Il tempo scivola sulla colata di cemento senza grazia che da 22 anni vive un’eterna attesa tra i vasti campi di grano e le rogge sottili attorno all’abitato di Opera. E trascorre anche per la Corte dei Conti e per la Procura di Milano che sembrano non avere alcuna fretta di accertare come sia possibile che l’aula bunker eretta a fianco del carcere per ospitare i maxi processi abbia inghiottito milioni di euro e tonnellate di carte e promesse, senza mai un taglio del nastro. Eppure le denunce della Procura Generale e della Corte d’Appello alla Procura su quelle che appaiono lampanti negligenze (a pensare bene) da parte di chi si è occupato del dossier risalgono a più di due anni fa.
Siamo tornati in un giorno di fine agosto a visitare il cantiere. In apparenza, nulla è cambiato rispetto a quando riuscimmo a infilarci tra le mura per documentarvi lo stato di abbandono del bunker e l’orrore delle gabbie arrigginite.
“A luglio verrà inaugurato, a breve dovrebbe partire la selezione delle imprese che lo arrederanno”, ci aveva assicurato a marzo 2015 il provveditore alle Opere Pubbliche Pietro Baratono. E un anno dopo, il procuratore generale Roberto Alfonso aveva garantito che era questione solo di concludere i contratti per gli allacciamenti del gas. Ora, il direttore del penitenziario Giacinto Siciliano, che non ha nessuna responsabilità in questa storia ma ne è solo spettatore, assicura che “i lavori edili sono terminati, mancano gli arredi e gli allacciamenti verranno messi in prossimità dell’inaugurazione”.
Di certo, la strada lunga circa 300 metri e il parcheggio che avrebbero dovuto nel progetto iniziale consentire ad avvocati, magistrati e pubblico di raggiungere il bunker non verrà mai costruita perché i terreni non sono mai stati espropriati. Toccherà al carcere consentire il passaggio di chi vorrà recarsi nella struttura, a meno che non si voglia fare come noi, arrivarci attraverso una scorribanda tra i campi, fango d’inverno, ortiche d’estate.
Arrivarci, e poi: per fare cosa? Il terzo bunker nel territorio milanese ha un senso in un’epoca in cui i maxi processi non si fanno quasi più? E chissà se qualche magistrato avrà il coraggio di dormire nella stanze all’ultimo piano pensate per farli riposare tranquilli durante le camere di consiglio. Loculi, alcuni dei quali senza finestre e senza bagno, nei quali è auspicabile che nessun giudice trascorra la notte, per il bene degli imputati. (manuela d’alessandro)
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