Non c’è nulla di poetico in un omicidio, ma in questo omicidio c’è molta poesia.
“Verrà la morte e avrà i tuoi occhi”, uno degli incipit più abbaglianti della poesia italiana, viene eletto a pieno titolo tra gli indizi che hanno portato alla condanna all’ergastolo di Stefano Binda per avere ucciso con 29 coltellate Lidia Macchi il 5 gennaio del 1987 nei boschi intorno a Varese. Perché Lidia, scrivono i giudici nelle motivazioni al verdetto dell’aprile scorso, quei versi li “conservava in borsetta trascritti su un foglio” e Stefano ne era così ossessionato da parlarne in continuazione nei corridoi del liceo, come ricorda la super testimone dell’accusa Patrizia Bianchi.
“Verrà la morte e avrà i tuoi occhi /questa morte che ci accompagna dal mattino alla sera, insonne, sorda, come un vecchio rimorso o un vizio assurdo/”.
Stefano, poi studente di Filosofia cui slanci giovanili verranno schiacciati dall’eroina, sviscerava tutti le opere del suo autore preferito, specchiandosi nelle sue inquietudini, ma quella poesia lo tormentava più di tutto. “Con corrispondenza impressionante – scrivono i giudici – ‘Verrà la morte e avrà i tuoi occhi’ è stata trovata da lui trascritta, nella sua abitazione, durante una recente perquisizione “. E per la Corte d’Assise sempre questa lirica firmata dallo scrittore morto suicida, “è un elemento che individua Stefano Binda come l’amore segreto” di Lidia. Voleva condividere un pezzetto delle ossessioni di Stefano e per questo la custodiva in borsetta. Lei ragazza discreta e brillante, a sua volta amante della poesia tanto che è uscita una raccolta postuma, si era invaghita di quel giovane “molto intelligente e carismatico, famoso per la sua capacità di risolvere enigmi” prima a scuola e poi nell’ambiente di Comunione e Liberazione che entrambi frequentavano. “Un amore impossibile”, come lei stesso lo definì in una lettera senza fare il nome di Stefano ma per i suoi amici dell’epoca non c’è dubbio che si riferisse proprio a lui. Binda è stato arrestato il 15 gennaio del 2016, al termine di una sorprendente indagine dell’allora pg di Milano Carmen Manfredda che aveva riaperto il fascicolo dopo 27 anni di inerzia. La prova principale contro di lui è una lettera intitolata ‘In morte di un’amica’ recapitata anonima il giorno delle esequie alla famiglia Macchi. Per i giudici l’autore sarebbe stato Stefano Binda come dimostrerebbero i “molti riferimenti ala scena del crimine oggettivamente riscontrabili alla prima lettura” di quella che definiscono “una poesia”. Ancora una poesia, questa volta tutta sua. (manuela d’alessandro)