giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

NoTav, non è terrorismo. Cassazione riboccia teorema Caselli

Per la seconda volta la Cassazione boccia il teorema Caselli. La Suprema Corte ha rigettato il ricorso dei pm di Torino che chiedevano fosse riconosciuta la finalità di terrorismo per 3 militanti NoTav in relazione ai fatti del cantiere di Chiomonte del 14 maggio 2013. In precedenza la Cassazione aveva bocciato istanza analoga della procura torinese per altri 4 imputati.

I pm Rinaudo e Padalino dovranno farsene una ragione. E dovrà farsela l’ex procuratore capo di Torino Giancarlo Caselli nel frattempo andato in pensione. I tre imputati erano stati condannati a 2 anni e 10 mesi per l’azione, ma come per altri 4 militanti Notav era stata esclusa l’accusa più grave. Finora le decisioni dei giudici, compresi quelli della corte d’assise di Torino, hanno sempre escluso la sussistenza del teorema elaborato da Caselli, un vero e proprio professionista dell’emergenza, pronto ad agitare un fantasma del passato per regolare lo scontro sociale e politico di oggi.

Il 14 maggio del 2013 durante la manifestazione era stato distrutto un compressore. Da lì partiva la crociata dei pm, fiancheggiata dai giornaloni, direttamente o indirettamente controllati dalle banche molto interessate al treno dell’alta velocità e poco propense a valutare la devastazione del territorio provocata dall’opera, i cui appalti sembrano gli unici onesti e trasparenti in un paese in cui le inchieste giudiziarie nascono per molto meno. E’ la ragion di stato. (frank cimini)

No tav, condanne dimezzate rispetto a pm

giudici, dai notav nessuna minaccia allo stato

Bruti: Vado in pensione. Cassazione: ok Robledo a Torino

Nel giorno in cui la Cassazione, sezioni civili, dà l’ok al trasferimento a Torino dell’ex aggiunto Alfredo Robledo a causa degli sms scambiati con l’avvocato della Lega Nord Domenico Aiello, il capo della procura di Milano Edmondo Bruti Liberati annuncia che andrà in pensione il 16 novembre, rinunciando a prorogare l’incarico.

Bruti e Robledo. I protagonisti dello scontro più forte mai avvenuto dentro una procura importante, dove è emerso chiaro come non mai il collegamento tra giustizia e politica. E basta leggere gli atti del contenzioso per rendersene conto. Nemmeno l’imputato eccellente per antonomasia con tutti i suoi potenti mezzi era riuscito a mettere in così grande difficoltà l’immagine e non solo quella della magistratura italiana.

Dunque per la Cassazione era urgente il trasferimento a Torino di Robledo, al di là di quello che sarà il procedimento nel merito che in verità non è nemmeno stato avviato. Al pari quello a carico di Bruti che a questo punto non ci sarà. La ciliegina sulla torta l’aveva messa pochi giorni fa il consiglio giudiziario milanese rinviando al 22 settembre il parere sulla decisione della conferma dell’incarico di Bruti come procuratore capo. Tomo tomo cacchio cacchio Bruti va via senza rischiare di pagare dazio per aver “dimenticato” per 6 mesi nel cassetto un fascicolo. Non si trattava di un incidente stradale, ma della gara d’asta per la Sea, una delle più importanti aziende italiane, dove era lambita la giunta di centrosinistra del capoluogo lombardo.

Ha pagato alla fine solo l’anello più debole, Robledo, schiacciato dal ruolo gerarchico di Bruti che come fondatore di Md era per l’organizzazione orizzontale contro i vertici. E che nella guerra interna ha avuto il sostegno importante di Giorgio Napolitano dal Quirinale il quale spesso ha fatto riferimento proprio ai poteri di cui dispongono i capi degli uffici inquirenti. Si chiude, si fa per dire, così una bruttissima pagina della storia della magistratura. Indipendenza? Autonomia? E da chi? Da questa vicenda è emerso che i politici con tutte le loro gravissime colpe non sono certo i peggiori nell’ex patria del diritto. Da tempo ormai è tutto al rovescio (frank cimini)

Hacking Team riguarda tutti noi, la nostra libertà, la nostra costituzione

 

Hacking Team riguarda tutti noi, la nostra libertà, le nostre garanzie, il nostro stato di diritto. La lettura dei 4 gigabyte visibili su wikileaks dopo essere stati sottratti da ignoti alla società milanese che vende software di sorveglianza a governi di tutto il mondo  da’ i brividi. E non per la paura che i terroristi possano avere scoperto chissà quali segreti ma perché per la prima volta è evidente anche ai profani come strumenti informatici di questo tipo vengano usati dalle forze dell’ordine e dalla Procure italiane in modo molto, troppo disinvolto e fuori da regole precise. (L’attacco ad Hacking Team)

In teoria, avete la garanzia di venire intercettati solo se un giudice lo ritenga indispensabile per verificare dei sospetti su di voi.  Ecco, scordatevi questa garanzia perché molte Procure si affidano, come emerge dalla mail pubblicate da wikileaks, a tecnologie gestite da privati che sono in grado di inoculare un virus nel vostro pc, leggere le vostre mail, presentarsi a un appuntamento che avete fissato con qualcuno via chat o  posta elettronica, sapere dove vi trovavate in un preciso momento.  Tutto senza che sia necessario il provvedimento di un gip dal momento che ancora non si è stabilita l’esatta natura giuridica dei trojan di stato, programmi per pc simili ai virus che si comportano come un ‘cavallo di Troia’ nel computer dell’ignaro sospettato per succhiarne tutte le informazioni. Anche a Milano, dove pure le polizie giudiziarie sono molto più preparate della media nazionale e non c’è bisogno di affidarsi a esterni come Hacking Team,  è in corso da tempo una discussione tra i magistrati  sulla natura giuridica di queste potenti armi investigative. Alcuni le considerano perquisizioni e sequestri e per questo  le può utilizzare in autonomia la polizia giudiziaria avvalendosi o meno di società come hacking team. In questo caso, la pg dovrà darne comunicazione solo in un momento successivo al pm o potrebbe anche non farlo,  mettendo in cantiere dati preziosi sul sospettato non ancora indagato. Per un’altra parte della dottrina e della giurisprudenza vanno considerate intercettazioni vere e proprie e quindi ci vuole l’ok del gip alla richiesta dell’accusa (articolo 15 della Costituzione).  In attesa che si faccia chiarezza,  la situazione attuale è che un privato, magari in affari col Sudan come Hacking Team, può sguazzare indisturbato nel vostro mare informatico, oppure lo può fare un più o meno valido poliziotto senza che un giudice ci abbia messo becco. O, peggio ancora, un investigatore che vi volesse male potrebbe mettervi file pedopornografici nel pc a vostra insaputa. A Milano negli ultimi mesi si sono svolti due incontri tra magistrati sul tema dei trojan di Stato a cui gli avvocati, fatto inedito, non sono stati ammessi come uditori, tanto per sottolineare la delicatezza del tema. Fa impressione, almeno a un lettore neofita che per la prima volta grazie a wikileaks può vedere come funzionano questi sistemi, vedere la disinvoltura con la quale colonnelli del Ros o della Guardia di Finanza discutano e chiedano consigli a David Vincenzetti, ad di Hacking Team, geniale professionista ma non uomo delle istituzioni, su come condurre le indagini.  Sapere che la maggior parte delle polizie giudiziarie italiane si  affida mani e piedi a questi strumenti fa venir voglia di spegnere il pc, anche se, come si dice in questi casi, non si ha nulla da temere. (manuela d’alessandro)

L’interrogatorio di Marianna, uccidere in Siria è il dovere di un musulmano

 

“Lo vuole il Profeta, la mia religione è questo”. Il senso dell’interrogatorio di Marianna Sergio sta tutto qua. Che sia il vero Islam quello che predica la guerra santa, per cui un mostro come il terrorista Abu Bakr Al Baghdadi si può far passare per autentico interprete del Corano, che sia una religione quella secondo cui i presunti adulteri debbano essere lapidati a morte (la sorella di Marianna, Maria Giulia, ne ride in una conversazione su Skype come se fosse un fatto ineluttabile e divertente al tempo stesso), pare nient’altro che il pensiero di un’invasata, almeno a chi scrive. Qui però ci si limita a riferire che Marianna, aspirante jihadista e sorella di Maria Giulia ‘Fatima’, già divenuta militante del cosiddetto califfato di Siria e Iraq, ne è fermamente convinta.

Nell’interrogatorio reso a San Vittore davanti al pm Paola Pirotta e al procuratore aggiunto Maurizio Romanelli, la ragazza parla proprio di questo. Andare in Siria e unirsi alle fila dell’Isis insieme a Fatima, avrebbe affermato Marianna, era la cosa giusta da fare. Per fortuna la Digos e la magistratura sono intervenute in tempo. “Lì c’è la guerra”, ovvio che si combatta e uccida. Non lo fanno le donne perché non è previsto, avrebbe spiegato la ragazza, ma gli uomini, se veri musulmani, nell’uccidere un infedele compiono il loro dovere. Non usa mai il termine ‘eroina’, riferendosi alla sorella Maria Giulia che il suo viaggio verso il califfato l’ha portato a termine, ma ne parla in termine elogiativi.

Anche la zia del marito di Maria Giulia, Anila, è stata interrogata dagli inquirenti, e in settimana toccherà anche ai genitori delle due sorelle. Nell’interrogatorio di garanzia davanti al gip Ambrogio Moccia si erano avvalsi della facoltà di non rispondere, salvo per poche dichiarazioni spontanee del padre delle ragazze, Sergio Sergio, ritenute non particolarmente utili dagli investigatori.