La Corte d’Appello di Torino si è riservata di decidere sull’estradizione in Francia del leader NoTav Emilio Scalzo accusato Oltralpe di violenza aggravata in relazione a scontri con la polizia a Claviere. I giudici dovrebbero depositare il provvedimento nel giro di pochi giorni.
Il difensore Danilo Ghia ha chiesto di non eseguire il mandato di arresto europeo perché Scalzo è imputato in Italia in diversi processi (prossima udienza il 5 ottobre) dove sarebbe impossibilitato a difendersi in caso di estradizione. Il procedimento a suo carico in Francia invece ha spiegato l’avvocato nulla vieti che vada avanti in sua assenza. In subordine il legale ha chiesto che il suo assistito sconti in Italia l’eventuale condanna che dovesse arrivare al termine del processo francese.
Va ricordato che un mandato di arresto europeo è abbastanza insolito per il reato di violenze nel corso di una manifestazione di piazza. Scalzo intanto resterà agli arresti domiciliari fino alla decisione dei giudici di Torino. Oggi il leader NoTav ha partecipato all’udienza per poi intrattenersi brevemente con i partecipanti al presidio davanti al Tribunale organizzato per solidarietà dal movimento contro l’alta velocità.
L’avvocato Danilo Ghia esclude legami di questo caso con la vicenda dei dieci ex appartenenti a gruppi della lotta armata degli anni 70 e 80 per i quali l’Italia ha chiesto l’estradizione alla Francia. Intanto a Parigi sono riprese le udienze e i giudici hanno rinviato tutto al prossimo 12 gennaio in attesa che Le autorità italiane completino i dossier sulla base dei quali era stata chiesta la consegna delle persone fermate a fine aprile e poi rimesse in libertà. Si prevedono tempi lunghi per un iter dove comunque l’ultima parola spetta al governo francese. Per Scalzo invece decide l’autorità giudiziaria e basta. Secondo l’avvocato Ghia si tratta di procedure diverse nelle due vicende.
(frank cimini)
Articoli del mese: settembre 2021
Covid e carcere ennesima emergenza nel libro di Berardi
Se la pandemia è stata trasformata da chi ha responsabilità politica nell’ennesima emergenza italiana negatrice e affossatrice di diritti va registrato che resta il carcere il luogo in cui il Covid o meglio la sua gestione ha prodotto gli effetti più devastanti. Gira intorno a questa realtà descrivendola fin nei minimi particolari il lavoro di Sandra Berardi presidente e animatrice di Yairaiha Onlus associazione per i diritti dei detenuti di Cosenza che si presenta come “abolizionista convinta”. Il titolo del libro è “Carcere e Covid”, 209 pagine, edito da Strade bianche Stampa Alternativae costa almeno 10 euro.
“Il carcere è un mostro dai denti ben serrati e c’è un meccanismo cattivo che ne rinsalda il morso, un sorta di danza macabra che si muove al ritmo stonato delle poche o nulla quando non false informazioni che dal carcere arrivano – scrive nella prefazione Francesca De Carolis – Il carcere area di sospensione del diritto dove pure la legislazione di emergenza viaggia su un secondo binario complice l’indifferenza di un’opinione pubblica facilmente manipolabile. La cosiddetta emergenza Covid ha fatto esplodere le contraddizioni che vivono i detenuti e ne ha svelato la ferocia”.
Al centro del lavoro di Berardi una situazione che era già esplosiva prima del Covid. La sospensione delle visite degli operatori e dei colloqui con i familiari portava alle proteste, alle rivolte e al pesante bilancio di 13 detenuti morti. L’autrice ricorda che mentre campeggiavano le immagini dei reclusi sui tetti “i professionisti dell’antimafia e amanti della dietrologia si affrettavano a profilare regie occulte in rivolte che erano spontanee”.
Insomma i media facevano il loro sporco lavoro nello spostare l’attenzione dall’emergenza squisitamente sanitaria alla sempreverde emergenza mafia inducendo il Governo a varare normative e procedure poi passate al vaglio della Consulta perché di dubbia costituzionalità.
A gennaio 2020 i detenuti sono 60.971, poi 259 in più al 29 febbraio a fronte di una capienza regolamentare di 50.931 e il tasso di sovraffollamento risulta ancora maggiore nelle regioni colpite dal virus. Le rivolte riguardano gli istituti più affollati. E basterebbe questo dato per ribaltare le ricostruzioni strumentali e le fakenews. Il 21 gennaio del 2020 il rapporto del comitato del consiglio d’Europa per la prevenzione della tortura punta il dito contro le condizioni igienico-sanitarie, la mancanza di misure alternative, il limite minimo di spazio per ogni recluso. Il Comitato invita l’Italia a evitare il sovraffollamento a abolire la misura dell’isolamento diurno imposta come sanzione penale accessoria per i condannati all’ergastolo. Argomenti questi su cui nessuna forza politica eccezion fatta per i radicali dimostra di avere qualcosa da dire. Brilla per il suo silenzio il ministro Bonafede.
La commissione per i diritti umani del Governo fa sapere di “rammaricarsi per le valutazioni espresso dal comitato europeo per aver avuto la sensazione che esistesse un modus operandi da parte della polizia penitenziaria incline all’aggressione contro i detenuti”.
Non tutti sono sordi o ciechi. Alcuni giornali, certo di nicchia non i cosiddetti giornaloni, denunciano la situazione vera. Il libro di Sandra Berardi riporta il testo di lettere di diversi detenuti che raccontano le loro esperienze di malati. Alessandro dal carcere di Secondigliano: “Sembra che con questo COVID-19 tutti abbiano perso la ragione”.
Poi c’è il racconto del balletto sui numeri dei morti nelle rivolte che Bonafede definisce “atti criminali fuori dalla legalità”. La morte dei 13 detenuti “una drammatica conseguenza”.
Sono le storie di vita in carcere a spiegare il perché delle rivolte con buona pace dei dietrologi la mamma dei quali come quella dei cretini in questo paese è sempre incinta. “La dietrologia impazza – scrive Berardi – dai sindacati di polizia ai politici. La presenza del pm antiterrorismo Nobili che tratta con i detenuti viene associata da un articolo di Repubblica a quella dell’ex Br Maurizio Ferrari che sta insieme ai parenti dei reclusi in un presidio all’esterno”. Il Corriere della Sera fedele alla sua storia almeno fin dal 1969 se la prende con un gruppo di anarchici in piazza. Il “Fatto Quotidiano” insiste sulle regie occulte di cui non esiste nessun riscontro.
Dall’emergenza sanitaria si è passati al securitarismo a tutti i costi. A farne le spese ovviamente è stata soprattutto la popolazione detenuta che già prima del Covid se la passava malissimo.
All’inizio del lavoro di Sandra Berardi sono citate le parole di Angela Davis: “La giustizia è una e indivisibile. Non si può decidere a chi garantire i diritti civili e a chi no”
(frank cimini)
Arrestato leader NoTav, Francia Italia eurorepressione
Evidentemente l’Italia non vedeva l’ora di dire un si alla Francia a livello di repressione dei movimenti antagonisti e il momento è arrivato. È stato arrestato dai carabinieri della compagnia di Susa in esecuzione di un mandato di arresto europeo emesso dalle autorità francesi Emilio Scalzo, 66 anni, uno dei leader storici del movimento NoTav. Scalzo avrebbe aggredito un agente della gendarmeria francese, stando all’accusa, durante gli scontri tra anarchici e polizia d’oltralpe in occasione di una manifestazione partita da Claviere e poi sconfinata in territorio francese.
Scalzo è stato fermato dai militari dell’arma a Bussoleno dove abita. I NoTav dopo aver diffuso la notizia dell’arresto hanno organizzato per la serata di ieri una protesta al presidio di San Didero con lo slogan “Ridateci Emilio Subito”.
È impossibile non mettere in relazione l’arresto di Emilio Scalzo con le partite repressive in corso sul fronte Italia Francia. Innanzitutto c’è la vicenda delle estradizioni relative a nove ex militanti di gruppi della lotta armata per fatti di quaranta e anche cinquanta anni fa fermati a Parigi e poi liberati in attesa delle decisioni dei magistrati, con le udienze che riprenderanno a fine settembre nell’ambito di un iter politico giudiziario che si preannuncia lungo e complesso. L’Italia finora è stata chiamata a completare i dossier relativi a ogni singolo caso.
Inoltre la corte di giustizia di Strasburgo dovrà fissare entro la fine dell’anno in corso l’udienza in cui dovrà decidere la compatibilità del reato dì devastazione e saccheggio con l’ordinamento francese.
Si tratta della storia relativa all’anarchico Vincenzo Vecchi condannato in Italia a 12 anni di reclusione per fatti relativi anche alle manifestazioni del G8 di Genova dell’estate 2001 e per il quale l’Italia chiede la consegna che finora era stata negata. Era stata la giustizia francese a rivolgersi a quella europea per chiarire i contorni giurisprudenziali del caso. La decisione di Strasburgo ha un valore che va ben al di là della vicenda in cui è coinvolto Vecchi perché il reato di devastazione e saccheggio non previsto dalla legislazione francese è stato a lungo utilizzato in Italia per reprimere le manifestazioni di piazza.
Sul punto c’era stato un lungo contenzioso con la Grecia in relazione alla posizione di quattro anarchici per la manifestazione antiExpo del primo maggio del 2015 a Milano. Alla fine i greci negavano l’estradizione scegliendo di processare i loro cittadini in patria decidendo condanne intorno ai due anni e mezzo di reclusione, pene infinitamente inferiori a quelle che si rischiano con la stessa accusa in Italia dove il codice parla di sanzioni tra gli 8 e i 15 anni di prigione.
(frank cimini)
Il “disciplinare” per Greco, vera pagliacciata del Pg
Gli accertamenti avviati dal Pg della Cassazione in vista di un procedimento disciplinare per il procuratore Francesco Greco rappresentano un’autentica pagliacciata dal momento che non ci sono i tempi tecnici per fare nulla, considerando che la pensione per il capo dei pm di Milano scatterà il 14 novembre.
Formalmente si tratta di un atto legato al fatto che Greco risulta indagato a Brescia per omissione in atti d’ufficio per non aver tempestivamente operato le iscrizioni sul registro degli indagati dopo le dichiarazioni a verbale di Piero Amara sull’ormai famosa loggia Ungheria.
Ma quella del Pg Giovanni Salvi appare come pure ammuina, una farsa, una presa in giro rispetto a quello che si dovrebbe fare in relazione alla veridicità o meno delle parole di Amara, un signore prima portato in palma di mano dall’Eni perché ritenuto supererfficiente come consulente e poi una volta scaricato ritenuto il grande testimone d’accusa al processo per il caso Nigeria ?finito in un flop per la procura.
Sulla loggia sia a Milano sia a Perugia si continua a fare nulla. Del resto Greco è del tutto delegittimato dopo aver fallito nel tentativo di far trasferire il sostituto Paolo Storari. Chi dovrebbe farle le indagini? Sia Storari sia l’aggiunto Laura Pedio non possono più perché in conflitto di interessi.
Il pg della Cassazione e il Csm fanno finta di niente, tacciono, Il disciplinare per Greco ricorda quello per il suo predecessore Bruti Liberati, annunciato solo dopo che lo stesso aveva detto di andarsene in pensione in anticipo. Cosa che non ha intenzione di fare Greco in omaggio al lavoro che la sua corrente Md sta facendo al CSM per la nomina del nuovo prcuratore. Md ha bisogno di tempo per evitare l’arrivo del papa straniero, un magistrato proveniente da fuori Milano.
Siamo al ridicolo su tutta la linea. Fanno ridere gli accertamenti del Pg Salvi su Greco che non possono portare da nessuna parte. Fa ridere, ma in realtà ci sarebbe da piangere, Greco che resta attaccato alla poltrona fino all’ultimo giorno utile, senza poter coordinare alcunché visto che il 90 per cento dei suoi sostituti lo aveva smentito clamorosamente. Con Greco che resta in carica è la procura di Milano tutta a fare una figura di palta. Non è certo la prima ma di sicuro è la più clamorosa. Perché adesso rispetto a 30 anni fa non ci sono più le folle plaudenti in corso di porta Vittoria (frank cimini)
Il pm che arrestò se stesso. Storia di un romanzo
in questi tempi di magistrati che si arrestano tra loro o che tentato di farlo, di procure che cercando di vincere i processi lanciando sospetti infondati sui giudici e sui gip abbiamo letto la storia di un pubblico ministero che arrestò se medesimo. La cosa tecnicamente è impossibile e infatti sta in un romanzo scritto nel 1985, non ancora pubblicato ma che con ogni probabilità lo sarà entro la fine dell’anno proprio perché l’argomento è diventato di stringente attualità.
Il titolo del romanzo è “Mi avvalgo della facoltà di non rispondere”. L’ambiente è quello dell’emergenza antiterrorismo. Il protagonista è il pm Leopoldo Fiore sostituto procuratore a Milano che considera colpevoli tutti quelli che si avvalgono della facoltà di non rispondere e ovviamente utilizza a piene mani la legge sui pentiti dando in pratica dei fiancheggiatori a quei pochissimi suoi colleghi che la criticano in nome dello Stato di diritto.
Non è il caso di svelare troppi particolari della trama perché non vogliamo togliere il gusto di leggere a chi si recherà in libreria tra pochi mesi trovando il romanzo insieme ad altri tre racconti.
Tra un “pentito” e l’altro il dottor Fiore ne trova uno che lo “tradisce”. Chi di spada ferisce di spada perisce. Il collaboratore di giustizia come si usano definire questi signori svela una serie di irregolarità chiamiamole così con un eufemismo che caratterizzano le indagini.
E Leopoldo Fiore emette un mandato di cattura a suo carico per minacce, falso ideologico e abuso d’ufficio. Il capo della procura ne prende atto gli ricorda di averlo sempre difeso contro tutti gli attacchi, “ma questa volta hai proprio sbagliato”. Così Il dottor Fiore finisce in galera. E che cosa fa? Si avvale della facoltà di non rispondere, proprio quel comportamento che aveva sempre censurato considerandolo addirittura indizio di partecipazione al terrorismo.
L’autore del romanzo è un antico compagno di battaglia e di militanza di chi scrive queste povere righe, una sorta di recensione di un libro che non è ancora uscito sulla giustizia di tanti anni fa ma che trova riscontro in quello che accade adesso, tempi di loggia Ungheria, argomento tabù per magistrati, politici e mezzi di informazione.
A scrivere il romanzo è l’avvocato Gabriele Fuga, noto tra l’altro per un lavoro fondamentale fatto insieme al compianto Enrico Maltini, “La finestra è ancora aperta”. Si tratta della ricostruzione più completa dell’assassinio in questura dell’anarchico Pino Pinelli dove si svela il ruolo fondamentale nel coprire la verità che ebbero gli uomini dei servizi segreti arrivati da Roma.
Nel romanzo dedicato al dottor Fiore si parla anche di avvocati arrestati “per terrorismo”. Fuga fu uno di quei legali finiti in carcere perché chiamati in causa dai soliti pentiti. L’inchiesta che costò la galera all’avvocato Fuga era coordinata da un pm che poi fu eletto come parlamentare europeo nelle liste di un partito che è fin troppo facile immaginare quale fosse. Il solito. (frank cimini)