giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

Expo, Sala prosciolto… inutili le indagini a babbo morto

Le indagini a babbo morto ad anni di distanza dai fatti sono inutili e non portano da nessuna parte chi le fa. In questo caso la Procura generale della Repubblica di Milano che aveva cercato di fare il lavoro che la procura ai tempi decidendo per la moratoria in nome della celebrazione dell’evento Expo a tutti i costi aveva scelto di non fare. Il sindaco Beppe Sala è stato prosciolto dal gip dall’accusa di abuso d’ufficio relativa all’affidamento alla Mantovani senza gara della fornitura di alberi pagati 6 volte tanto.

Si tratta di una storia assurda dalla quale non esce bene nessuno. La procura retta da Edmondo Bruti Liberati per prima. A dimostrarlo restano le parole dell’allora premier Matteo Renzi che ringraziava Buti “per il senso di responsabilità istituzionale” inserito tra le cause del “successo di Expo”.

La procura generale ha sfiorato il ridicolo con i cambi di imputazione, prima la turbativa d’asta, poi l’abuso d’ufficio e a una settimana dalla fine dell’udienza preliminare l’aggiunta della violazione relativa alla normativa europea. Le perquisizioni ordinate alla Gdf 3 anni dopo non potevano che rivelarsi un solletico.

Beppe Sala, portatore di un conflitto di interessi gigantesco tra amministratore di Expo e candidato sindaco poi eletto, anche perché senza nemmeno interrogarlo la procura chiedeva e otteneva il suo proscioglimento dall’accusa di aver favorito Oscar Farinetti con l’affidamento della ristorazione di due padiglioni. Anche in questo caso senza gara pubblica, in pratica una costante. Perché va ricordato che per i fondi di Expo-giustizia i vertici del palazzo di via Freguglia omettevano le gare affidandosi ad aziende che avevano consuetudine con la pubblica amministrazione. Tra queste una con sede legale nel paradiso fiscale del Delaware.

Su presunte responsabilità dei magistrati e dei giudici di Milano ci sono fascicoli aperti a Brescia e a Venezia di cui si sa poco o nulla. E non è detto che ne sapremo qualcosa. Tutto si tiene. Soprattutto a babbo morto. (frank cimini)

“Sono bugiarde”, nei guai per Maroni l’avvocato Rossello e la portavoce Votino

 

“Mi sento in imbarazzo qui, non è il mio ambiente”, aveva ammesso con un candore raro per un avvocato di lungo corso, già legale di Silvio Berlusconi nella sua causa di separazione e coinvolta nella vicenda del ‘papello’ dei Ligresti. Era il 23 febbraio 2017 e la neo deputata di Forza Italia, Cristina Rossello, si era appena liberata  di un’impegnativa testimonianza nel processo a carico di Roberto Maroni accusato, tra l’altro, di avere esercitato pressioni indebite per portare in missione a Tokyo,  a spese di Expo, la sua collaboratrice e amante Maria Grazia Paturzo. Infastidita, Rossello si era avvicinata ai cronisti in aula chiedendo  di non fare riferimenti nei loro articoli ad alcuni passaggi della sua deposizione. Ora il pm Eugenio Fusco, in coda alla requisitoria conclusa con la richiesta di condanna a 2 anni e sei mesi di carcere per l’ex Governatore, ha chiesto al Tribunale di trasmettere gli atti della sua testimonianza e di quelle della Paturzo e della storica portavoce di Maroni, Isabella Votino, alla Procura. “Dichiarazioni assolutamente mendaci”, per il pm,  rese in aula dalle due ex amiche, proprio in relazione alla liason tra Paturzo e Maroni.  Il pm aveva interrogato Rossello sul contenuto di alcuni sms che si era scambiata con la portavoce, prima della trasferta giapponese, poi annullata secondo l’accusa “per la gelosia della Votino” nei confronti della Paturzo.

“Isabella aveva una gelosia professionale nei confronti di un’altra donna vicina a Roberto Maroni – così l’avvocato aveva ricostruito l”Eva contro Eva’ al Pirellone – La sua era una preoccupazione lavorativa, e di diminuzione del proprio ruolo professionale. C’era un’altra persona di fiducia molto presente nella vita del Presidente. Isabella è molto brava nel suo lavoro di pubbliche relazioni. Ma lì non stava più bene, forse aveva fatto il suo tempo. Così le suggerii di trovare un lavoro nel privato”. Dopo che saltò la missione in Giappone, Rossello aveva troncato il suo rapporto con Votino perché “ero stanca dei pettegolezzi”. Quali pettegolezzi?, la domanda del pm e dei giudici. “Spesso nelle attività professionali ci possono essere gelosie tra donne e io ho temuto fosse un sentimento di gelosia professionale, non di altro”.

Una versione simile a quella consegnata al Tribunale dalla Votino la quale aveva motivato così il suo disappunto per la possibile presenza della Paturzo a Tokyo: “Non mi ero trovata bene con lei in una precedente esperienza di lavoro, a volte succede. Non ero contenta di lavorare con lei e questo mi creava disagio. Quando al telefono dissi che che avrei liberato il mio posto se ci fosse stata lei, sarà stata una battuta, il tono non si evince dal testo. In quei  giorni non mi sentivo bene, ero stressata anche per motivi familiari”.

“Sono una persona affettuosa, scrivo messaggi in cui esprimo il mio affetto anche a parenti e amici”,  la versione di Paturzo per  gli scambi intercettati al telefono con Maroni. Messaggi che, ha svelato il pm nella requisitoria, sono stati ridotti all’essenziale nelle trascrizioni, evitando quelli “morbosi e sgradevoli” rivelatori della storia che avrebbe fatto infuriare la Votino.

(manuela d’alessandro)

La notte che tutti erano liberi al carcere di Opera

Una serata di “Rinascimento”, così la introduce Angelo Aparo, lo psicologo che da anni porta i detenuti a parlare coi ragazzi nelle scuole. E sembra proprio immaginarla maiuscola la ‘R’ di rinascimento perché c’è una cattedrale di bellezza che fiorisce in questa notte speciale al carcere di Opera dove si trovano assieme magistrati, carcerati, vittime e giornalisti, ispirati dal documentario ‘Lo Strappo – quattro chiacchiere sul crimine’.

Assieme davvero: nessuno parla per sé ma il dialogo è continuo, un filo che tutti tessono tra le mani, che a volte brucia ma non si spezza per un secondo. Tutti in cerchio, attorno allo stesso fuoco. Come Adriano Sannino, che sta scontando la pena, e l’ex procuratore antimafia, Franco Roberti. Si erano sfiorati, anni fa. “Dopo avere sentito le lettere della vittime, mi sento piccolino vicino a questo dolore così  forte. In passato ho usato tante ‘maschere’ in carcere, ora per me è un onore stare a fianco del dottor Roberti, che conosce  quei processi in cui ero coinvolto. Io vengo da Poggioreale, sono campano, come lui. Ero dall’altra parte della giustizia, ero lì per distruggere la società. Chiedo scusa alle vittime in sala perché ho ucciso. Ma ho incontrato delle persone che mi hanno preso per mano e mi hanno fatto innamorare della vita. Grazie al direttore Giacinto Siciliano (ora a San Vittore, ndr), al ‘Gruppo della trasgressione’ di Aparo, a chi lavora in carcere”.

O come Alessandro Crisafulli, 45 anni, in carcere da 24, ergastolano. Lui ha in testa un ponte. “Siete voi, familiari, i coraggiosi, voi siete la parte che ha subito, sono io che devo fare degli sforzi per venirvi incontro. Sono un ex assassino, non ci sono parole ma io devo trovare qualcosa da dire se vogliamo costruire questo ponte a cui tutti ambiamo. Se oggi potessi incontrare il ragazzo che uccideva, 25 anni fa, più che parlargli, ascolterei i silenzi che gravavano su di lui che viveva in una famiglia silenziosa dove non era riconosciuto in alcun modo”.

Non è una strada dritta, quella dei detenuti che provano a essere liberi in una prigione. Chiede un giovane recluso dal pubblico: “Perché alcuni del ‘Gruppo della trasgressione’ quando escono in permesso commettono ancora reati?”. “E’ difficile dirlo. Io quando esco – ragiona Crisafulli – mi dico: come posso tradire chi mi ha preso in una discarica e mi ha messo su una strada? Come posso tradire ancora quel ragazzo che ero?”.

Non era nemmeno un ragazzo l’avvocato Umberto Ambrosoli quando suo padre Giorgio venne assassinato l’11 luglio del 1979.  Alla domanda dal pubblico su cosa si aspettino i familiari delle vittime dalla giustizia, rianima un episodio che ammutolisce: “Uno dei tre condannati per l’omicidio di mio padre  ripresentò,  5 anni dopo una prima richiesta respinta, una domanda di grazia. Venni chiamato dai carabinieri, com’era già successo la prima volta, che mi consegnarono un modulo per esprimere il mio eventuale consenso.  In quei giorni, mi arrivò la mail della figlia che diceva che il padre era un uomo ormai molto anziano, aveva sbagliato tutto nella vita ma aveva il diritto a morire vicino ai suoi figli.  Rimasi pietrificato, non avevo mai pensato che quell’uomo potesse avere un figlio. Degli altri due conoscevo alcuni dettagli della famiglia, ma non mi ero mai posto domande sul terzo. Mi sono sentito in colpa perché avevo perso un’occasione di curiosità per fare un percorso. Qualche settimana dopo quell’uomo è morto senza che si completasse l’iter processuale”.

Mario, ergastolano, pone un’altra domanda che farebbe paura in ogni luogo, ma non qui, stasera. “Dopo tanti anni coi compagni del Gruppo, ci siamo guardati dentro e oggi ho preso coscienza della mia colpa. Spero di poter restituire qualcosa di significativo del mio cambiamento, anche se sembra un’offesa dirlo davanti alle vittime. Ce la stiamo mettendo tutta, anche coi ragazzi delle scuole (alcuni sono in sala, ndr). La mia domanda è: cosa faccio della mia colpevolezza?”. Manuela Massenz, magistrato di Monza, risponde col coraggio che merita una domanda così:”Prendendo per mano quei ragazzi, come poteva essere Alessandro 25 anni fa, in un certo modo restituite quello che avete tolto”. Se non si dovesse chiudere per motivi di ‘palinsesto’, la sensazione è che si potrebbe andare avanti fino all’alba. C’è tempo anche per l’ammissione dei giornalisti, Paolo Colonnello e Max Rigano, che lo ‘strappo’ per i media, disinteressati alle carceri, non c’è ancora stato. Tocca al direttore Silvio Di Gregorio, che ha raccolto l’eredità preziosa di Siciliano, mandare tutti a dormire: chi fuori, chi dentro. Non prima di avere ringraziato gli straordinari della polizia penitenziaria “che sta lavorando per l’occasione dalle 8 di stamattina”. Una cattedrale ha bisogno di tutti per diventare alta e bella. (manuela d’alessandro)

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Il video della serata a Opera girato da Radio Radicale

 

“Aiuto, ci tagliano lo stipendio”, le paure delle toghe sul governo M5S

“Un conto è il taglio degli stipendi pubblici (tutti, però) nell’ottica di un risparmio generalizzato. Tutt’altra cosa è che una forza politica che si presenta come nuova ma che di nuovo, rispetto ai tradizionali populismi del passato, ha solo le forme del suo postmoderno linguaggio propagandistico, individui la magistratura, nell’ambito della pubblica amministrazione, quale unico settore a cui tagliare, peraltro maldestramente, gli stipendi”.

Considerazioni acuminate di uno dei magistrati che partecipa al dibattito più caldo del momento nella mailing list di Anm, quello sul possibile Governo a 5 stelle e sull’attuazione del programma per la giustizia stilato dal Movimento   ”Non raccontiamoci storie – prosegue – in questo caso non c’entra nulla l’Unione Europea, che ormai è diventata solo l’alibi dei fallimenti nazionali e che l’internazionale sovranista e populista, a trazione russa, prende a pretesto per agguantare facilmente il potere e ridisegnare i futuri assetti geo – politici. Si tratta solo di un espediente demagogico che ha facile presa nel ‘popolino’ ignorante e/o superficiale e in certe élite rancorose e disoneste”.

Il tema è, anzitutto, come interpretare il punto del programma sulla retribuzione dei magistrati: “il riconoscimento dell’indennità aggiuntiva avvenga solo per coloro che ricoprono davvero il ruolo corrispondente (ad esempio, l’indennità magistrato di Cassazione valga solo per coloro che lavorano in Cassazione”.  Che vuol dire? Stipendio e indennità sono sinonimi? Ecco qualche ipotesi provenienti da vari partecipanti alla discussione (sono magistrati che lavorano in diverse sedi). Dice uno: “La parola stipendio è molto più chiara…però hanno usato la parola indennità…non sopravvalutiamoli…purtroppo semplicemente non sanno”. E un altro: “E’ ovvio che intendono stipendio, ma dovendolo spiegare al diciottenne e al disoccupato poco scolarizzato, hanno utilizzato il loro tipico linguaggio social – media popolare, con categorie retributive comprensibili, come indennità”. E un terzo, più tecnico: “Il timore è che la cosa potrebbe essere intesa nel senso che lo stipendio previsto un anno dopo la terza sia dato solo a chi svolge funzioni di appello, quello della quinta solo a chi sta in Cassazione e via così. (il riferimento è alle valutazioni periodiche che danno luogo all’aumento di grado e stipendio, ndr). Ovviamente è tutta una follia, ma viste le premesse…”.

Un altro, netto: “La buona notizia è che non esiste già alcuna indennità aggiuntiva…la cattiva è che evidentemente non sanno nulla di ciò di cui parlano”.  Un’altra gli risponde: “Nel programma ci sono anche proposte di tagli dei nostri stipendi, non più progressione per anzianità, ma per le funzioni effettivamente svolte”.  Non tutti hanno paura di un eventuale esecutivo guidato da Luigi Di Maio. E anzi ci vanno giù pesante coi colleghi: “Certi privilegi vanno meritati, oppure sono sentiti come ingiusti. Per il nuovo che avanza siamo solo parte della razza padrona. Ed effettivamente, ormai tutti avvoltolati nelle nostre questioni impiegatizie, di carriera, di rancori che non si riesce a sopire, di miserabili ambizioni, come certe volte appariamo, anche nei dibattiti in questa lista, incapaci di andare oltre la nostra pancia, possiamo facilmente essere scambiati come tali”. E un altro, riferendosi al sorteggio per la composizione del Csm pure ipotizzato nel programma, scrive: “C’è una parolina che terrorizza centinaia e centinaia di magistrati…Sarà questo che comincia a preoccupare alcuni nostri rappresentanti associativi e correntizi?”. (manuela d’alessandro)

Giudice milanese, le toghe non hanno immunità, accettino le critiche

 

Sì, criticare un magistrato si può, anche utilizzando espressioni corrosive e iperboliche. Viene da dire grazie al giudice milanese Maria Teresa Guadagnino che, in fondo, dice l’ovvio perché non fa altro che esaltare la nostra Costituzione nei suoi valori di libertà più preziosi. Ma lo dice in un modo così efficace da far diventare la sua sentenza di assoluzione nei confronti di Giuliano Ferrara, accusato di avere diffamato il pm Antonino Di Matteo, un ‘manifesto’ del diritto alla critica giudiziaria. A definirla proprio così è lo stesso magistrato in un passaggio delle sue motivazioni: “E’ evidente che la libertà, riconosciuta dall’articolo 21 della Costituzione e dall’articolo 10 della Cedu, di manifestazione del pensiero e di formulazione di critica nei confronti di chi esercita funzioni pubbliche comprenda il diritto di critica giudiziaria, ossia l’espressione di dissenso, anche aspro e veemente, nei confronti dell’operato di magistrati i quali, in quanto tali, non godono di alcuna immunità, nonché degli atti da costoro compiuti”. Il fondatore del ‘Foglio, nell’articolo pubblicato sul quotidiano il 22 gennaio 2014, dal titolo ‘Riina: lo Stato come agente provocatore’, tra le altre cose aveva definito i colloqui tra il boss Salvatore Riina e Alberto Lorusso, compagna d’aria del ‘capo dei capi’ a Opera, come “una spaventosa messa in scena” architettata “da qualche settore d’apparato dello Stato italiano per mostrificare il Presidente della Repubblica, calunniare Berlusconi e monumentalizzare Di Matteo e il suo traballante processo”.

“E’ assolutamente lecito – argomenta Guadagnino, già nel collegio che condannò Silvio Berlusconi per la vicenda Mediaset – che un giornalista esprima la propria opinione in merito a un processo così rilevante, anche sotto il profilo politico, criticando metodi utilizzati e/o risultati ottenuti dai magistrati. In tal senso, non appare censurabile il riferimento nell’ultima parte dell’articolo al ‘rito palermitano’ e alla ritenuta mancanza di serietà delle inchieste giudiziarie”. Per il magistrato milanese che lo ha assolto, “il giornalismo scomodo e polemico di Ferrara, certamente non privo di espressioni allusive e iperboliche e di espedienti retorici, non persegue l’obiettivo di ledere l’onore e la reputazione della persona offesa, ma solo quello di disapprovare alcuni fatti e comportamenti connessi al processo che ancora si sta svolgendo davanti alla Corte d’Assise di Palermo”. (manuela d’alessandro)

motivazioni assoluzione Ferrara