giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

Sui no Expo flop della procura, crolla il teorema della ‘devastazione’

Crolla il teorema della devastazione, l’accusa che la procura di Milano, quella della moratoria sugli appalti Expo, aveva formulato a carico di 4 imputati nel processo con rito abbreviato concluso questa mattina in relazione alla manifestazione del primo maggio. 3 imputati sono stati assolti dall’imputazione più grave, devastazione e saccheggio, uno solo è stato condannato a 3 anni e 8 mesi, pena minima considerando che per questo reato si rischiano da 8 a 15 anni di reclusione.

Uno degli imputati è stato assolto da ogni accusa e questo significa che ha fatto 6 mesi di custodia cautelare gratis. Per resistenza aggravata il gip ha deciso due condanne; a 2 anni e 2 mesi e a 1 anno e 8 mesi. Va considerato che a ottobre scorso erano state emesse 10 misure di custodia cautelare in carcere. 5 di questi provvedimenti riguardavano giovani greci per i quali la corte di appello di Atene aveva respinto la richiesta di estradizione, puntualizzando che  la responsabilità collettiva non esiste, che c’è solo quella personale e che nel capo di imputazione non era indicata la responsabilità di fatti specifici per ognuno degli indagati.

La motivazione dei giudici greci, illustrata dai difensori degli imputati davanti al gup, ha finito per influire sulla sentenza. “Considerando tutto, la procura ha perso 9 a 1: su 10 misure carcerarie emesse c’è un solo condannato per devastazione e saccheggio. Un decimo indagato non è ancora arrivato al vaglio dei giudici perché si trova all’estero.

Insomma la montagna della procura ha partorito il classico topolino. Questo accade dopo che i provvedimenti restrittivi erano stati emessi a sei mesi dai fatti quando le esigenze cautelati erano tutt’altro che attuali. Si tratta di un processo che poteva essere celebrato con gli indagati a piede libero, ma la procura aveva scelto deliberatamente di drammatizzare i fatti del primo maggio, la protesta dei NoExpo.

Tutto il contrario era accaduto con gli appalti dove dopo un po’ di arresti per corruzione relativi a personaggi già rottamati ai tempi di Mani pulite, le indagini si fermavano alcuni mesi prima dell’inaugurazione dell’evento. E’ la moratoria che ufficialmente viene negata ma che sta nei fatti. E a beneficiarne è stato soprattutto Beppe Sala, prosciolto dall’accusa di aver favorito Oscar Farinetti per la ristorazione, senza nemmeno il disturbo di essere interrogato. Sala evitava di fare la gara pubblica. Che poi è quello che per i fondi di Expo giustizia facevano i vertici del palazzo di corso di porta Vittoria affidando i lavori ad aziende amiche. Significa che assolvendo Sala la magistratura ha assolto se stessa.

Il progetto della “giustizia” era di far pagare per Expo il conto solo a chi era sceso in piazza per protestare. Ma alla fine la procura della moratoria sugli appalti, decisa per non disturbare l’evento e in omaggio alla ragion di stato, ha raccolto ben poco, molto meno di quello che pensava. Il caso del resto si era già ridimensionato se si pensa che a ottobre, al tempo delle dieci misure carcerarie, gli investigatori avevano detto esplicitamente che c’erano altri identificati e che altre manette sarebbero arrivate. Non è arrivato nulla e ormai dal primo maggio del 2015 è passato oltre un anno. Una delle spiegazioni è che c’è un giudice se non a Berlino ad Atene, da dove per la “mitica” procura di Milano è arrivata una vera lezione di diritto. (frank cimini)

Giudice Salvini, pericolosa la magistratura che vuole fare le leggi

 

Pochi giorni dopo la nomina del nuovo Procuratore e di Milano, l’ANM ha varato 14 Commissioni di studio in cui complessivamente saranno impegnati nei prossimi anni centinaia di suoi iscritti, tutti appartenenti ai vari Partiti – correnti. In queste Commissioni permanenti, che assomigliano a Commissioni ministeriali, un piccolo esercito di magistrati, oltre 300 si occuperà non solo dei temi propri della categoria – i carichi di lavoro e le condizioni di lavoro e sicurezza, il processo telematico – ma anche di tematiche generali e decisive come la riforma del diritto penale, la riforma della processo penale e l’esecuzione penale, il diritto del lavoro.

La novità è passata senza troppo clamore – ne ha scritto solo il quotidiano ‘Il Dubbio’ – e il ministro Orlando avrebbe accolto con favore la “offerta di collaborazione della ANM, forse facendo buon viso e cattivo gioco tenendo conto che il parere su alcune proposte di legge è già previsto ma solo da parte del CSM, che è un organo costituzionale e non un’associazione privata di magistrati come l’ANM.

Può darsi che sia un malpensiero ma tutto ciò appare un nuovo passo avanti nel progetto di concordare, tramite una consultazione obbligatoria con la magistratura come ente organico, con il Governo e il Parlamento la formazione delle leggi, quantomeno quelle del sistema giustizia. Far sì che nessuna sia varata se non con l’approvazione dell’ANM e non “passino”, con una sorta di veto, quelle non gradite o i passaggi non graditi. Penso a quelle su temi sensibili come le intercettazioni, la prescrizione, le impugnazioni e così via.

Non sarei troppo contento che le leggi in materia di giustizia fossero fatte dall’Unione Camere Penali. L’associazione degli avvocati dice molte cose acute ma adeguandosi alle sua linea e alle sue proposte, non si farebbe alcuna indagine né si concluderebbe mai alcun processo. Ma non mi sembra, all’opposto, che si debba passare ad una “legislazione concordata” e ad un necessario via libera dell’ANM e delle sue Commissioni che i cittadini non hanno eletto in Parlamento L’estensione dell’influenza della magistratura nello scacchiere istituzionale è resa possibile dalla sua struttura, un corpo di soggetti in numero limitato, compatto, gerarchico, che opera per cooptazione interna ed è quindi facilmente controllabile dai suoi capi e non è sottoposto a periodiche verifiche elettorali ma solo a controlli autoreferenziali. Trae anche vantaggio dalla presenza ormai costante di noti ex-magistrati nell’agone politico, con i suoi riverberi sui mass- media, e anche nelle sedi decisionali della politica. Infatti i magistrati che sono entrati in politica appena dopo aver dismesso la toga e qualche volta anche prima non sono da meno nel perseguire l’aumento di influenza della magistratura. Continua a leggere

Il giudice rivoluzionario che riconosce il permesso di soggiorno per fame

Per la prima volta un giudice italiano riconosce un permesso di soggiorno per fame. Tecnicamente, si chiama ‘protezione umanitaria’, l’ultima carta dei disperati che non hanno le caratteristiche né per lo status di rifugiato né per chiedere il diritto d’asilo. Mai era stata riconosciuta ai migranti economici.

E’ un provvedimento visionario ed emozionante quello del giudice civile di Milano Federico Salmeri che, osserva l’avvocato Eugenio Losco, esperto della materia, “non fa una piega in diritto“. Alti e saldi sono i principi a cui si ancora per accogliere un ragazzo di 24 anni scappato dal poverissimo Gambia:  l’articolo 32 della costituzione che riconosce il diritto alla salute inteso anche come diritto ad avere un pasto; la dichiarazione universale dei diritti dell’uomo nella quale si fa diretto riferimento al diritto all’alimentazione; i patti internazionali ratificati dall’Italia che sanciscono “il diritto fondamentale di ogni individuo alla libertà dalla fame”.

Per il magistrato, il richiedente “è titolare del pieno diritto ad accedere alla protezione umanitaria affinché gli sia garantito un livello di vita adeguato per sé e per la propria famiglia laddove le condizioni economico – sanitarie del proprio paese non consentano un livello sufficientemente adeguato ed accettabile di vita”. Il fondo monetario internazionale, le nazioni unite e wikipedia (citati dal giudice) raccontano di un paese dalle terre infertili dove le famiglie non possono comprare nemmen un pugno di riso.

Questo significa una “protezione di massa umanitaria?”, si chiede il giudice, prevenendo le reazioni alla sua decisione, come quella del leader leghista Matteo Salvini (“sentenza folle”). La sua risposta è: “il riconoscimento  di un diritto fondamentale non può dipendere dal numero di soggetti cui quel diritto viene riconosciuto. Per sua natura, un diritto universale non è a numero chiuso”.  Resta chiaro che la decisione di un giudice non vincola gli altri che dovranno pronunciarsi sullo stesso tema, limitandosi a essere un precedente. “Un precedente rivoluzionario – chiude l’avvocato Losco – se pensiamo anche agli immigrati italiani del novecento che scappavano da una povertà meno severa di quella di questo ragazzo”. (manuela d’alessandro)

Il testo dell’ordinanza del giudice dal sito Melting Pot

In carcere con una grave cirrosi, muore 5 giorni dopo l’arresto

 

Pericoloso, così pericoloso perché trovato in possesso di un’arma da meritare il carcere, nonostante la difesa avesse implorato di lasciarlo libero perché soffriva di una grave forma di cirrosi epatica.

S.R., che aveva precedenti per reati non gravi, è stato rinchiuso venerdì, sabato e domenica in cella. Sempre più sofferente, con la malattia che gli mangiava il fegato e la vita, finché lunedì è stato autorizzato il colloquio coi familiari e revocata la custodia cautelare “perché a fronte di tale sopravvenuto stato di morbilità sono venute meno le esigenze che giustificavano l’adozione della misura”.

Ieri mattina, è morto. Ne dà notizia la camera penale di Milano che denuncia “l’ennesima vittima di un sistema processuale che consente l’abuso della misura cautelare custodiale, l’ennesima vita umana, uguale a quella di coloro che la perdono in fondo al mare, durante i viaggi della speranza, alle vittime della strada, alle donne che cadono sotto la violenza degli amori assassini, uguale a qualunque altra vita umana”.

La legge che pure è  molto chiara e prevede il carcere solo in casi eccezionali quando ci sono severi motivi di salute viene disapplicata ” a causa dell’evidente resistenza culturale della magistratura a vedere limitato il proprio potere discrezionale nell’ottica di una riduzione della custodia cautelare”. Sono 18mila i detenuti in attesa di giudizio o mai condannati in primo grado, un numero enorme, non dissimile da quello precedente alla riforma del 2015 sulle misure cautelari che “ha introdotto aggettivi e avverbi volti a eliminare il potere discrezionale del giudice”. (manuela d’alessandro)