giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

Hosni denuncia violenza sessuale in carcere, la Procura indaga

A San Vittore c’è un direttore che non ha paura di fare chiarezza su quello che accade nell’oscurità delle celle. Giacinto Siciliano ci ha messo un secondo a mandare in Procura una denuncia che, se trovasse riscontri, coprirebbe d’imbarazzo il carcere. Ai primi di gennaio, Ismail Tommaso Hosni, il 20enne italo – tunisino arrestato per avere aggredito in stazione Centrale due militari e un agente della Polfer, mette a verbale di essere stato violentato e chiede di essere portato alla clinica Mangiagalli.

Stamattina, a margine dell’udienza in cui la Procura ha chiesto  di condannarlo a dieci anni di carcere tenuto conto di quello che considera un vizio parziale di mente, il suo avvocato, Giusy Regina, ha raccontato di avere ricevuto un paio di giorni fa una relazione dei sanitari di San Vittore che confermerebbe l’abuso. Il legale ha anche manifestato perplessità perché il ragazzo non è stato trasferito in un altro istituto. Nel corso del processo col rito abbreviato, una perizia psichiatrica disposta dal giudice ha accertato che Hosni è “capace di stare in giudizio” ma la sua “capacità di intendere e di volere era grandemente scemata al momento del fatto”. Un ragazzo fragile, con problemi di droga in passato, che risponde anche di terrorismo internazionale in un’inchiesta parallela che va tuttavia verso l’archiviazione perché non sono emersi elementi a suo carico. “Se dovesse essere condannato – spiega l’avvocato Regina che ha chiesto in prima batttuta l’assoluzione per vizio totale di mente  – ho chiesto ai giudici di affidarlo a una comunità terapeutica dove possa essere curato. Il carcere per lui è solo dannoso”. (manuela d’alessandro)

Morì di parto, il mistero non risolto dalla Procura dell’ecografia scomparsa

Un’ecografia scomparsa, che forse avrebbe potuto cambiare l’indagine sul decesso di una donna morta di parto che va invece verso l’archiviazione. Un fatto gravissimo accaduto alla San Pio X, una delle più prestigiose cliniche private milanesi. Ma la Procura di Milano ha chiuso con un ‘nulla di fatto’ l’inchiesta  sulla misteriosa sparizione dell’immagine diagnostica perché non riesce a individuare l’autore della cancellazione.

E’ il 16 ottobre 2015 quando Katia, 40 anni, incinta all’ottavo mese, si presenta col marito in clinica lamentando forti dolori al basso ventre. Vengono eseguiti tutti gli esami del caso da cui, secondo i due consulenti nominati dalla Procura, “non emergeva  alcun indizio della rottura dell’utero in corso” che provocherà la morte della donna e del bimbo in  grembo poche ore dopo le dimissioni, nonostante i tentativi disperati di salvarli al Niguarda.

Tra gli accertamenti anche quella che in ‘medichese’ si chiama ecografia office, uno strumento per valutare i parametri materni e fetali che, a detta dei sanitari sentiti nelle indagini, non avrebbe segnalato nulla di preoccupante. Ma di quell’ecografia non è rimasta traccia perché qualcuno “intenzionalmente”, si legge nella richiesta di archiviazione per i 5 indagati (medici e ostetrica) firmata dal pm Maura Ripamonti, che ha ereditato le indagini della collega Roberta Colangelo, ha eliminato l’immagine “com’è testimoniato dalla circostanza che si tratta dell’unico esame che risulta essere stato cancellato su quell’apparecchio e che, in particolare, sono regolarmente presenti l’ecografia precedente e quella successiva”.

Scrive il pm, dopo avere evidenziato che gli esami non suggerivano il ricovero: ”Forse maggiori elementi avrebbero potuto essere tratti dall’ecografia eseguita. Impossibile però sostenerlo in assenza delle immagini. Non è escluso – anzi è verosimile – che chi l’ha cancellata abbia agito proprio con questo obbiettivo”. Perché qualcuno ha voluto oscurare l’esame se davvero il suo esito era tranquillizzante?

Intanto, i familiari della donna hanno presentato opposizione all’archiviazione dell’indagine per omicidio colposo e aborto colposo a carico dei sanitari della San Pio X e del Niguarda, basata anche sui risultati delle perizie da cui risulta che “non vi era indicazione alcuna a trattenere in osservazione la paziente, né vi era ragione di procedere ad ulteriori accertamenti diagnostici”. Il gip Laura Marchiondelli si è riservata di decidere.  Ed è verosimile che i parenti  si oppongano anche alla richiesta di far calare il sipario sulla sparizione dell’ecografia. Se c’è qualcuno che nasconde gli esami sarebbe tranquillizzante conoscere la sua identità per chi si fa curare in quella clinica, oltre che per chi amava Katia, morta poco prima di diventare mamma. (manuela d’alessandro)