giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

Sulla piastra Expo il pg vuole indagare ancora 6 mesi

Con ogni probabilità il sostituto procuratore generale Felice Isnardi chiederà altri sei mesi per indagare sulla “piastra”, l’appalto targato Expo da 272 milioni di euro vinto con un ribasso del 42 per cento dalla Mantovani. La notizia, anticipata dal ‘Fatto Quotidano’, viene confermata oggi in ambienti giudiziari. Evidentemente i 30 giorni decisi dal gip dopo l’avocazione del fascicolo da parte della procura generale non possono bastare per accertare che cosa accadde veramente. Insomma c’è ancora lavoro da fare. Quello che la mitica procura di Milano allora guidata da Bruti Liberati non fece. “Non c’era tempo per la verifica di congruità” fu la spiegazione di Expo alla quale i pm aderirono nella sostanza e non è stato l’unico episodio del genere.

Era accaduto pure per la mancata gara pubblica in relazione a due padiglioni della ristorazione, assegnata a Oscar Farinetti. Ci fu un’indagine lampo sul numero uno dell’evento Beppe Sala, nemmeno interrogato, e archiviazione dell’accusa di abuso d’ufficio. “Sala favorì Farinetti ma non è provato che ne avesse l’intenzione”, la tesi della procura nel paese in cui amministratori pubblici sono condannati per molto meno sposata dal giudice, lo stesso che per i fondi di Expo giustizia si affidò ad aziende che avevano consuetudine con l’amministrazione, “ditte amiche”, senza una gara pubblica. Insomma Expo doveva essere fatta e poche chiacchiere. In occasione di eventi speciali la legalità diventa un optional e il diritto si storce. Con il timbro dei magistrati.

Eccolo spiegato il successo di Expo. Bastano le parole con cui per due volte Renzi ringraziò l’allora procuratore Bruti Liberati: “senso di responsabilità istituzionale”.

Su Expo si consumò la guerra interna alla procura tra Bruti e l’aggiunto Alfredo Robledo, prima allontanato dagli interrogatori e poi trasferito a Torino dal Csm. Adesso a più di due anni di distanza è la procura generale a cercare la verità che alla procura per ragion di stato non interessava. Non è detto che ci riesca, ma l’affare intanto si ingrossa (frank cimini)

La Procura di Milano allo sbando dopo il pasticcio sul delitto Caccia

 

Il pasticcio è davvero brutto e la “mitica” procura dà l’impressione di non sapere come uscirne. Rocco Schirripa era stato arrestato il 21 dicembre dell’anno scorso, come esecutore materiale dell’uccisione di Bruno Caccia, nel 1983 capo della prcura di Torino. Ma Schirripa era già stato indagato 20 anni fa e poi archiviato. Le manette scattavano senza che la procura avesse chiesto al gip la riapertura formale del caso. Quindi processo da azzerare. Il pm Marcello Tatangelo sabato scorso chiedeva alla corte d’assise la scarcerazione. Richiesta accolta oggi ma nello stesso tempo è scattato il fermo di Schirripa sul quale il gip dovrà decidere entro 48 ore.

Le prove illegittime non sono prove, protesta la difesa. Parliamo delle intercettazioni raccolte dalla procura senza la riapertura formale delle indagini. Ma gli elementi raccolti prima di inserire (per la seconda volta) il nome di Schirripa tra gli indagati possono essere usati. In origine infatti il fascicolo era stato rubricato a modello 44, seza indagati. Certo, un po’ strano se si procede per omicidio. Il panettiere era finito nel registro degli indagati con ritardo. Cioè si indagava su di lui senza farlo formalmente, una procedura anomala troppo spesso usata dagli inquirenti anche con personaggi illustri tanto che Berlusconi ne è stato vittima due volte, nel 1994 (inchiesta tangenti alla gdf) e nel 2010 (caso Ruby).

Non si capisce (ma in realtà si comprende benissimo) perché di fronte a comportamenenti gravi dei magistrati perchè i pm non possono non conoscere vita morte e miracoli di un fascicolo a loro affidato il ministro della giustizia non abbia messo un paio di ispettori sul Frecciarossa per Milano. Del resto anche per il fascicolo Sea “dimenticato” per 6 mesi in un cassetto gli 007 non erano partiti.  Evidentemente le procure, in particolare quella di Milano, sono intoccabili. Poche settimane fa il capo dell’Anm Piercamillo Davigo in un’intervista era arrivato a dire: “I processi sulle primarie non li abbiamo ancora fatti”. La politica si prende gli avvertimenti e tace. E’ ricattabile. (frank cimini)

“Non fate come noi”, la prima volta liberi davanti agli studenti di 2 ergastolani ostativi

“Un cazzotto nello stomaco di ogni coscienza”. Così Giacinto Siciliano, direttore del carcere di Opera, definisce il docufilm ‘Spes contra Spem’, proiettato giovedì scorso per gli studenti dei corsi di diritto penale e penitenziario dell’Università Bicocca, su iniziativa della Camera Penale di Milano.
Ciò che ha reso davvero speciale la proiezione è stata la presenza di tre dei protagonisti detenuti, condannati all’ergastolo. Per due di loro, Gaetano ed Alfredo, era la prima volta fuori dal carcere. Da oltre vent’anni. Eleganti nelle loro giacche, emozionatissimi, così come Giuseppe, di recente ammesso a fruire di permessi premio,
Presentati da Sergio D’Elia di ‘Nessunto tocchi Caino’, sottolineano la volontà di dare una svolta alla propria vita e di essere utili per la società, costituendo un esempio di fallimento nei confronti dei giovani. Ricorre il concetto di “metterci la faccia” per rappresentare la sconfitta di una scelta criminale sbagliata, della quale si assumono la piena responsabilità, pur tentando di trovare spiegazioni.
I ragazzi seguono interessati. Uno degli studenti che fanno parte della “clinica legale” spiega il lavoro fatto per preparare un’istanza di collaborazione impossibile per un ergastolano di Bollate; su domanda di Gaetano, chiarisce che l’ergastolo ostativo, dopo averlo studiato, gli appare come una pena inutile per la società, perché, impedendo un percorso rideucativo, non produce alcun miglioramento nella persona e nella società stessa.
Una dottoranda, dopo aver espresso l’idea che l’ostatività tuteli lo Stato rispetto alla difficoltà di distacco dalle associazioni criminali, ma che, secondo lei, la valutazione del singolo che ha fatto un percorso rieducativo debba prevalere, domanda ai tre detenuti se vi sia un’alternativa. Gaetano ed Alfredo riprendono i documenti che, insieme ad altri detenuti, avevano redatto in occasione degli Stati Generali di Opera; le alternative alla collaborazione ci sono, e sono tutti i comportamenti che dimostrano pubblicamente il loro distacco dalle realtà criminali di cui hanno fatto parte, tali da rendere impossibile il loro rientro. La collaborazione, a distanza di più di venti anni dai fatti per i quali sono stati condannati, sarebbe da loro considerata una scelta sbagliata, perché sarebbe un baratto della loro libertà con la libertà di un’altra persona, che – anche se colpevole – può nel tempo essersi ricostruita una vita differente e distaccata dal crimine.  La loro presenza di fronte agli studenti a dire “non lo fate” è una scelta di rottura.

Torna il concetto di “metterci la faccia”. Gaetano usa una metafora: “è come se la pena inizialmente sia una cura contro un cancro, che piano piano funziona; dopo 25 anni sono guarito, ma siccome 25 anni prima si era stabilito che c’era il cancro, allora il medico deve operare ugualmente anche se la malattia non c’è più. L’ostatività non lascia a me la capacità o l’intelligenza di cambiare. Tu sei stato quello e sarai sempre quello. Credo che non sia accettabile”.
Il dibattito, su domanda di una studentessa, si sposta sul 41 bis: esperienze personali di abusi subiti ma anche di una utilità rispetto al percorso individuale di riflessione, accanto alla consapevolezza delle finalità della norma sul carcere duro. Gli interventi della professoressa Buzzelli e del direttore Siciliano chiudono l’incontro, che termina con l’auspicio che il cambiamento, a prescindere dalla possibilità di accesso ai benefici penitenziari, debba essere riconosciuto e valutato. (avvocato Valentina Alberta)

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La Corte dei Conti ci mette 12 anni per chiudere l’indagine sull’Agenzia regionale del lavoro

 

C’è una giustizia della cui lentezza si parla poco. Ed è quella rappresentata dalla pensosa magistratura che deve ‘far di conto’ e indicare, tra le altre cose, quanto debba risarcire chi sottrae denaro all’erario. Oggi la Procura della Corte dei Conti ha annunciato di avere chiuso un’indagine su 117 consulenze assegnate nel 2005 dall’Agenzia Regionale per l’Istruzione, la Formazione e il Lavoro (ARIFL), ente della Regione che si occupa di interventi pubblici sul mercato del lavoro lombardo.

Sì, 2005, quasi 12 anni fa. E’ una inchiesta ricca di spunti, questa, su una struttura che ha ottenuto fondi comunitari tra cui circa 20 milioni di euro per creare un portale in grado di offrire offerte di lavoro ai cittadini. Sicuramente non è stato semplice per i giudici che lavorano nelle vellutate astmosfere del bel palazzo di via Marina ricostruire le centinaia di “collaborazioni esterne illecite”, le mancanze nella registrazione della contabilità dell’ente, le presunte responsabilità dei 4 dirigenti ai quali è stato inviato l’atto di citazione e che, da presunti innocenti, avrebbero diritto anche loro a un epilogo.

In coda al comunicato, si fa presente che sono in corso “ulteriori accertamenti” sulla gestione dell’Agenzia tra il 2005 e il 2010. Il danno erariale ipotizzato alla fine sarà ben superiore al poco più di mezzo milione di euro contestato solo in relazione al 2005 ma chissà quando il calcolo sarà comppleto e dei giudici si pronunceranno. Proprio non si poteva tagliare prima il traguardo?  Eppure nell’esposto dei revisori dei conti dell’ARIFL alla Corte dei Conti che ha dato il via all’inchiesta nel 2007 c’era già praticamente scritto tutto. (manuela d’alessandro)

Fusco risponde a Robledo, su Finmeccanica nessuna rivelazione ad Aiello

La “guerra” tra l’ormai ex procuratore di Milano Edmondo Bruti Liberati e l’ex aggiunto Alfredo Robledo continua con altri mezzi, cioè a colpi di “memorie” despositate al consiglio giudiziario tra il pm Eugenio Fusco e lo stesso Robledo nel frattempo trasferito a Torino come giudice.

Il consiglio giudiziario entro un paio di mesi dovrà prendere una decisione molto importante dal punto di vista formale, la possibilità per Robledo di vedersi confermare l’incarico di procuratore aggiunto, incarico sul quale la Cassazione modificando la scelta del Csm ha già detto di sì. In ogni caso Robledo non potrà tornare in procura a Milano.

In una memoria Robledo aveva chiesto che Fusco, componente del consiglio giudiziario, si astenenesse nella decisione a causa di incompatabilità e anche un presunto conflitto di interessi.

Al centro della vicenda i rapporti tra Robledo e l’avvocato Aiello all’origine del trasferimento a Torino. “Anche Fusco ebbe rapporti con Aiello” è la tesi di Robledo in relazione all’indagine su Finmeccanica. “Mi viene attribuito di aver rivelato il contenuto di una misura cautelare despoitata il 21 dicembre 2012 di cui successivamente avrei fatto sapere l’esito e il contenuto di informative a carico di Lunardi nelle quale si richiedeva l’emissione di misure cautelari – replica Fusco – Nell’atto prodotto dal dottor Robledo manca un elemento di fondamentale importanza, che può sfuggire a chi legge ma difficilmente a chi scrive: tutte le conversazioni telefonicbe riportate (tra l’avvocato Aiello e un altro legale n.d.r.) sono successive all’esecuzione dell’ordinanza nei confronti di Giuseppe Orsi e Bruno Spagnolini”.

Inoltre Fusco precisa: “Non corrisponde al vero che siano state redatte informative con richiesta di emissione di misura cautelare a carico di Lunardi”.

(frank cimini e manuela d’alessandro)

La memoria con cui Fusco risponde a Robledo

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