giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

Bufale, giornali e apparati bisognosi di gloria e di soldi

Era una bufala in piena regola. Se ne era avuta la certezza già leggendo l’articolo in prima pagina ieri sul Corriere della Sera in merito a un molto presunto attentato di Capodanno che girava intono a tre marocchini i quali prenotavano e pagavano con 700 euro un albergo per poi non farsi vedere. Uno dei tre “forse” in passato avrebbe avuto un contatto con un sospetto fondamentalista. Questo bastava per scatenare la notte dell’ultimo dell’anno intorno all’albergo e a una vicina festa con 5000 persone poliziotti di ogni tipo ai quali toccava alla fine accertare che non era successo niente.

Oggi giorno successivo allo scoop il quotidiano di via Solferino non ha scritto una riga. In pratica c’è la conferma della bufala, che però dovrebbe portare ad aprire una discussione seria su un argomento tabù: nel nostro paese ci sono in materia di terrorismo e affini apparati investigativi enormi, spropositati rispetto alle necessità che costano un sacco di quattrini. E operano dove  attentati di matrice islamica non ce ne sono stati. La prevenzione è attività necessaria ma da svolgere in silenzio. Con ogni probabilità la fine di giustificare la loro attività pagata ovviamente con soldi pubblici in quantità che non è dato conoscere causa segreto di stato queste strutture inventano pericoli. Naturalmente con la complicità di giornali e giornalisti che in realtà non vedono l’ora di gridare “al lupo al lupo”, perché bisogna stringersi tutti in un grande abbraccio intorno allo stato democratico che ci protegge.

Leggendo lo “scoop” di ieri del Corrierone e ascoltando le bufale di complemento dei telegiornali, dove si è soliti mai verificare il contenuto della carta stampata, in molti se non tutti sono orientati a pensare a un pericolo reale. E così il gioco è fatto. In tempi di spending review dove possiamo già contare sulla commissione Moro che spreca denaro mandando la pg in via Fani 40 anni dopo con il laser. Per scoprire che a sparare furono solo le Br come avevano stabilito cinque o sei processi. (frank cimini)

Spese pazze, la sentenza per i consiglieri lombardi arriva dopo il voto

Col rinvio dell’udienza di oggi al 28 febbraio, viene meno la possibilità che si arrivi alla sentenza di primo grado del processo a carico di 56 consiglieri ed ex regionali lombardi accusati di avere sperperato oltre 3 milioni di euro con i fondi messi a disposizione dallo Stato per l’attività politica e istituzionale.

Non possiamo dire se sia una buona o cattiva notizia per per Luca Gaffuri, ex capogruppo e attuale consigliere del Pd, Elisabetta Fatuzzo (Pensionati), i leghisti Angelo Ciocca e Massimiliano Romeo (quest’ultimo capogruppo), e Alessandro Colucci di Nuovo centrodestra, i 5 imputati ancora in carica che potrebbero ripresentarsi alle urne il 4 marzo. E nemmeno per altri che, saltato un giro, potrebbero candidarsi di nuovo. Forse alcuni, certi di un riconoscimento della loro innocenza,  avrebbero voluto essere giudicati prima di riproporsi al di sopra di ogni sospetto, altri invece temevano l’eventuale condanna da parte dei giudici.

Il processo è di quelli sul crinale, dove tutto potrebbe accadere, anche, nelle migliori delle ipotesi per le difese, un’assoluzione di massa oppure una sentenza di condanna ma con riqualificazione del reato da ‘peculato’ a ‘indebita percezione di erogazioni’ pubbliche che aprirebbe le porte della prescrizione, come accaduto  di recente  a 3 ex consiglieri condannati col rito abbreviato in primo grado. In questo caso, i giudici d’appello sembrerebbero avere accolto la tesi che i soldi non erano direttamente a disposizione dei consiglieri ma venivano erogati dai capigruppo.

Certo è che il processo era iniziato un’era fa, il primo luglio del 2015 e non ha avuto certo ritmi serrati, con udienze spesso a distanza di un mese dall’altra. Le richieste di condanna fino a sei anni di carcere del pm Paolo Filippin risalgono all’8 marzo scorso, sono ancora in corso le arringhe delle difese.

E anche i fatti contestati dalla Procura appartengono al Neolitico della politica lombarda: soldi pubblici usati tra usati tra il 2008 e il 2012 per necessità personali come regali di Natale, corone di fiori e necrologi sui quotidiani, rami di orchidee, un banchetto di nozze per la figlia, vacanze sulle neve. E ancora, pranzi e cene, anche in ristoranti a cinque stelle talvolta a base di aragosta o sushi, caricabatterie e custodie protettive per telefoni touch, I-Phone, computer, fino alle cartucce da caccia, ai gratta e vinci ai feltrini antiscivolo per le seggiole e ai wafer. (manuela d’alessandro)