la procuratrice, una sua sostituta, e una giudice di Biella: non potevano farlo, sostengono, è un abuso. Vanno poi all’attacco di altri due avvocati. E quando si va verso l’archiviazione loro denunciano di nuovo procuratrice e giudice.

A fine 2019 vengono rinviati a giudizio per atti persecutori e allora la donna, il giorno dopo, in altra udienza, si avvicina alla giudice: “Ci sono rimasta proprio male ieri. Da lei proprio non me l’aspettavo. Pensavo di aver trovato in lei finalmente un giudice che capisse la situazione”. A quel punto il magistrato chiede di astenersi dal procedimento. La presidente del Tribunale, Paola Rava, accoglie la richiesta. Et voilà l’aspirante campionessa biellese di querele-matrioska denuncia anche l’alto magistrato, questa volta per diffamazione.

Tutto ciò, e molto altro, per un totale di 13 fascicoli scaturite da molte più denunce, finisce a Milano. Il pm Paolo Filippini riunisce e chiede l’archiviazione. Loro si oppongono, naturalmente. Si racconta di un’udienza scoppiettante, a settembre scorso, con decine di avvocati arrivati da mezzo Piemonte in via Freguglia e nervosetti per l’evidente perdita di tempo. Anche questa volta, l’opposizione finisce come previsto. Archiviazione concessa e motivata il 21 dicembre scorso, non senza reale uno sforzo di umana comprensione nei confronti dei denuncianti per il loro “profondo senso di frustrazione, ingiustizia e insofferenza”, come scrive la gip di Milano Lorenza Pasquinelli, la quale dà atto del “clima teso” e della diffidenza reciproca accresciuta negli anni tra il mondo giudiziario biellese e la coppia di denuncianti. Tale è l’accuratezza e la mancanza di pregiudizio del gip milanese, che per una delle 13 denunce dispone ulteriori accertamenti al fine di ascoltare i potenziali testimoni di un bizzarro episodio di “sequestro di persona” da parte di appartenenti alla Gdf, di cui l’avvocato dice essere stata vittima insieme a un’amica.

Potete immaginare come prosegue la storia. Il pm milanese Filippini è stato denunciato a Brescia. Verrà con ogni probabilità archiviato. Ma scommettiamo che la vicenda si sposterà poi a Venezia? E in seguito? Piccolo consiglio all’ex pm milanese Sandro Raimondi, ora a capo della procura di Trento: inizi silenziosamente a portarsi avanti studiandosi la vicenda, qui su Giustiziami.