Il gup milanese Natalia Imarisio ha negato il rinvio dell’udienza per legittimo impedimento all’avvocato Roberto Peccianti ammalato per Covid. Il pm aveva espresso parere contrario perché c’era già stato un rinvio in precedenza. Il giudice nel motivare il rigetto dell’istanza afferma che l’impedimento non era motivato dall’impossibilità di sostituzione con altro difensore. E aggiunge che il legale poteva avvalersi del difensore del coimputato considerando che la posizione dei due coimputati non era in conflitto.
L’udienza è proseguita e si è conclusa decidendo la prescrizione per un capo di inputazione per intervenuta prescrizione e il rinvio a giudizio per un’altra accusa. Al centro del processo vicende fiscali.
La violazione del diritto di difesa appare evidente nel momento in cui si nega all’imputato di farsi assistere dal legale di fiducia che aveva scelto e addirittura si suggerisce la sostituzione con l’avvocato del coimputato.
Il certificato con cui il legale documentava di aver contratto il Covid in pratica non è stato preso in considerazione nonostante l’emergenza virus non sia finita. Anzi.
E la decisione sembra dar ragione a chi propone di abolire l’udienza preliminare perché completamente inutile (frank cimini)
Articoli del mese: aprile 2021
I dannati della gogna mediatica, il libro di Antonucci
Il processo è già una pena perché c’è la gogna mediatica. Ma non tanto al momento del processo. Molto prima. Con le indagini preliminari dove le procure sono i signori assoluti, i difensori non toccano palla e la difesa non ha difesa. Ermes Antonucci giornalista del Foglio racconta 20 casi di “dannati della gogna”, persone rovinate, con l’assoluzione che serve a molto poco quasi a niente e ci sono pure le vicende di chi paga dazio alla cattiva fama senza essere stato nemmeno inquisito formalmente.
Essere indagati dai mezzi di informazione è molto peggio che finire inquisiti dai magistrati. “Tanto più vasta sarà l’eco mediatica dell’accusa tanto meno chi l’ha promossa sarà disposto a riconsiderarne il fondamento – scrive nella prefazione l’avvocato Giandomenico Caiazza -Il cappio si stringe intorno al collo del presunto colpevole con un doppio nodo scorsoio, la gogna mediatica da un lato, l’accusatore impegnato nella strenua autodifesa a oltranza dall’altro. Non c’è scampo fino a quando il presunto colpevole non avrà la ventura di incontrare un giudice indifferente all’una e all’altro. Un evento purtroppo nient’affatto scontato e comunque quasi sempre drammaticamente tardivo”.
Secondo Caiazza non dobbiamo disperare ma essere consapevoli che la strada da percorrere è quella di recuperare finalmente un principio di responsabilità del magistrato per i suoi atti giudiziari. “Oggi questo è precluso da un sistema di valutazioni professionali positive al 99,6 per cento, dunque inesistenti. Un potere pubblico irresponsabile rappresenta un irrimediabile squilibrio democratico” conclude il legale.
“Il fenomeno si è affermato in numerose nazioni ma è in Italia che mostra una forza è una violenza senza pari – chiosa Antonucci – tanto da portare a un annientamento sostanziale di alcuni principi basilari della nostra Costituzione, a partire dalla presunzione di non colpevolezza”.
Il tritacarne, ricorda l’autore, si palesa in varie forme: notizie passate ai giornalisti da procure e polizia giudiziaria, pubblicazione di materiale di indagine ancora coperto da segreto, diffusione di intercettazioni spesso penalmente irrilevanti, assenza di contraddittorio, invasione morbosa negli ambiti privati dei malcapitati e dulcis in fundo mancanza di attenzione per le fasi successive dei procedimenti. E se va bene minuscoli trafiletti sui giornali. “Tanto è già uscito tutto” è la considerazione di molti giornalisti che dovrebbero sottoporre a vaglio critico le tesi dell’accusa. E come potrebbero dal momento che “il pane quotidiano” arriva loro dalle procure. Come disse un famoso avvocato ai tempi della falsa rivoluzione di Mani pulite (ma i tempi non sono cambiati e se si sono cambiati in peggio): “Il pm fa anche il caporedattore nei quotidiani del mandamento giudiziario”.
Giovanni Novi, ex presidente del Porto di Genova, arrestato con l’accusa di un patto illecito stipulato con presunte irregolarità nell’assegnazione dei moli. Dal 2008 al 2014, le date del calvario. La Cassazione lo assolve sentenziando che Novi agiva per il bene del porto. Ma al danno si aggiunse la beffa. Novi non ha avuto diritto al risarcimento delle spese legali perché l’Avvocatura dello Stato interpretò la sua carica come onoraria. Insomma finché si trattava di processarlo era un presidente a tutti gli effetti. Nel momento in cui doveva essere risarcito diventava onorario. L’inchiesta evaporata avrebbe provocato al porto di Genova danni per sette milioni di euro.
“Quello che mi è dispiaciuto di piu – ha detto Novi – al momento dell’assoluzione mia moglie non c’era più “.
Calogero Mannino che fu ministro e parlamentare è stato sotto processo per 30 anni con l’accusa di essere mafioso prima dell’assoluzione definitiva. Mannino, 80 anni, pensa al futuro della giustizia alla modifica della prescrizione. “Il risultato è che i processi saranno ancora più lunghi solo perché un ministro della giustizia che non ha nessuna esperienza di aule giudiziarie ha voluto avventurarsi sull’eccitazione di alcuni organi di stampa amici”. Insomma il futuro della gogna mediatica.
Clemente Mastella è stato assolto quindici volte su quindici. Maurizio Lupi fu costretto da non indagato a dimettersi da ministro per la storia di un orologio d’oro regalato al figlio da un amico di famiglia di vecchia data.
Giulia Ligresti fu assolta dopo sei anni con la revoca della pena che aveva patteggiato da innocente. Perché quella sentenza era in contraddizione con il verdetto che aveva assolto il fratello Paolo. Dell’imprenditore Andrea Bulgarella il quotidiano Repubblica scrisse che aveva l’odore della mafia addosso. Dopo l’assoluzione non sono arrivate le scuse. È la stampa bellezza. E insieme alla “giustizia” di danni ne fa tanti.
La gogna dei dannati. Editore Liberi libri. 133 pagine. Autore Ermes Antonucci
(frank cimini)
Bergamo, siamo al registro degli indagati in tv
“Non escludo che possano essere indagati esponenti del ministero della Salute”. Sono le parole clamorose che il pm di Bergamo Maria Cristina Rota ha consegnato alle telecamere di Report aggiungendo che i dirigenti sentiti come testimoni erano stati “molto reticenti”.
Insomma siamo ai preannunci in tv sul registro degli indagati, una sorta di violazione del segreto istruttorio di fatto, anche se il magistrato non ha fatto nomi. Ma gli “indagandi” sono stati così avvertiti anche se le informazioni di garanzia per loro non saranno una sorpresa. Le aspettavano, le stanno aspettando.
Già all’inizio dell’inchiesta la stessa pm rispondendo alla domanda su chi dovesse decidere sulla zona rossa aveva risposto: “Il governo”. Poi dopo gli interrogatori a Roma aveva spiegato che la risposta era riferita “allo stato delle nostre conoscenze”. Ma questo non lo aveva detto all’epoca.
La mania di protagonismo fa male alle indagini. Non si capisce poi perché una procura che lamenta di continuo la carenza di organici non si decida a trasmettere gli atti a Roma competente per le indagini sul ministero. Non ci vuole un giurista per sapere che non può farlo la procura di Bergamo in un’indagine dove comunque non sarà facile provare il nesso di causalità tra le mancanze del piano pandemico e i morti. (frank cimini)
Greco e De Raho assolti, o’ malament è Palamara
“Non ha compiuto un’improria interferenza nelle nomine di sei procuratori aggiunti”. Con questa motivazione il Csm ha deciso di non aprire un procedimento disciplinare a carico del procuratore di Milano Francesco Greco. L’ultima parola spetta al plenum ma la strada è ormai segnata da tempo. Il Csm in pratica difende se stesso continuando a raccontare che nei giochi sottobanco per le nomine e gli incarichi dei magistrati c’è un solo colpevole, o’ malament, Luca Palamara che in pratica avrebbe fatto tutto da solo.
Palamara contribuì alla nomina di ben 85 colleghi che però sono tutti innocenti e candidi come gigli. “È emerso sicuramente che vi furono interlocuzioni tra i consiglieri dell’epoca Nicola Clivio e Palamara e il dottor Greco ma tali interlocuzioni furono attivate dagli stessi consiglieri e non si risolsero in alcuna segnalazione o promozione di specifici nominativi da parte di Greco – è la conclusione dell’organo di autogoverno al momento – quanto in una generale consultazione sulle problematiche dell’ufficio e sulla professionalità richieste per la migliore gestione del medesimo. Pertanto non risultano condotte suscettibili di incidere sull’imparzialita’ e indipendenza neanche sotto il profilo dell’immagine”.
Nessun procedimento anche per il procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero De Raho che era stato a strettissimo contatto con Palamara al punto da scrivergli come risulta dalle intercettazioni “la tua battaglia è la nostra”. Greco invece gli scriveva: “Ci vediamo al solito posto”.
Lo sanno anche i sassi che dopo la furibonda lite Bruti-Robledo risolta con l’altissimo intervento del presidente Napolitano e al fine di evitare fatti simili in futuro il Csm lascia che siano i capi degli uffici a decidere le nomine degli aggiunti.
Tra i candidati ad aggiunto a Milano c’era il sostituto procuratore generale Nunzia Ciaravolo con un curriculum di incarichi impressionante pieno di presenze in organismi internazionali e quindi di gran lunga superiore a quello di altri colleghi. Ciaravolo aveva preannunciato a Greco la propria domanda per andare in procura. “Non ci sono problemi” fu la risposta. E invece i problemi c’erano. Iniziò un fuoco di sbarramento che costrinse Ciaravolo a decidere di ritirare la candidatura tre ore prima che il plenum decidesse.
Anche le chat scambiate da De Raho con Palamara in occasione dell’assegnazione di due incarichi direttivi “non hanno determinato un appannamento della sua credibilità professionale e personale”.
Insomma non era accaduto nulla. Tutte le colpe sono esclusivamente di Palamara che è stato radiato dalla magistratura e per il Csm la storia deve finire così e basta. Insomma punto fermo. Sia Greco sia De Raho tra pochi mesi lasceranno per raggiunti limiti di età’. Quindi non ci sarebbero stati neanche i tempi tecnici per istruire e portare a termine il disciplinare. Ma era ed è una questione di immagine del Csm. Avviare i procedimenti avrebbe finito per ridare credibilità a Palamara che nel libro scritto con Sallusti ribadisce: “Mica ho fatto da solo, non avrei potuto”.
Niente di nuovo sotto il sole. Il Csm come aveva già dimostrato il caso Bruti-Robledo resta il regno dell’omerta’ e dei traffici illeciti di influenza. Sì proprio il reato che le procure distribuiscono in giro ai comuni mortali. A palazzo dei Marescialli invece sono tutti innocenti. Tranne uno, sempre lui, “o malament”. (frank cimini)
I 90 anni di Lodovico Isolabella, il maestro del “punto nel processo”
Lunedì 12 aprile, il Tribunale di Milano ha reso omaggio all’avvocato Lodovico Isolabella, che si appresta, nonostante i 90 anni compiuti a dicembre (è del 1930), a sostenere un importante processo il prossimo 14 maggio.
Evento organizzato presso la Sala del consiglio dell’Ordine dal Presidente Vinicio Nardo e da uno dei tanti ex collaboratori (Davide Steccanella) che in oltre sessant’anni sono passati dallo studio di via Fontana, Isolabella è arrivato con i figli Francesco e Luigi, a loro volta avvocati, dove si erano dati appuntamento alcuni membri storici di quello studio.
Dall’ex giudice Gianfranco Gilardi agli avvocati Giovanni Dedola, Angela Maggi, Francesco Arata, Daniele Benedini, Carlo Baccaredda, Maddalena Padovan, Luca Troyer, fino ad Alessandra Mandolesi, che ancora oggi, dopo 25 anni, lavora con lui.
Ad ascoltare il racconto di aneddoti, processi e vita vissuta con Isolabella erano collegate tantissime persone in diretta zoom e con la pagina FB della Camera Penale di Milano.
Oltre all’ex giudice Armando Spataro e Annalori Ambrosoli, madre di Umberto attuale componente dello studio, sono intervenuti colleghi, amici e tantissimi altri ex, da Fabrizio De Sanna ad Alberto Sanjust, da Giacomo Lunghini a Davide Sangiorgio e da Alessandra Matturri ad Angela Quatraro.
E’ stato proiettato il trailer di una video intervista di Enrico Riccioni dal titolo “La lotta per la libertà” e al termine dell’incontro, durato oltre due ore, Isolabella, che non ha mancato di ricordare i tanti processi fatti ai tempi insieme ai presenti, ha ringraziato tutti, ricordando l’importanza della difesa dell’uomo quale essenza del ruolo dell’avvocato.
“Quando mi presentai nello studio di via Fontana 4, ai tempi più piccolo di quello di oggi, era il settembre del 1987 e c’era un gran fermento di persone che si agitavano intorno a un signore con un’ottocentesca barbetta a punta, il quale si limitò a dirmi “ma questo non è uno studio, è un casino!”, e senza neppure chiedermi chi diavolo fossi mi ordinò di seguirlo mentre si recava con passo rapido al vicino Tribunale, seguito da un codazzo di “praticanti” con borse e faldoni.
Arrivati davanti al grande scalone centrale di corso di Porta Vittoria ci fermammo perché lui si mise a raccogliere delle erbe nell’arida aiuola che sopravvive nel cemento esterno del palazzone e che poco dopo gli vidi poggiare, con enfasi mista a una mezza risata, sul banco solenne del Tribunale riunito per l’udienza.
Non ho mai saputo a cosa servisse produrre erbacce in un processo per reati valutari, ma ricordo che pensai chegli avvocati non dovevano essere tutti necessariamente noiosi e “tromboni” se tra loro c’era uno come lui, e chequel mestiere avrebbe potuto riservare qualche creatività.
Isolabella è stato il mio primo e unico Maestro, “Trova il punto del processo”, era la sua regola, perché diceva che all’interno di ogni causa, anche quella più complessa, si annida sempre il punto decisivo, quello intorno cui ruota il tutto, e che andava trovato studiando pazientemente ogni pagina e incartamento.
Il prezioso archivio web di Radio Radicale consente di riascoltare a distanza di anni l’audio di alcuni grandi processi del secolo scorso e tra questi quello celebrato avanti la Corte di Assise di Milano (presieduta da Antonio Cusumano) per la morte di Sergio Ramelli.
Il 12 maggio 1987, dopo l’intervento del Prof Giandomenico Pisapia, prende la parola l’avvocato Lodovico Isolabella in difesa di due imputati.
A fronte di una responsabilità accertata, il difficile compito del difensore era quello di aiutare una Corte formata da giudici popolari a pervenire a una condanna “giusta” che tenesse in debito conto la realtà storica di un fatto avvenuto 12 anni prima, quando l’intero tessuto sociale, culturale e politico della città era completamente diverso da quello del giorno del tardivo giudizio.
Per tutta la prima parte del suo intervento Lodovico Isolabella si impegna a ricostruire alla Corte con infinita pazienza e l’ausilio di un immenso materiale raccolto quale fosse la Milano del 1975.
E così, una delle migliaia di arringhe in difesa di due delle migliaia di imputati di un conflitto che produsse nel nostro Paese numeri da “guerra civile a bassa intensità” (come ha detto qualcuno), si trasforma in una formidabile lezione di Storia, e stupisce che a tenerla sia chi per tradizioni familiari, culturali e anche generazionali, era quanto di più distante potesse esserci da quel conflitto.
Isolabella inizia raccontando un episodio accaduto a Ramelli mesi prima del suo omicidio all’Istituto tecnico Molinari quando fu cacciato perché fascista e suo padre costretto a passare attraverso la gogna di due cordoni posizionati ai due lati, e senza che nessun rappresentante della Scuola o di altre Istituzioni muovesse un dito a difesa di quel ragazzo e di quel padre.
Questo gli consente di ricostruire il 1975 a Milano in termini di realtà e solo al termine di quell’immane sforzo di memoria Isolabella può affermare a gran voce una grande verità, e cioè che nella richiesta di pene esemplari per quei pochi imputati, il Pubblico Ministero, lo Stato e la stessa opinione pubblica, in realtà assolvono le proprie coscienze da un’accusa ben più grave: quella di avere contribuito a far si che quella gigantesca tensione sfociasse in quei singoli delitti e non viceversa.
E nello straordinario richiamo al processo di Norimberga, Isolabella punta il dito contro la sempiterna pretesa del vincitore di processare, applicando codici propri, il vinto, il quale di codici propri ne aveva altri, per arrivare a concludere in modo apparentemente provocatorio (ma non lo era) che: “Questi ragazzi che uccidevano rincorrevano la vita e non la morte!”.
Io credo che l’esito del processo di primo grado abbia recepito, con quella sentenza che definiva “oltre l’intenzione degli imputati” la morte di Ramelli, il significato più profondo della straordinaria arringa di Isolabella.
Mentre ascoltavo la prima parte di quella arringa mi riempiva di orgoglio pensare di avere avuto il privilegio di lavorare per anni a stretto gomito con una persona così”.
Davide Steccanella