giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

Dilemmi emergenziali: ci sono più pubblici ufficiali di altri?

Nel maggio del 2016 si svolse a MiIano una manifestazione per il diritto alla casa (sembrerà impossibile ma c’è ancora in giro gente che non ne ha una). Un centinaio di manifestanti fuseguito dal consueto imponente dispositivo di sicurezza e controllo. L’attento monitoraggio delle forze dell’ordine consentì di accertare i seguenti gravissimi fatti: una persona accese un fumogeno, un’altra strappò un lembo di un manifesto elettorale del PD, una terza sputò verso un agente della polizia scientifica che, in abiti civili, la stava filmando.

I tre finirono alla sbarra. Fu celebrato un vero e proprio processo: si ascoltarono testimoni, si analizzarono filmati.

La persona accusata di aver sputato verso il poliziotto (imputata di oltraggio a pubblico ufficiale) fu assolta perché non si poté stabilire con certezza se si fosse reso conto che la persona verso cui aveva sputato (che era in borghese e lo stava filmando) era un poliziotto. Gli altri due vennero prosciolti ai sensi dell’art. 131 bis c.p.Particolare tenuità del fatto, il fatto sussiste, l’imputato lo ha colpevolmente commesso, ma si tratta di un fatto di poco conto, che non merita di essere perseguito.

Apriti cielo.

Il sindacato autonomo della polizia tuonò: “Se sputare addosso a un poliziotto, viene considerato fatto tenue, allora vuol dire che sputare contro un servitore dello Stato è legittimo”. Giorgia Meloni evocò la: “necessità inderogabile di inserire nel nostro ordinamento il reato di terrorismo di piazza”.

Nessuno (o quasi) notò che l’ondata di indignazione era fondata su un clamoroso equivoco, perché l’autore dello sputo non era stato prosciolto per irrilevanza del fatto ai sensi dell’art. 131 bis, ma per assenza di dolo.

Ma la macchina della legislazione di emergenza si era ormai mossa. Per evitare una volta per tutte simili verdetti fu introdotta un’eccezione all’art. 131 bis c.p., escludendo dall’applicazione della norma i reati di resistenza e oltraggio a pubblico ufficiale. L’improcrastinabile riforma fu introdotta in sede di conversione del decreto sicurezza bis.

Quando si trovò il testo della legge da promulgare, il Presidente della Repubblica esplicitò seri dubbi sulla legittimità costituzionale della norma.

La norma entrò comunque in vigore. Com’era inevitabile, alla prima occasione la questione finì in Corte Costituzionale (dove tutt’ora pende, in attesa di essere decisa). Perché impedire ad un giudice di escludere la punibilità per irrilevanza del fatto solo in relazione a determinate categorie di persone offese?

Veniamo ad oggi.

Il Governo (virato nel frattempo dal giallo-verde al giallo-rosso) deve aver scorto nella riformina del decreto sicurezza l’occasione per mettere una pezza a questo pasticcio.

Eliminando l’irragionevole disparità di trattamento? No, precisandone ed estendendone i beneficiari. Non tutti i pubblici ufficiali, ma solo gli agenti e gli ufficiali di pubblica sicurezza. Non solo questi ma anche i magistrati in udienza.

Quindi: uno stesso insulto di poco conto sarà sempre punibile, se rivolto ad un poliziotto nell’esercizio delle sue funzioni o ad un magistrato in udienza; se rivolto ad un professore, ad un medico ospedaliero, ad un cancelliere di tribunale o ad un altro pubblico ufficiale, anche no.

Ci sono ufficiali più pubblici di altri?

(avvocati eugenio losco e mauro straini)

Capri espiatori, Becciu il Palamara del Vaticano

È la logica del capro espiatorio la soluzione che organismi di potere dimostrano di gran lunga di preferire pur di non affrontare problemi e fenomeni che sono chiaramente alla radice di ciò che emerge. E non sembra una situazione caratteristica esclusiva del nostro Paese a vedere quello che sta accadendo in Vaticano con la parabola discendente di monsignor Giovanni Becciu, fino a pochi giorni fa potentissimo caro amico di Papa Francesco e ora nella polvere.
Ci corre un paragone con la vicenda di Luca Palamara, il magistrato che veniva ripetutamente e ossessivamente cercato da colleghi che ambivano a incarichi importanti e che adesso, caduto in disgrazia, è stato scaricato da tutti.
Ovviamente la stragrande maggioranza degli organi di informazione fiancheggia queste operazioni, si fa pochissime domande e procede a spron battuto nella distruzione dell’immagine degli ex potenti.
Monsignor Becciu venne nominato da Benedetto XVI nel 2011. È stato sostituto per gli Affari generali, confermato da Bergoglio e nominato delegato speciale presso il Sovrano ordine militare di Malta al fine di risolvere la crisi dello stesso. Poteva gestire i fondi della Segreteria di Stato, a cominciare da quelli dell’Obolo di San Pietro, il denaro che la Chiesa raccoglie per le opere di carità in favore dei poveri.
Evidentemente Becciu poteva agire senza controlli. Evidentemente i controlli non esistevano. Non c’erano gli anticorpi che sarebbero stati necessari per prevenire operazioni illecite, comprese quelle sottrazioni di denaro poi finito in mille rivoli che adesso vengono ipotizzate dalle inchieste sia della Santa Sede sia in Italia.
Il modo in cui Becciu è stato eliminato, addirittura con l’esclusione dal futuro conclave, dimostra l’inutilità sostanziale di parlare di mere ipotesi investigative. Becciu non ha avuto possibilità di difendersi in presenza di un quadro accusatorio sicuramente pesante. Il monsignore sarebbe stato tra l’altro responsabile di un accordo per mettere lo stemma della Caritas sulle bottigliette della birra artigianale “Pollicino” prodotte dalla “Angel’s” amministrata dal fratello Mario.
Tutto dovrà essere provato? Solo in teoria è così. Monsignor Becciu in sostanza è già stato condannato. Non è certo il primo collaboratore del Pontefice chiamato a svolgere incarichi importanti a finire male. Ha fatto tutto da solo? In Vaticano esistono organismi e persone che hanno il compito di vigilare? Chi controlla chi?
E Luca Palamara ha fatto la stessa fine di Becciu. Il capo della Direzione nazionale antimafia, Federico Cafiero De Raho, come risulta dalle intercettazioni finite puntualmente sui giornali, gli telefonava per dirgli: “La tua battaglia è la nostra”. Il procuratore di Milano Francesco Greco gli dava appuntamenti: “Ci vediamo al solito posto”. Palamara aveva in mano la carriera di decine e decine di colleghi. Avrebbe contribuito alla nomina per incarichi direttivi di almeno 84 magistrati.
Perché Palamara agiva con grande furbizia. Anche quando aveva in origine un candidato suo diverso da quello che poi avrebbe vinto, il nostro virava in extremis sul vincitore. Insomma, non perdendo praticamente mai acquisiva sempre maggiore potere.
Ora l’ex magistrato più potente d’Italia è rimasto con un pugno di mosche in mano. Con il Csm di cui fece parte che gli ha negato a livello disciplinare il diritto a difendersi. Aveva chiesto, Palamara, 133 testimoni a discarico: ne ha ottenuti solo un paio, peraltro già presenti nella lista dell’accusa. Per i commerci sotto banco degli incarichi e per i rapporti con il mondo politico sarà il solo a pagare l’ex pm della capitale. E il suo “disciplinare” rischia di essere il processo pilota per il futuro. Quello senza diritti della difesa, quello sognato da molti procuratori almeno fino a quando non saranno loro a finire sotto inchiesta.
Restano al loro posto tutti i colleghi che Palamara ha contribuito a far nominare. Sembra sia stato solo lui a inquinare la vita della magistratura. L’Anm non ammette critiche, lamenta addirittura che ci si occupi sui giornali delle irregolarita’ nei concorsi per magistrati (in realtà se ne scrive pochissimo).
La politica dal canto suo è silente. Stanno zitti anche gli esponenti di partiti che in passato furono protagonisti di scontri durissimi con la magistratura, a iniziare da quelli che nel 2013 occuparono i corridoi del tribunale di Milano in difesa del loro leader, imputato in un processo per un pelo di quella lana nel quale alla fine venne assolto. Evidentemente a tutti o quasi va bene la giustizia per come viene amministrata, va benissimo il Csm ripulito dal metodo Palamara, quello usato per beneficiare tanti magistrati che continuano a impartire dal loro scranno lezioni di etica e di morale. Tutto bene ora. In Italia e pure all’estero. Senza Becciu e senza Palamara.
(frank cimini)