giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

“Favori in cambio del condizionatore”, così cade il poliziotto di Mani Pulite che bussò a Craxi

 

Fu lui da capo della Digos a suonare il campanello di casa Craxi nel 1993 per consegnargli il divieto di espatrio su ordine di Antonio Di Pietro. ‘Benedetto’ da Mani Pulite ebbe la sua stella al merito, la carica di assessore alla sicurezza nella giunta Albertini, e poi una carriera scorrevole da buon funzionario dello Stato.

Ora è notte profonda per l’ex questore di Bergamo Fortunato ‘Dino’ Finolli. Il gip gli ha risparmiato l’arresto ma le carte dell’inchiesta sul crac della società Maxwork spa  che ha portato ieri all’arresto dell’imprenditore Giovanni Cottone lo massacrano.

Secondo la Procura della ‘città dei mille’, l’ex questore, che già a causa dei primi sviluppi di questa indagine aveva dovuto lasciare l’incarico,  avrebbe ricevuto da Cottone doni e promesse in cambio del suo impegno a risolvergli piccole grane burocratiche e a girargli qualche ‘soffiata’ sulle indagini che lo riguardavano.

Viaggi e due bracciali d’oro per un totale di oltre 5000 euro di valore,  per lui e per la moglie. L’i-phone 6 per la figlia. Soggiorni sul mare ligure di Arenzano. E perfino un “impianto di condizionamento composto da split e unità esterna per gli uffici della questura”. Aria fresca ’pagata’ dall’allora questore con l’impegno a far ottenere a Cottone “il porto d’armi per uso a difesa personale”, la cittadinanza alla sua fidanzata brasiliana e “l’aggiornamento di alcune segnalazioni arrivate in baca dati”. Peculato, corruzione e istigazione alla corruzione. Tutti reati per i quali una volta Finolli suonava alle porte altrui. (manuela d’alessandro)

Il procuratore Greco, ok a togliere all’imputato il diritto di mentire

“Non ho nulla in contrario che si tolga all’imputato il diritto di mentire, che è una cosa molto particolare che abbiamo in Italia”. Alla presentazione in aula magna del libro ‘Estetica della giustizia’ firmato dall’avvocato Ennio Amodio, il procuratore capo Francesco Greco prende posizione sulla possibilità di eliminare una delle garanzie difensive previste nel nostro ordinamento.

Greco guarda agli Stati Uniti, patria dell’obbligo di essere onesti,  ma solo a metà. “Nei film americani emerge come figura fondamentale quella dell’avvocato perché i diritti non vengono tutelati dalla magistratura. In Italia è diverso: abbiamo un pubblico ministero indipendente che non viene eletto né controllato e si pone nell’immaginario come tutore vero, poi che lo sia o meno è un altro discorso Il pm svolge la funzione che negli Usa ha un avvocato”. Che non vada proprio così lo dimostrano la politicizzazione del Csm, ormai lampante anche a molte toghe, e l’ormai celebre ringraziamento di Matteo Renzi alla Procura milanese per la “sensibilità istituzionale” dimostrata a proposito delle non indagini su Expo.

Ma sulla carta per Greco dobbiamo essere orgogliosi del nostro sistema. “Nel confrontarci col resto del mondo e ragionare sui concetti di garantismo e giustizialismo, dobbiamo chiederci: l’obbligatorietà dell’azione penale e l’autonomia della magistratura sono valori positivi o negativi? Io dico che ci fanno essere un paese più civile degli altri e, nella mia esperienza, vedo che i colleghi stranieri  ci invidiamo e ammirano”. Almeno l’estetica, tanto cara al professor Amodio, è rispetatta.  (manuela d’alessandro)

Tiziana contro il web, perché vince contro Fb e perde contro Google la battaglia sul video

Tiziana contro il web, un disperato tentativo di cancellare le orme di quel video pornografico che le aveva rovinato la vita. Dalla sentenza del giudice civile a cui si era rivolta a luglio per far oscurare le immagini traspare la lotta della ragazza contro tutti, grandi e piccoli della rete. Tiziana Cantone, pentita per avere lei stessa contribuito a diffondere la sua intimità, vince su facebook e su due testate online ma perde contro google, yahoo Italia e youtube e altri giornali . E’ il 10 agosto. Poco più di un mese dopo si toglie la vita.

Tiziana contro Facebook: “come hosting provider”, spiega il giudice di Aversa Monica Marrazzo , “non ha un generale obbligo di controllo preventivo sui sempre più estesi contenuti immessi in rete”, ma qui ce l’avrebbe avuto perché “l’articolo 16 del decreto 70/123 dispone per gli hosting provider che l’irresponsabilità viene meno ove sia al corrente di fatti che rendono manifesta l’illegalità dell’attività o dell’informazione”. In questo caso, “tenuto conto della manifesta illiceità dei contenuti lesivi della reputazione della Cantone propalati in rete, il social avrebbe dovuto rimuovere i contenuti, senza aspettare l’arrivo della magistratura”.

Tiziana contro Yahoo Italia: il legale sbaglia indirizzo. “La società che fornisce il servizio non è Yahoo Italia ma la diversa società avente sede in Irlanda, la Yahoo Enea Limited”. Yahoo vince.

Tiziana contro Google: “non c’è l’obbligo per i catching provider (che memorizzano solo temporaneamente contenuti di terzi al fine del loro successivo inoltro ad altri destinatari a loro richiesta) di rimuovere tutte le pagine e i siti web che siano il risultato della ricerca a seguito della digitazione del nome e del cognome della ricorrente”. In questo caso ci sarebbe voluto un provvedimento del garante o della magistratura per obbligare il motore di ricerca a intervenire.

Tiziana contro Youtube: “in linea teorica” ci sarebbero stati i presupposti per l’accoglimento della domanda della ragazza ma nel ricorso il legale non ha precisato “con chiarezza” i video illeciti pubblicati sulla piattaforma.

Tiziana contro i giornali online: è diritto di cronaca pubblicare delle immagini solo perché sono diventate di interesse pubblico? Il diritto di cronaca, argomenta il magistrato, non può risultare utile a pubblicare qualsiasi notizia riguardante la vita privata di una persona solo perché la stessa sia entrata a far parte della curiosità collettiva ove la notizia non venga riportate con le cautele che si impongono per il rispetto della dignità della persona”.

Tiziana e il diritto all’oblio:  per il giudice “non si ritiene che rispetto al fatto pubblicato sia decorso quel notevole lasso di tempo che fa venir meno l’interesse della collettività all conoscenza di questa vicenda”.

Alla fine Tiziana viene condannata a pagare 20mila euro di spese legali. Conseguenza beffarda dell’applicazione della legge.

(manuela d’alessandro)