Una quarantina di antagonisti, urlando slogan e battendo i pugni sui tavoli, ha occupato l’aula dove si svolge il processo per gli scontri all’Università Statale del luglio 2013 per testimoniare solidarietà a Graziano Mazzarelli. Arrestato con l’accusa di avere partecipato all’assalto del cantiere della Tav di Chiomonte, il 23enne leccese era seduto, in manette, nella gabbia riservata ai detenuti. L’occupazione dell’aula, durata circa mezz’ora, è stata interrotta quando le forze dell’ordine hanno riportato in carcere Mazzarelli. Il processo riprenderà il 2 dicembre a porte chiuse su disposizione dei giudici della IV sezione penale che hanno trasmesso alla Procura gli atti relatvi a quanto accaduto oggi. Gli occupanti rischiano di essere indagati per interruzione di pubblico servizio. (m.d’a.)
Articoli del mese: settembre 2014
Annibale compie 80 anni.
Da Mina ad Alessandrini, i suoi 45 anni nel Palazzo.
“Ciao, sono un certo Carenzo”. Da 45 anni, dalla sala stampa del Palazzo di Giustizia di Milano, le sue telefonate in redazione cominciano sempre così, con un filo di understatement. Poi, detta poche righe: anche quelle senza aggettivi, né iperboli, notizie clamorose e ‘brevi’ di cronaca, raccontate sempre allo stesso modo, come si insegnava una volta ai cronisti delle agenzie di stampa.
Oggi Annibale Carenzo, decano dei cronisti giudiziari milanesi, compie 80 anni. E li compie al suo posto, sempre in giacca e cravatta, alla piccola scrivania in fondo alla sala stampa che nessuno dei tanti colleghi più giovani osa insidiare, dietro alla macchina da scrivere che è il suo unico strumento di lavoro insieme al telefono. “Mi avevano convinto a usare il computer. Una volta ho mandato un pezzo e non è arrivato. Così ho preso il computer, l’ho infilato in un cassetto e non l’ho più toccato”.
Nei lanci di agenzia di Carenzo sono passati decenni di storia giudiziaria di Milano e del paese. Un punto di osservazione privilegiato per un professionista dell’informazione, ma anche nel raccontare la sua vita tra aule e processi Carenzo schiva qualunque enfasi.
Annibale, ti sei divertito in questi anni?
“No”.
Come no?
“Non mi sono mai divertito a venire qui e non mi diverto neanche adesso, ma preferisco stare qui che a casa a fare niente. Il divertimento è un’altra cosa. E’ quando vedo le partite del Toro o quando trovi una da portarti a letto”.
Come sei arrivato a Palazzo? Ti ricordi il tuo primo giorno?
“Sono arrivato nel 1969 con la strage di piazza Fontana dopo avere lavorato per parecchi anni con la ‘Provincia Pavese’ e un giornale, ‘Il Giornale di Pavia’, che avevo creato con una collega di Mantova. Quando ha chiuso perché il proprietario è stato dichiarato fallito anche se andava bene, mi hanno chiamato dall’Ansa chiedendomi se venivo a lavorare qui. Io ho ringraziato e sono venuto subito”.
In quegli anni hai anche avuto un’esperienza in politica…
“Sono stato uno dei sindaci più giovani d’Italia, a Copiano, in Liguria. Ero stato eletto nella Dc ma poi sono stato il primo sindaco a mettere in giunta un comunista. In quel periodo scrivevo anche canzoni, ero iscritto alla Siae come paroliere e alcune mie canzoni le ha cantate anche Mina”.
Com’era il Tribunale quando sei arrivato?
“Aveva solo 4 piani. La sala stampa era al piano terra”.
Erano gli anni del terrorismo, sei mai stato minacciato?
“No, non ho mai avuto paura, qui nel Palazzo mi sembrava di essere molto protetto, molto controllato”.
C’è qualche processo o personaggio che ricordi con particolare emozione?
“Sì. Io sono uno che non piange mai. Una delle poche volte che ho pianto è stato quando hanno ammazzato Alessandrini. Era uno assolutamente normale, una persona dolcissima. Con lui lavorava come uditrice la dottoressa Manfredda, che ora è alla Procura Generale”.
Il rapporto coi magistrati è cambiato in questi anni?
“Non direi. Io mi sono sempre trovato a mio agio sia con gli avvocati che con i magistrati, a parte qualcuno un po’ strano. Sì, Di Pietro era uno un po’ strano ma alla fine sono andato d’accordo anche con lui. Nessun problema anche coi colleghi, anche perché, lavorando per l’Ansa che per anni è stata l’unica agenzia di stampa presente qui, non avevo concorrenza”.
Tu hai un appuntamento fisso a pranzo…,
“Tutti i giorni un’amica che lavora qui da 18 anni cucina per me nel cortile del Palazzo”.
Come li vedi i colleghi più giovani?
“Bene, è una generazione di ragazzi preparati”.
Fino a quando verrai qui?
“Fin quando la salute mi assisterà”.
(manuela d’alessandro e orsola golgi)
Giustizia sprint: l’ordinanza del Tribunale “contro” il difensore su modulo pre – stampato
“Contro”, a prescindere. La giustizia va lenta e il Tribunale di Milano la velocizza tirando fuori dal cassetto un’ordinanza con la scritta “contro” pre – stampata (di solito è a penna) per rispondere alla richiesta di revoca del provvedimento presentata da un avvocato.
Un ‘leggero’ pregiudizio contro la difesa? Così parrebbe, però concediamo al magistrato di avere dimostrato un verecondo riguardo verso il legale cerchiando la parola “contro” a penna: come a dire, mi è scappato il pre – stampato, ma poi stai tranquillo che ci ho anche pensato su. (m.d’a.)
A Milano record di avvocati che non pagano la quota
Nomi e cognomi vanno in bacheca
E’ record di toghe non paganti nelle aule del Palazzo. “Da dicembre a oggi abbiamo convocato per sollecitare il pagamento della quota annuale 260 legali. Non sono mai stati così tanti in passato”, fa i conti Cinzia Preti, tesoriera dell’Ordine degli Avvocati. La curiosità di chiederle in quanti non pagano l’obolo ce l’ha fatta venire l’insolitamente nutrito elenco degli avvocati morosi, con tanto di nomi e cognomi (ma la privacy?), esposto nelle bacheche dell’Ordine a Palazzo.
“La ragione sta in parte nella crisi, ma bisogna considerare anche i tanti colleghi che si trasferiscono all’estero, e che smettono di pagare”, è la lettura l’avvocato Preti. Una volta ‘ammoniti’ dall’Ordine, la maggior parte degli inadempienti tuttavia rimedia in fretta. “Dei 260 richiamati, 35 li abbiamo sospesi, e sono quelli che si possono leggere in bacheca, mentre gli altri si sono messi in regola “. Il nuovo regolamento approvato nella primavera scorsa obbliga gli Ordini a inviare al Consiglio Nazionale Forense la lista dei non paganti e i provvedimenti presi nei loro confronti. Il mancato avvio nei 60 giorni successivi alla comunicazione dell’elenco della procedura di sospensione dall’albo comporta per gli Ordini una segnalazione al Ministero della Giustizia. Un meccanismo che rende gli Ordini ancora più zelanti nello scovare e ‘denunciare’ gli avvocati riottosi. (manuela d’alessandro)
Sette anni dopo riparte a tutta velocità l’inchiesta su Garlasco.
Panzarasa, ancora tu?
Sette anni dopo l’omicidio di Chiara Poggi, il pg Laura Barbaini tira fuori dalla naftalina di una delle inchieste più tormentate degli ultimi anni una delle vittime mediatiche illustri del delitto di Garlasco. Marco Panzarasa, compagno di liceo dell’unico indagato di questa storia, Alberto Stasi, nonché recordman di querele vinte contro i giornalisti per essere stato accostato a un crimine con cui non c’entra nulla (il 13 agosto 2007 era al mare in Liguria mentre la povera ragazza veniva massacrata), è stato convocato alla fine di luglio dal magistrato che rappresenta l’accusa nell’appello – bis con una frettolosa telefonata al mattino per un appuntamento in Procura al pomeriggio.
Cosa voleva sapere con tanta urgenza Barbaini dal vecchio compagno di Alberto che, nel frattempo, si è laureato in Legge e ha messo su famiglia? Possiamo solo ipotizzarlo, mettendo in fila le informazioni che abbiamo intercettato sull’intensa estate lavorativa del magistrato Come quasi mai accade durante un processo d’appello, il pg ha deciso di svolgere indagini integrative ’ a fondo perso’. Se ne ricaverà qualcosa proverà a convincere i giudici della seconda Corte d’Assise d’Appello di avere portato nuove prove a sostegno dell’accusa, altrimenti sarà stato lavoro inutile.
Tutto ruota attorno all’ipotizzato scambio di pedali delle biciclette in possesso di Stasi, il nuovo fronte aperto da una memoria presentata a giugno dal legale di parte civile Gian Luigi Tizzoni. Il pg non si è risparmiata nel coltivare la pista indicata dal legale dei Poggi: ha sentito un produttore di pedali per oltre sei ore, ha fatto portare via dal Gico della Finanza documentazione contabile nella sede della ditta del papà di Alberto, Nicola Stasi, morto dopo che la Cassazione ha cancellato due assoluzioni disponendo l’appello – bis. Ha ascoltato i dipendenti della ditta e, in questi giorni, continua a sentire ‘esperti’ di biciclette. Gli avvocati ufficialmente non sanno nulla perché nulla è stato da lei depositato (non è obbligata a farlo, a meno che per qualcuna di queste attività non fosse stata necessaria la loro presenza). Ma Garlasco è piccola, difficile che passasse inosservato il rinnovato fervore dell’accusa.
Torniamo al nostro Panzarasa, chiamato in gran fretta e segreto una mattina di questa piovosa estate. Perché? L’ipotesi è che il pg gli abbia posto una domanda che già circolava sette anni fa, fondata, a quanto si sa, sul nulla: Marco potrebbe avere prestato una sua bici ad Alberto? (manuela d’alessandro)